La Città Futura

il progetto rossoverde per Portogruaro
 

Referendum 8-9 giugno 2025: votiamo e portiamo a votare cinque sì

23 maggio 2025
Pubblicato da La Città Futura

Riportiamo qui la sintesi di alcuni aspetti economici dei referendum dell’8 e 9 giugno, testo pubblicato su il manifesto del 22 maggio (con una leggera riformattazione).
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Un paese impoverito e disuguale
di Mario Pianta

Lavoro povero e declino economico: è questa la fotografia del paese che emerge dal Rapporto annuale presentato ieri dall’Istat. Nel 2024 il Pil è cresciuto dello 0,7%, grazie alla tenuta delle esportazioni, mentre scendono consumi e investimenti. La produttività per ora lavorata è caduta dell’1,4%, gli investimenti non residenziali sono diminuiti, il volume della produzione industriale è calato del 4%, aggravando la caduta del 2% del 2023.
     Le persone che lavorano aumentano di 350 mila, ma per l’80% si tratta di ultra 50enni a cui è stato rinviato il pensionamento; il 40% di chi lavora oggi in Italia ha più di 50 anni. Il 17% di tutti i lavoratori è part time e tra le donne la quota è del 30%. Tra i giovani sotto i 34 anni un terzo ha contratti a tempo determinato o part time.
     Sul fronte dei salari è un disastro: rispetto al 2018 i salari di oggi hanno perso il 10% del loro valore reale (in Germania sono aumentati del 14%). Tra inizio 2019 e fine 2024, le retribuzioni contrattuali sono cresciute la metà dell’inflazione (10% contro 21,6%). E metà dei lavoratori dipendenti sono in attesa di rinnovi contrattuali. Con redditi di questo tipo, il 23% della popolazione è a rischio di povertà, e al Sud si arriva al 40%.

Fin qui l’Istat. Ma se guardiamo al di là dei dati medi nazionali, troviamo situazioni drammatiche. Se consideriamo le due milioni di posizioni lavorative peggio pagate, troviamo compensi annuali medi sotto i 700 euro, spesso per contratti di poche settimane, pagati se va bene 8 euro l’ora, con lavoratori che passano da un contratto all’altro. Sono gli effetti della precarizzazione del lavoro, dell’indebolimento del sindacato, dello strapotere delle imprese. A essere più colpiti sono i giovani – e i giovani laureati più degli altri – le donne, gli immigrati.
    Sono questi i risultati di trent’anni di politiche che hanno peggiorato i contratti e le condizioni di lavoro. Chi lavora è stato diviso in mille modi: tra chi ha i vecchi contratti con tutele adeguate e chi ha quelli, dopo il 2015, che consentono di licenziare senza giusta causa; tra chi lavora in imprese normali e chi è in piccole imprese più a rischio di licenziamento; tra chi è esposto a rischi di infortuni e chi è più al sicuro. Ma le disparità sono soprattutto tra chi ha un lavoro stabile e chi passa da un contratto precario all’altro, senza motivazioni adeguate; tra chi è a tempo pieno e a tempo parziale: quasi il 30% di lavoratori e lavoratrici è oggi a tempo determinato o part time. E per chi arriva dall’estero la vita si è fatta più difficile: per diventare cittadini italiani siamo passati da cinque a dieci anni di residenza legale in Italia.
    Con queste divisioni si è frammentata la società, siamo diventati più poveri e disuguali. Già: dove sono andati allora gli aumenti di reddito? È semplice: ai più ricchi. Il 10% più ricco degli italiani ha ora quasi il 40% del reddito totale (era il 28% quarant’anni fa). E soprattutto ai super-ricchi: l’1% più ricco ha raddoppiato la propria fetta della torta del reddito.

È questa l’Italia che vogliamo? Facciamo fatica a dire – collettivamente – di no. A riconoscere che siamo andati nella direzione sbagliata. Ma hanno detto di no – individualmente, in silenzio – anche i 150 mila cittadini italiani che sono emigrati all’estero nel 2024. A loro, e a tutti, dovremmo offrire un lavoro dignitoso, stabile, pagato non la metà dei salari tedeschi. 
     Â«Ãˆ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano la libertà e l’eguaglianza dei cittadini». Ce lo dice la Costituzione, all’articolo 3. Purtroppo, sono trent’anni che questi ostacoli non vengono rimossi, ma vengono innalzati. Le politiche dei governi hanno dimenticato gli obiettivi di libertà e uguaglianza tra le persone.

I referendum dell’8 e 9 giugno sono l’occasione per cancellare alcune di queste politiche sbagliate, politiche che hanno alimentato la sfiducia e aggravato la crisi della democrazia. Cambiare è possibile, è possibile dare più protezione a tutti. In un mondo pieno di derive autoritarie, lo strumento che abbiamo è proprio la pratica della democrazia, a cominciare dalla partecipazione al voto per i referendum. (L’abbiamo scritto nell’Appello «Vivere da cittadini, lavorare con dignità» lanciato da 40 personalità, tra cui il Premio Nobel Giorgio Parisi.)

L’8 e il 9 giugno portiamo a votare chi non vota più, chi è stato più colpito dall’esclusione e dalla precarietà. Per cambiare strada, per diventare un po’ meno disuguali, l’8 e il 9 giugno votiamo cinque Sì.


il manifesto
, 23 maggio 2025

 

 

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Portogruaro, la città futura

15 agosto 2022
Pubblicato da Adriano Zanon

Con piccoli ritocchi, riporto qui la seconda parte di un articolo scritto due anni fa durante la campagna elettorale per le amministrative del 2020.

