La Città Futura

il progetto rossoverde per Portogruaro
 

Le vignette di Lorenzo Bussi: Libero Pensiero

9 novembre 2010
Pubblicato da Lorenzo Bussi

Libero Pensiero

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Le vignette di Lorenzo Bussi: Escort di Scorta

8 novembre 2010
Pubblicato da Lorenzo Bussi

Escort di Scorta

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L’Asvo ad una svolta. I rifiuti come bene comune

6 novembre 2010
Pubblicato da Ivo Simonella

In queste settimane l’Asvo è al centro di un dibattito che dall’interno è passato ai comuni interessati, ma anche sui quotidiani locali. Al centro dell’attenzione c’è una scadenza tecnica, la stessa che ha coinvolto i consorzi della gestione dell’acqua con il famigerato art.15 della legge 166 del 20 novembre 2009. Entro il 31 dicembre 2011, i rifiuti del bacino portogruarese o vanno in gara, quindi presumibilmente in competizione tra società di certe dimensioni e in grado di svolgere tutte le operazioni, oppure possono rimanere in gestione se l’Asvo vende almeno il 40% ad un socio privato. L’Asvo si è attivata da tempo per orientarsi tra le due possibili opzioni che sono passate da ipotesi del Cda a oggetto di decisione dell’Assemblea dei soci, cioè i comuni.

La prima opzione può essere ‘governata’ con un buon espediente. Anziché dare la gestione in gara a grandi imprese, si può far parte di una di queste, capace di vincere le gare. La candidata naturale è Veritas Spa (Veneziana Energia Risorse Idriche Territorio Ambiente Servizi), la società veneziana che si autodefinisce “la prima multiutility del Veneto per dimensioni e fatturato e una delle più grandi d’Italiaâ€. Una società interamente pubblica che opera in 30 comuni, sia sull’acqua che sui rifiuti. Su questi in particolare opera con la Ecoprogetto Venezia Srl, un società mista “controllata da Veritas (che ne detiene il 66,6%) e partecipata dal Gruppo Ladurner di Bolzano (23,4%), una delle principali realtà attive nel settore ambientale in Italia, e da Ascopiave – Asco Holding (10%), società veneta che opera nel ciclo energetico†(come recita il suo sito). Ecoprogetto ha un ‘polo integrato’ (un impianto per la produzione di CDR, combustibile derivato dai rifiuti, e un termovalorizzatore, un inceneritore, per intenderci) a Fusina, dove già oggi finisce il residuo secco non riciclabile del bacino portogruarese. E’ noto infatti che la discarica di Centa Taglio ormai dall’agosto 2008 ha smesso la sua attività di smaltimento. L’operazione Ecoprogetto prevede lo scambio azionario del 20% di Ecoprogetto con il 50% circa di Asvo, ma la perdita di fatto del controllo societario.

La seconda opzione è dunque la cessione ‘solo’ del 40% ad un privato, un socio cogestore. In questo caso la gestione ‘in house’, cioè in casa, rimane tale per legge per altri 15 anni. Naturalmente ci sono diversi protagonisti del settore. Sappiamo di contatti con società che operano già in zone limitrofe e con problematiche pressoché uguali, in particolare nella gestione dei rifiuti delle spiagge, un problema che va da Lignano a Jesolo, passando per le nostre Bibione e Caorle.

Noi siamo per questa seconda soluzione, cioè la privatizzazione del 40%, per un paio di buoni motivi. Lo scambio azionario con Ecoprogetto ci farebbe perdere sia il controllo della società che l’anima. Primo, perdere il controllo significa che l’utilità economica iniziale, le possibili sinergie ed i vantaggi tariffari nello smaltimento, potrebbero durare molto poco. Ben presto gli interessi del ‘core business’ di Ecoprogetto, cioè l’inceneritore, potrebbero indurre lobbisticamente ad un atteggiamento diverso nella raccolta, un abbassamento della raccolta differenziata che non è solo un atto concreto di civiltà ambientale, ma anche un mezzo di comunicazione e di orientamento al consumo critico. Secondo, è bene che i rifiuti rimangano in gestione e controllo del territorio di pertinenza. E’ bene che le amministrazioni rimangano padrone a casa loro, come piace dire adesso, cioè dei costi dei rifiuti del loro territorio ed i cittadini padroni della loro salute.

Quest’occasione può anche essere un’opportunità per cambiare radicalmente la formazione e la gestione dei vertici societari in Asvo. Oggi infatti esiste un’Assemblea dei soci – cioè i comuni che pesano secondo le quote versate e proporzionali ai cittadini residenti – che per statuto ha compiti essenziali di indirizzo e controllo strategico, nonché quelli tradizionali di gestione del bilancio. L’assemblea attuale esprime un Cda di cinque membri, compreso il Presidente. Dal Cda dipende poi il Direttore Generale, un dirigente che di fatto governa in piena autonomia tutte le direttive e delibere degli organi superiori. In questi anni i cinque membri del Cda sono stati spartiti secondo le proporzioni tra le amministrazioni di centrosinistra (oggi maggioranza, pur risicata) e centrodestra. Obiettivamente, al di là della figura del Presidente, che ha una responsabilità giuridica primaria in tutta l’attività produttiva, sempre piuttosto rischiosa, con mezzi che scorazzano giorno e notte in tutte le strade, i consiglieri sono sia troppi che inutilizzati, anche perché sono – come in tutte le società municipalizzate – perlopiù individuati per dare una ‘carega’, un contentino ad un portaborse o la consolazione ad un capolista trombato o ad una figura professionalmente irrecuperabile.

Noi pensiamo che l’occasione della privatizzazione al 40% possa vedere una riduzione del Cda a tre membri. Un presidente designato (se proprio serve) dalla maggioranza; un vicepresidente, designato dalla minoranza, ma meglio remunerato del consigliere attuale e che si divide i compiti di rappresentanza col presidente, insomma più operativo e responsabile; infine, il consigliere designato dal socio privato, che per definizione sarà senz’altro una persona competente in materia tecnica ed economica. Un simile essenziale Cda non può che collaborare e preparare alle decisioni che deve prendere l’Assemblea, che detiene il vero ruolo guida.

Una simile operazione richiede un accordo bipartisan, ma duraturo, un cambiamento di strategia radicale nella gestione delle società partecipate dai comuni, un elementare tentativo di rovesciare la pessima immagine della politica, dei politici, degli amministratori, anche quelli che tutti i giorni lavorano in pieno disinteresse personale e che si sentono accomunati al carrozzone della casta.

I rifiuti sono un oggetto sociale particolare, poiché non c’è cittadino o famiglia che possa ignorarli. In certi momenti alcuni cittadini non sono toccati dalla scuola o dalla sanità, ma nessuno può non toccare i propri rifiuti. Questi, nonostante le loro apparenze, sono un bene comune, una risorsa e non solo un costo, un mezzo di comunicazione e d’igiene ambientale e non un oggetto di sotterfugio e sporcizia. Sappiamo che è un strano paradosso, ma non sarebbe male partire dai rifiuti per cominciare a rovesciare l’immagine della politica.

Ivo Simonella e Adriano Zanon

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Documento del Collegio Insegnanti 2°Circolo

5 novembre 2010
Pubblicato da La Città Futura

Ai Genitori degli alunni del 2° Circolo di Portogruaro VE

Il 13 settembre è iniziato l’anno scolastico 2010-2011, il secondo della gestione Gelmini, ministro dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca ormai nota per il rigore nel contenimento delle spese e per i tagli al personale impegnato nella scuola.

Proseguendo col programma avviato nel 2009-2010, quest’anno, a livello nazionale ci saranno 26mila docenti e 15mila ATA in meno, per un taglio totale di 41mila unità.

Va ricordato che nel 2009-2010 il taglio ha riguardato 42mila docenti e che per l’anno scolastico 2011-2012 ci saranno altri 13mila insegnanti in meno.

In provincia di Venezia, a fronte di un incremento degli alunni +1.249 iscritti, il numero dei docenti si riduce di 187 unità e quello degli ATA di 128.

 

a.s.
2008/9

a.s.
2009/10

a.s.
2010/11
diff.
1° anno
diff.
2° anno
diff. tot.biennio

STUDENTI

95.851 97.747 98.996 +1.896 +1.249 +3.145
DOCENTI 8.254 8.042 7.855 – 212 -187 -399
ATA 3.027 2.885 2.757 -142 -128 -270

Questa introduzione, basata su un raffronto di meri dati numerici, è indispensabile per comprendere quali sono e saranno le ricadute sulla qualità della didattica nelle scuole e in particolare nel 2° Circolo di Portogruaro.

La prima conseguenza è stata la riduzione del tempo scuola, passato da 30 a 27 ore (circa 100 ore annue in meno), approvata dal Consiglio di Circolo su proposta del Collegio dei docenti. Questa scelta non è stata presa certo a cuor leggero, anzi, è stata discussa in numerose occasioni valutando gli aspetti da privilegiare per offrire agli alunni e alle famiglie uno standard di qualità del servizio accettabile.

Le considerazioni che hanno portato il Collegio docenti verso l’adozione dell’organizzazione a 27 ore possono essere sintetizzate nei seguenti punti:

1) l’assegnazione dell’organico per il 2010-2011 è stata effettuata considerando per le classi prime e seconde un orario di 27 ore (dall’anno scolastico 2008-2009 ad oggi il numero dei docenti nel circolo è passato da 49 a 46);

2) la necessità di non frammentare l’offerta didattica nominando troppi insegnanti nella stessa classe per coprire spezzoni orari anche ridottissimi (l’orario degli insegnanti della scuola primaria è di 22 ore settimanali con gli alunni più 2 ore per la programmazione);

3) il bisogno di garantire un minimo di contemporaneità nelle classi per attuare attività di recupero e potenziamento con gli alunni che presentano ritardi nell’apprendimento o per svolgere attività di laboratorio;

4) l’impossibilità di attuare all’interno di uno stesso plesso organizzazioni orarie diverse: 27 – 30 – 40 ore, che complicherebbero l’organizzazione del trasporto scolastico e il ritiro degli alunni.

Sulla strada della riduzione dell’orario il nostro Circolo è arrivato con un anno di anticipo, ma è evidente che anche gli altri Circoli o Istituti si dovranno adeguare poiché il prossimo anno scolastico l’organico sarà assegnato calcolando un funzionamento a 27 ore nelle prime, seconde e terze.

La riduzione dell’orario non è la sola conseguenza che graverà sugli alunni e sul servizio offerto dal nostro Circolo. Anche quest’anno il 50% delle ore di contemporaneità dovrà essere messo a disposizione per la sostituzione di eventuali insegnanti assenti e quando ciò non sarà possibile, prevalentemente di pomeriggio, si procederà alla divisione degli alunni tra le classi con conseguente aumento numerico e con l’inevitabile impossibilità di svolgere le attività regolarmente (senza considerare la sicurezza!).

Riduzioni anche tra gli insegnanti specialisti di lingua inglese: 4.500 in meno in tutta la scuola primaria, 39 in meno nella provincia di Venezia, con un evidente impoverimento di questa disciplina e con soluzioni estremamente azzardate. Nel nostro Circolo c’è un sovraccarico di classi per gli insegnanti (anche fino a 10 classi) specialisti di lingua inglese e gli insegnanti specializzati devono insegnare la seconda lingua nella loro e in altre, numerose, classi.

Un altro elemento critico è rappresentato dalla carenza di insegnanti di sostegno a fronte di un numero di disabili in forte aumento. Nell’anno scolastico 2009-2010 (dati MIUR, elaborati da Tuttoscuola) gli alunni disabili inseriti nelle scuole statali di ogni ordine e grado hanno superato le 181mila unità (il 2,3% della popolazione studentesca), con un incremento di oltre 5mila rispetto all’anno precedente.

Nel nostro Circolo, dove per il momento non sono ancora stati nominati tutti gli insegnanti di sostegno, sono previsti in organico di fatto 6 insegnanti per la primaria e 1 per l’infanzia. Alla scuola primaria, quattro insegnanti dovranno seguire tre alunni disabili ciascuno (rapporto di 1 a 3). Secondo la normativa, invece, va garantito un insegnante ogni due alunni disabili.

Ovviamente è aumentato il numero massimo di alunni per classe: alla primaria il limite è di 26 alunni elevabile a 27, mentre nella scuola dell’infanzia il limite massimo è passato a 29 bambini per sezione, escluse quelle che accolgono alunni con disabilità.

I Collaboratori scolastici sono passati da 17 a 15 e devono svolgere sorveglianza e pulizie in 6 plessi: tre di scuola primaria e tre di scuola dell’infanzia. E’ evidente che anche su questo versante le cose peggioreranno, tenendo conto che sui collaboratori graverà quella quota di pulizie, pari al 25 %, che è stata tolta alle imprese appaltatrici.

“… per quanto riguarda il servizio mensa il taglio del numero di bidelli (5 in meno nella scuola primaria e dell’infanzia) mentre per lo Stato comporta un risparmio, per il Comune di Portogruaro vuol dire un aumento di spesa di almeno 40.000 euro. Questo perché in alcuni plessi non ci sarà più personale interno che provvederà al servizio di somministrazione dei pasti agli alunni e che, quindi, sarà la stessa ditta che gestisce il servizio mensa a doverlo garantire e con costi elevatiâ€1.

Dulcis in fundo, il capitolo finanziamenti: le scuole non possono più contare sui contributi della legge 440/97 nata per dare gambe all’autonomia tramite l’erogazione di fondi per l’arricchimento e l’ampliamento dell’offerta formativa.

E’ proprio per questa carenza di trasferimenti economici alle scuole che il Consiglio di Circolo ha deciso di aumentare il contributo delle famiglie da 10,50 a 15,50 euro.

La situazione, quindi, non si presenta affatto facile e l’impressione è che non migliorerà nel futuro, anzi. Da parte nostra c’è comunque l’impegno di offrire un servizio che mantenga un certo grado di qualità nel rispetto delle esigenze degli alunni, ma su questo chiediamo anche l’appoggio delle famiglie perché siano comprese e condivise le scelte che come docenti, seppur dolorosamente, abbiamo adottato.

Il Collegio docenti del 2° Circolo

Portogruaro, 12 ottobre 2010

 

 

1 1. Portogruaro Informa anno XVIII n.2 settembre/ottobre 2010.

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La Tav tra stregoni e polipi

2 novembre 2010
Pubblicato da Ermes Drigo

Mercoledì 20 ottobre passo, come sempre, davanti all’edicola di Teglio e leggo a caratteri cubitali: “Alta velocità. Il governatore Zaia annuncia per il 16 dicembre a Trieste la ‘scopertura’ delle carteâ€. Il termine ‘scopertura’ mi lascia interdetto: mi ricorda l’azione di scoprire gli altarini, ciò che qualcuno vuole tenere nascosto, ma quanto annunciato dal nostro Governatore è ancora più stupefacente. Il 16 dicembre, a quattordici giorni dalla scadenza imposta dall’Europa per presentare un progetto, a Trieste, Zaia scoprirà le carte.

Nel 1990 il G20 definì un ambizioso progetto denominato “corridoi paneuropeiâ€: infrastrutture per permettere all’Est Europa di transitare più facilmente verso l’Ovest, verso di noi. Nel 1997, ad Helsinki, il progetto venne definito e così fu approvato il “Corridoio 5â€, ossia alta velocità per le persone ed alta capacità per le merci, da Kiev (Ucraina) a Lisbona (Portogallo) passando nella direttrice Trieste-Venezia per proseguire verso Milano, Torino, ecc.. Insomma, per farla breve, tutti (compresi i nostri amministratori) sanno da 13 anni che il nostro territorio sarà attraversato da questa infrastruttura voluta dall’Europa e deviata a sud delle Alpi dai nostri governi.

Come si sta affrontando, oggi, questo problema? Con una magia a prova di stregone: il 16 dicembre le carte saranno scoperte e la soluzione trovata.

Grandioso. Peccato che proprio il giorno dopo, giovedì 21 ottobre, il sempre presente assessore Chisso, in compagnia dei comuni fedelissimi, abbia scoperto le sue carte indicando il suo tragitto, il suo percorso ottimale.

In qualsiasi paese normale, europeo e non solo, il tracciato di una strada o di una ferrovia, soprattutto di grande portata, viene definito non dal mondo politico, ma dal mondo scientifico, usando studi approfonditi, partendo dallo Studio di Impatto Ambientale (SIA) e dalla relativa Valutazione di Impatto Ambientale (VIA). Nel parere per la costruzione della terza corsia del 2005, per esempio, la commissione VIA, giustamente, chiedeva di raccordare il progetto della nuova corsia con il tracciato dell’alta velocità. Bazzecole, quisquilie, stupidaggini: il progetto della terza corsia è pronto, presto inizieranno i lavori; della TAV chi se ne frega, noi dobbiamo fare.

Come è possibile, dunque, discutere del tracciato di un treno super veloce per passeggeri (dell’alta capacità per le merci si è persa la traccia) senza avere le indicazioni di progetto (dove si ferma, per esempio), di impatto ambientale, di prescrizioni, di mitigazioni sufficienti per stabilire il percorso meno impattante per chi ci abita? Cosa facciamo di un treno super veloce che però non si ferma?

Ovviamente i tempi non permetteranno alcun confronto né con i Sindaci, sicuramente quelli di centrosinistra, né soprattutto con i cittadini, che ancora una volta dovranno sopportare un’opera ad alto impatto per il nostro territorio.

Oggi tutti sanno dove bisognerebbe far passare l’alta velocità, fuorché il mondo scientifico, al quale è stato domandato in meno di due settimane di analizzare, studiare, progettare e disegnare quelle carte che saranno scoperte a Trieste il 16 dicembre.

Che popolo di geni!

Pensandoci bene, per una volta potremmo ricorrere alla cabala: facciamo scegliere il tracciato della TAV a Paul, il polipo tedesco (ma di origine italiana) che indovinava tutte le partite del campionato mondiale, così siamo sicuri di sbagliare meno e soprattutto di dare la colpa alla sfortuna nel caso in cui qualcosa andasse male.

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Il periodico rossoverde per Portogruaro – n.10, ottobre 2010

1 novembre 2010
Pubblicato da La Città Futura

Sul sito si può leggere in pdf il nostro periodico LCF10. Il numero torna in particolare con un documento e tre articoli sulla situazione della scuola. Ma andiamo con ordine.

Nell’editoriale il nostro direttore Ermes Drigo commenta la paradossale situazione della TAV, un’opera strategica che vede improvvisazioni e decisioni a capocchia. Ci vorrebbe Paul… scrive Ermes, ma proprio alla vigilia della morte del polipo veggente! Che sfiga! E adesso, chi prende le decisioni?

In seconda pagina, Ivo Simonella e Adriano Zanon – il primo è l’attuale Assessore all’Ambiente (ed altro) ed il secondo un ex Consigliere d’amministrazione Asvo – firmano insieme un commento sulla fase di transizione della società dei rifiuti del portogruarese e non si esimono dal fare le loro proposte sulle questioni più importanti.

Pagina 3, sempre dedicata a contributi esterni, ospita Gloria Bortolussi che presenta il nuovo Centro RUA, “un’officina di ricerca espressiva che intende promuovere e diffondere l’incontro fra le arti e discipline performative, mettendo al centro della propria investigazione il corpo e il movimentoâ€.

Pagina 4, zona di rubriche, ne introduce una nuova, Un mese di cattivi pensieri, cioè un tentativo di esorcizzare lo scemenzaio quotidiano. Aggiornato anche l’elenco dei posti dove si può trovare LCF.

Il paginone, cioè da pagina 5 a pagina 8, è quindi dedicato a temi della scuola.

A pagina 6, c’è un nuovo e speciale ‘Spazio agli altri’: un documento (un po’ sintetizzato) del Collegio insegnanti del 2° Circolo. L’originale è su questo sito.

Nelle altre tre pagine, Mariella Zanco tratta (pagina 5) della ‘relazione d’aiuto’, un grande tema della pedagogia preadolescenziale, e dei rischi che corre con i nuovi tagli alla scuola. Poi (pagina7) segnala una nuova forma di protesta, sempre ai tagli: niente gite. Infine (pagina8) manifesta tutto l’entusiasmo per le piccole conferenze in programma al teatro Russolo e organizzata dalle medie Bertolini.

Ci ripetiamo. Gli articoli verranno progressivamente riprodotti anche su questo sito, dove è possibile raccogliere i commenti dei nostri lettori. Invitiamo infatti a scriverci, a dialogare, a criticare, a sostenere il nostro sforzo di analisi e battaglia culturale e politica.

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Tutti giù per terra! Una riforma scolastica a perdere

19 ottobre 2010
Pubblicato da Lucia Steccanella

E’ vero, le tristi novità della riforma Gelmini sono note a noi insegnanti da tempo, dapprima vissute come minacciose evoluzioni del sistema scuola, che speravamo non potessero tramutarsi in reali proposte di legge, poi rese oggetto di proteste a tutto campo perché non trovassero spazio di realizzazione, oggi concretizzate in quotidiane incoerenze e mancanze che ci vedono spettatori e protagonisti insieme di una ben camuffata ma inesorabile distruzione qualitativa del sistema scolastico italiano. Essere protagonisti e spettatori di un fenomeno come questo, equivale ad esserne inevitabilmente anche vittime. Ogni giorno vado a scuola e penso che il mio dovere è fare del mio meglio perché tutto quello che a me e ai miei alunni è stato tolto non riduca il fare scuola ad una farsa e la mia passione a dovere, restando schiacciata dall’esiguità di mezzi che mi sono rimasti per far sì che tutto questo non avvenga.

Il problema ha molti aspetti e la mia riflessione si ferma su uno per me non trascurabile. Rousseau scriveva nel suo Emilio: «Per insegnare il latino a Giovannino non basta conoscere il latino, bisogna soprattutto conoscere Giovannino». Credo che chiunque abbia avuto un’esperienza scolastica condivida che a scuola non si realizzino processi di istruzione, senza sottostanti  processi di educazione. I bambini, i ragazzi, non crescono da soli, ma grazie ad una relazione produttiva e costante con cose prima e persone poi. L’insegnante può indicare cosa fare e cosa non fare; cosa studiare e come comportarsi, cosa è bene e cosa no; oppure può scegliere, perché di scelta si tratta, di accompagnare chi sta crescendo, unendo le proprie parole alle sue, accompagnandolo con la curiosità e la disponibilità di capire come crea lo schema del proprio mondo cognitivo e sociale divenendo, come scrive Galimberti, ospite e compagno di un viaggio alla scoperta del nuovo. «Se vogliamo costruire la testa ai nostri giovani, dobbiamo stimolare in loro non tanto l’apprendimento quanto la ricerca, che si combina con la naturale curiosità giovanile, su cui si radica l’interesse» (tanto cercato e sperato negli studenti da parte di insegnanti e genitori).

Per anni le difficoltà di apprendimento sono state imputate a soggettive deficienze intellettive, ad impreparazione o ad insufficienti capacità comunicative dell’insegnante; poi finalmente lo studio dei processi di apprendimento ha fatto luce sul disagio e l’insicurezza che l’apprendere  il nuovo, inevitabilmente porta con sé:  il dubbio di non riuscire, le aspettative dell’insegnante, i tempi pre-costituiti, l’allontanamento dal conosciuto e la sfida del non-conosciuto: tutte producono un disagio che l’alunno deve spesso gestire da solo, utilizzando gran parte delle proprie energie psichiche, e che si risolve spesso con il rifiuto della scuola e dello studio.

Quando in una classe di scuola dell’infanzia ci sono 29 alunni, in una di scuola primaria 25, e via aumentando fino ad arrivare ai 35 nelle classi di istituti superiori, che ascolto è possibile dare, a questo disagio? Come può un’insegnante che deve gestire il proprio orario come componesse un puzzle, in tre o quattro classi, conoscere i propri alunni se non per nome e cognome? Che fine fa la relazione educativa?

D’altra parte, si dice, questa riforma doveva servire a rendere efficiente l’apparato scolastico e l’efficienza di un sistema significa che lo stesso raggiunge nel migliore dei modi lo scopo per il quale è stato creato, con il minor impiego di tempi e mezzi. Il Ministro Gelmini forse dopo una lettura affrettata della definizione, ha ridotto al minimo i mezzi e i tempi, senza preoccuparsi della stretta connessione che questi elementi hanno con le finalità dell’insegnare e dell’apprendere.

La società di oggi chiede a tutti, anche ad alunni e insegnanti di ‘fare’: fare tanto,  fare bene; non di ‘agire’, cioè compiere azioni coordinate per uno scopo: di questa società e di questa cultura è figlia la riforma della scuola del ministro Gelmini. Non fosse che a scuola oggi, si riesce a ‘fare’ ben poco.

Credo che difficilmente si sarebbe potuto fare di peggio! In un solo colpo, diminuendo drasticamente il numero degli insegnanti ed i fondi destinati alla scuola, si è resa impossibile una proficua relazione educativa, base indispensabile per l’apprendimento, e si sono ‘accatastati’ nelle classi studenti, molti dei quali non sapranno spiegare un giorno perché hanno rinunciato agli studi.

Per finire, dopo aver ridotto il ruolo dell’insegnante a mero trasmittente di nozioni, lo si è costretto a confrontarsi tutti i giorni con la frustrazione di non avere mezzi e tempo per fare neppure quello! Rousseau avrebbe di che arrabbiarsi.

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Sembra un film. Anche a Portogruaro ci sarà un cinema?

17 ottobre 2010
Pubblicato da Lucia Steccanella

La notizia che oggi ho letto sul giornale è veramente straordinaria… insperata! Ecco, insperata è la parola giusta! Finalmente a Portogruaro ci sarà di nuovo il cinema! Ma come è successo? Ormai noi amanti delle sere passate davanti al grande schermo ci eravamo rassegnati e organizzati in trasferte bisettimanali!

Ebbene, un’associazione culturale, che si occupa proprio della gestione di sale (cinematografiche?), è riuscita ad ottenere la fiducia di numerosi e generosi sponsor ed i permessi per utilizzare una sala di proprietà di privati in centro storico che potrà ospitare un centinaio di spettatori. Si potrà divenire soci acquistando una tessera annuale che permetterà di accedere alla sala a prezzo modico e di partecipare alle varie rassegne cinematografiche già in programma. (Non ci posso credere! ci sono anche quelle!)

Accidenti, questo autunno mi piace già di più! Il cinema ha sempre avuto su di me una positiva influenza, migliora il mio umore, qualsiasi film io veda; mi porta altrove, o mi fa conoscere rappresentazioni di un altrove per me inimmaginabile; mi offre spunti di riflessione, canali in cui dirigere la mia rabbia, occasioni per piangere al buio, per scrutare il dolore del protagonista lasciandolo sulla poltrona prima di uscire o per condividerne la felicità portandone un po’ con me.

I miei ricordi iniziano con il rumore del proiettore nella stanza al piano terra della grande casa in cui abitavo, dove papà ci faceva sedere tutti in ordine: in prima fila i tre bambini più piccoli e la nonna, che non era più alta del più alto dei tre; subito dietro altri due fratelli e mia madre, poi, vicino al proiettore, immersi nella polverina di stelle che si muoveva intorno alla lampada della macchina e sull’origine della quale nascevano ogni volta storie collettive meravigliose, mio padre ed il fratello più grande, aiutante ufficiale per diritto di nascita, invidiato ma mai messo in discussione! La luce si spegneva, la bocca si chiudeva, salvo riaprirsi spalancata di stupore davanti alle immagini di noi stessi in bicicletta o al mare, piuttosto che dalla magia delle animazioni disneyane. Un po’ più tardi, io che delle forme del ricordo prediligo l’odore, non ho più dimenticato quello di chiuso che pervadeva la sala del Cinema Pellico, o quello delle gomme da masticare nella prima esperienza di ‘ressa’ per riuscire ad entrare al Cinema Sociale a vedere il Tempo delle mele. Alternavo il terrore di essere schiacciata da tutti quei ‘non – ancora adolescenti’ più alti di me, al timore di non riuscire ad entrare dopo il tiro alla fune con mio padre, durato due settimane per ottenere il permesso. Cercavo di non perdere la mia posizione nel gruppo mentre qualcuno si divertiva a diffondere voci non vere sul fatto che non ci fossero più biglietti, che i posti fossero occupati, che non si potesse stare seduti anche per terra, che la visione fosse già iniziata!

Ho continuato ad andare al cinema anche negli anni a seguire, un po’ controcorrente, soprattutto quando negli anni Ottanta era più diffusa la discoteca o lo stare intere serate al bar con il gruppo di amici. E oggi a quarant’anni, quando non hai un figlio al quale preparare la cena o un marito da aspettare, le serate offrono la possibilità, terminata la giornata lavorativa, di esercitare le proprie passioni in compagnia di coloro che le condividono! E così spessissimo dopo un rapido giro di telefonate il gruppo-cinema si ritrova in un parcheggio, riempie una macchina e si dirige a Pordenone, al Cinemazero, per vedere film che il più delle volte dai vari multisala, comunque non proprio nei pressi di Portogruaro, non sono neppure distribuiti. L’alternativa sarebbe costituita dal Cinema C, nella vicina Concordia Sagittaria, che però, per un appassionato è sempre un po’ in ritardo! I film presentati ai vari festival, di cui si legge la critica sui giornali e con la quale non si vede l’ora di confrontarsi, arrivano a Concordia per essere proiettati almeno un mese e mezzo dopo, senza considerare poi, che da primavera ad autunno viene sospesa ogni attività.

Avere finalmente e di nuovo un cinema a Portogruaro è davvero una notizia meravigliosa ! Oltre agli appassionati cinefili, che potranno evitare di salire in macchina in pieno inverno per spostarsi nel pordenonese, potranno avvalersene anche le famiglie con bambini piccoli, gli studenti, le insegnanti. Non è sottovalutabile infatti la valenza educativa del cinema, la possibilità attraverso questo mezzo di comunicazione di trasmettere valori importanti come il rispetto dell’altro, o la capacità, oggi assolutamente indispensabile, di valutare criticamente i messaggi del grande come del piccolo schermo. Il cinema è maestro di vita!

Nella realtà di oggi siamo coscienti del peso che la civiltà delle immagini ha nella creazione di visioni del mondo e di rappresentazioni dell’altrove, a testimonianza di questo cresce sempre più l’interesse di insegnanti e operatori culturali per l’uso didattico del cinema. Non si può dimenticare come i film ci portano in altre terre, come ci avvicinano ad universi lontani e come sono fonte di conoscenza di altre culture.

Non si può dimenticare come i film ci portino in altre terre, come ci avvicinino ad universi lontani e come siano fonte di conoscenza di altre culture.

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Cambiare musica. Al Teatro Russolo il programma rimane chiuso

15 ottobre 2010
Pubblicato da Max Bazzana

Secondo anno di attività del Teatro Russolo. Seconda presentazione del calendario delle proposte performative. Molto ben dettagliato ed organizzato. Tuttavia, per il secondo anno di seguito non vedo alcun evento legato ai gruppi culturali ed ai soggetti associativi del nostro territorio.

Leggo le suddivisioni: prosa, danza, cabaret e teatro comico, lirica e concertistica, giovanissimi, teatro scuola e l’altra musica. Oltre al fatto che ‘teatro scuola’ per gli addetti ai lavori identifica il percorso educativo teatrale che si compie in ambiente scolastico e non la categoria degli spettacoli con finalità psicopedagogiche indirizzati ai ragazzi (che invece si chiama ‘teatro ragazzi’), mi colpisce che sia rimasto l’utilizzo del termine “l’altra musicaâ€. E’ diventata una battuta ricorrente tra i musicisti e/o musicanti del portogruarese chiedersi vicendevolmente: “Ma tu fai musica o l’altra musica?â€. Probabilmente è il dubbio amletico che lo stesso Russolo si pose costruendo i suoi intonarumori: “Ma faccio musica o l’altra musica o… solo casino?â€. Per non parlare dei cori russi che Battiato mal sopporta, chissà di che musica fanno parte… Torno a rileggere il programma per vedere se accanto a ‘l’altra musica’ mi sia sfuggita la categoria ‘musica’ e non la trovo. Lo so, lo so! La categoria posta sull’altro piatto della bilancia è ‘lirica e concertistica’, questa è la vera categoria musica, e poi c’è l’altra musica.

L’anno scorso, durante la presentazione del programma di apertura del teatro, ho sentito dire che “la musica è un linguaggio universaleâ€, ma qui ce ne sono due di musiche… qual è quella più universale? Beh, almeno su questo so dare risposta: nessuna delle due, perché la musica non è un linguaggio universale, semmai è un contenitore di molteplici linguaggi o tipologie di comunicazione sonora. Forse che la classica è più universale di altre? Ricordo che un sovrano orientale venne invitato dall’imperatore d’Austria ad assistere ad un concerto. Al termine dell’esibizione il sovrano orientale un po’ annoiato disse che l’unica parte che lo avesse davvero colpito e interessato era quella iniziale… Non intendeva, però, il momento del preludio o dell’ouverture ma quel ‘classico’ nuvolo di suoni che precede ogni concerto in cui ogni strumentista prova, scalda e accorda il proprio strumento.

Personalmente trovo molto musicale ascoltare il suono del phon: in particolari condizioni è più dolce e delicato di una ninna nanna o di un notturno di Chopin. Ma forse questa è una mia patologia mentale, forse ho ascoltato troppa Musique Concrète! Anche se le mie orecchie hanno sentito dei pazzi in giro per il mondo che compongono suite per porta scricchiolante o chiamano un’intera orchestra (e la pagano!) per stare 4 minuti e 33 secondi in silenzio. Per non parlare di chi suona usando oggetti come scope o secchi dell’immondizia! E ci sono pazzi che addirittura ascoltano e trovano piacere nell’ascoltare ‘ste cose!

Che abbia, forse, più senso parlare di una sola musica e intenderla contenitore di tanti generi o tipologie o linguaggi sonori? Fosse così, allora, che cosa sia musica o non sia musica lo decide ogni essere umano in base ai propri desideri e bisogni. E forse, allora, le vere categorie di distinzione sono davvero altre e da cercare seguendo e controllando in cosa confluiscono i flussi di denaro pubblico.

Mi dispiace, infatti, constatare che nonostante l’appianamento del debito di quasi un milione di euro, la Direzione artistico amministrativa della fondazione Santa Cecilia non abbia ancora assunto apertamente un cambiamento di rotta per quanto riguarda gli intenti e le finalità. Ciò si esplica non solo con la poca attenzione all’utilizzo delle parole e delle categorie, ma anche con la ribadita mancanza di volontà di aprirsi ad un lavoro di rete con le realtà del territorio. Questa è una scelta che potrebbe abbattere i costi di gestione, ma certamente metterebbe in moto un processo positivo e costruttivo tra i vari soggetti, attenuando anche i normali processi competitivi per l’allocazione delle risorse pubbliche e private.

Chissà quando questo modo chiuso di amministrare cambierà musica.

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Il nostro Teatro. Pagare tutti per pagare meno

13 ottobre 2010
Pubblicato da Mariella Zanco

La presentazione del programma del Teatro Russolo, avvenuta il 10 settembre scorso, ci dà l’occasione di riflettere, nella nostra posizione di cittadini-fruitori-educatori (cioè tutti noi) su cosa  significhi avere un teatro comunale. Un teatro comunale non è un teatro privato, sul quale poco si può discutere, sia per quanto riguarda le scelte artistiche sia per quanto riguarda quelle economiche, perché tutte e due rispondono solo a leggi di mercato.

Un teatro cittadino non è l’occasione per uscire la sera  e vedere tanta bella gente ben vestita,  come qualcuno può pensare (anche se in questi tempi di crisi, si sa, il voluttuario attira i consumi proprio per esorcizzare la povertà). Non deve essere un luogo dove il facile consumo ci abitui a stare in poltrone comode a fare ciò che si potrebbe fare seduti su normali sedie a scuola o al lavoro. Non dovrebbe essere solo un luogo di celebrazioni, neanche se chi celebra fosse in grado di pagare tutte le spese. Un teatro comunale dovrebbe essere una sfida ad impegnare risorse pubbliche, se necessario, per offrire spettacoli di qualità a prezzi accessibili ed ospitare eventi selezionati ed importanti (non solo per numero di presenze) che abbiano la dignità per richiedere quello spazio. Ci piace pensarlo come un luogo dove troviamo l’altro da ciò cui abitua la televisione, altro per pensare e per costruire una coscienza, estetica ma non solo (in questo senso alcune delle offerte della prossima stagione hanno tutto il nostro favore). Al pari degli altri luoghi pubblici, deve essere programmato e  vissuto in una logica di città educativa; deve essere un luogo che serve  anche  a fare educazione. Così, con la stessa logica con cui si propongono i nomi dei parchi o delle vie, che devono sempre costituire un  modello per i cittadini, si deve intendere lo spazio pubblico degli eventi culturali.

Il teatro deve aiutare a formare il gusto, soprattutto delle nuove generazioni. E’ un imperativo morale ma anche utilitaristico: servirà a salvare i conti del teatro stesso in futuro perché esso dovrà riempirsi anche tra venti-trenta anni. Ci risulta difficile immaginare le nuove generazioni avvicinarsi al teatro così, d’incanto, dopo aver passato la giovinezza  tra l’attuale programmazione televisiva e i videogiochi.  Sta a noi permettere e facilitare questo avvicinamento prima di tutto contenendo il prezzo del biglietto degli spettacoli rivolti ai giovani, vista la situazione contingente in cui si trovano oggi le famiglie, costrette a provvedere a gran parte delle spese di funzionamento della scuola (specie della scuola dell’obbligo, dove accedono anche le famiglie in stato di povertà) e a fare i conti per qualsiasi consumo extra.

Quindi, se nessuno pretende la gratuità degli eventi, l’offerta alle scuole deve essere attentamente valutata, perché è nostro interesse mostrare ai ragazzi la differenza tra uno spettacolo teatrale di qualità, fatto per pensare, e ciò che sono abituati a vedere in tv, spesso al fine di non pensare affatto. E’ vero che esiste una lodevole iniziativa della Fondazione Venezia per portare i giovani a teatro con un costo molto ridotto (due euro e 50 cents), ma gli spettacoli offerti sono limitati, non tutti adatti ad un pubblico giovane e collocati in orario serale; solo eccezionalmente gli insegnanti possono organizzare uscite serali con studenti molto giovani che vanno comunque accompagnati e ripresi dal teatro dai genitori. L’amministrazione dovrebbe trovare il modo di  contenere il prezzo degli spettacoli rivolti espressamente agli studenti in orario scolastico, anche a costo di rivedere le spese dell’Assessorato alla Cultura o di aumentare un po’ il biglietto della normale programmazione serale. Infatti, non possono essere uno o due euro in più ad impedire a chi ama il teatro di assistere al prossimo spettacolo di Erri De Luca.

Si dirà: gli artisti costano, il teatro ha un sacco di spese… Ne siamo convinti, ma allora sarebbe meglio, proprio per un principio di  riduzione e condivisione dei costi, rinunciare alla politica degli  sconti sui biglietti e sugli abbonamenti alle associazioni culturali (un tipo di pubblico che non deve essere ‘invitato’ a frequentare il teatro perché già naturalmente incline a farlo) e delle gratuità offerte  a qualsiasi titolo per il pubblico adulto. Questa iniziativa da sola non ripianerebbe i conti, ma darebbe un segnale chiaro.

Se lo spettacolo mattutino per studenti  (Frankenstein, in cartellone a  maggio) viene offerto a 12 euro senza gratuità (con prenotazione effettuata dagli insegnanti molti mesi prima e pagamento anticipato di un mese sullo spettacolo) perché dovrebbero esserci sconti sugli abbonamenti  per professionisti e membri di associazioni culturali che, sicuramente, hanno percentualmente minori problemi economici della totalità della popolazione frequentante la scuola dell’obbligo?

Finiamo qui, con una domanda, ma solo perché aspettiamo una risposta concreta.

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