 

Il tema della mobilità di Portogruaro non può essere ridotto alla buona funzionalità o efficienza delle strade e delle ferrovie di cui la città è un eccezionale nodo, ma questo fatto geografico e storico deve finalmente essere riconosciuto come l’opportunità per far vivere meglio i propri cittadini, quelli del suo territorio più prossimo e quei visitatori frequenti o occasionali, compresi i turisti.

E’ necessario mettere in cantiere un piano che non preveda il centro storico come un paio di strade come le altre nella rete viaria, ma il luogo dove la bellezza degli aspetti ambientali e delle strutture storiche, dal fiume Lemene ai portici, dal parco della Pace (veramente unico) ai molti palazzi (privati), rafforzino la funzione scolastica, ora anche universitaria, la vocazione culturale (teatrale e musicale), la tradizione commerciale di negozi, mercati e fiere, la presenza dei servizi professionali, la vocazione conviviale dei bar e dei ristoranti. Un piano chiede degli obiettivi, delle tappe, un aggiornamento costante e quando serve anche una particolare revisione. E questo tipo di piano chiede anche il massimo consenso possibile.

Serve dunque un progetto chiaro e declamato per una città esemplare di una nuova politica del consumo di suolo, del consumo di energia, dell’abbattimento delle emissioni da combustibili fossili. E finalizzato alla sicurezza e al miglioramento del territorio e del livello della vita quotidiana. In particolare, si deve al più presto:

(1) attivare la ZTL nel centro storico;
(2) realizzare una rete di piste ciclabili perfettamente integrate nella città e nel collegamento con le frazioni e i comuni limitrofi;
(3) realizzare la piccola circonvallazione, un anello, appena fuori le torri e in senso unico (dove serve);
(4) recuperare alcune aree in centro storico, inutilizzate da decenni, in uffici e luoghi utilizzabili da associazioni culturali e altre aree appena fuori le mura per eventuali parcheggi;
(5) realizzare nuovi parchi naturali in grado di permettere lo sviluppo equilibrato e non cementificato del territorio urbano esteso;
(6) dotare di alberi le strade ormai sguarnite e recuperare quelle storiche (viali Matteotti e Trieste) e piantarne altri in ogni dove.

Il Comune dev’essere protagonista, naturalmente insieme a tutte le istituzioni coinvolte, per risolvere i problemi dei grandi nodi viari e ferroviari, a partire dalla SMFR, che seppur abbandonata come progetto dovrebbe avere un ruolo decisivo nella mobilità e quindi per la vivibilità anche del nostro territorio dei prossimi decenni. Come resta fondamentale per l’intero territorio una lungimirante ma anche immediata nuova politica per l’assetto idrogeologico, l’altra faccia della gestione del suolo.

Tutto questo non è utopia, è un atto di realismo politico e amministrativo. E’ invece assurdo continuare nella direzione in atto, che si manifesta da alcuni anni con pericolose cementificazioni, con decennali obsolescenze di strutture abitative ed economiche, con danni materiali e morali alle comunità e con gravi rischi idrogeologici in gran parte del territorio.

Si può cominciare anche tardi a invertire la rotta. Meglio tardi che mai. 

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Portogruaro deve cambiare rotta su suolo e mobilità

15 agosto 2020
Pubblicato da Adriano Zanon

 

Portogruaro oggi

A cinque settimane dalle elezioni a Portogruaro sono pressoché noti i candidati sindaco e le liste associate. Meno chiari e diffusi sono invece i programmi che perlopiù si riducono a una serie di buone intenzioni, di questioni aperte, oppure di semplici slogan, ma senza dati e analisi. Tutto ciò è coerente con una delle forme di pensiero più diffuse, quella che vuole il candidato sindaco assolutamente davanti a qualsiasi progetto o piano di amministrazione del Comune. Già, perché il sindaco sarebbe una garanzia, mentre i programmi si possono cambiare in ogni momento. Ebbene, io la penso esattamente al contrario, ma non sono l’unico a Portogruaro. Prendiamo una questione fondamentale come la mobilità, spesso ridotta a viabilità, e un candidato come Stefano Santandrea. Costui è senz’altro il più prolifico di idee e il più generoso di comunicazioni, per noi anche il più affidabile, perciò lo utilizziamo come unico riferimento possibile in chiave critica.

Una settimana fa Santandrea ha pubblicato sul suo blog, eppoi diffuso, il testo”Viabilità: le occasioni mancate e i progetti da realizzare”, dove si toccano con precisione quasi tutti questi temi. Stiamo parlando, dice Santandrea, di “un tema di rilevante importanza per la vivibilità e la crescita di Portogruaroâ€, perché “non c’è dubbio, infatti, che la competitività e la crescita sostenibile di un territorio siano legati alla sua dotazione infrastrutturaleâ€. Qui notiamo subito i due legami vivibilità-crescita e competitività-crescita sostenibile. Siamo solo alle premesse, ma in questi due legami abbiamo già un orizzonte politico e strategico. Ma vediamo ancora.

Dopo la premessa, Santandrea scrive che si deve praticamente riprendere un programma già avviato e abbandonato nel 2015 dall’amministrazione Senatore: (a) sullo stato di Viale Pordenone, (b) sulle piste ciclabili (ridotte a nomignolo di “viabilità lentaâ€) e (c) sulla SFMR (la metropolitana di superficie) e che tutta “la questione dovrebbe essere costantemente al centro dell’agenda politica-amministrativa. Un’agenda che in futuro dovrà contenere proposte concrete anche su altri temi importanti†(e si riferisce alle questioni delle infrastrutture che riguardano Portogruaro come nodo viario e ferroviario). E Santandrea chiude che “bisognerà rimboccarsi le maniche per provare a dare risposte a tutte queste questioniâ€, cioè ne fa un oggetto importante ma non ipotizza o anticipa nessuna soluzione concreta. Perché?

Sia chiaro che le posizioni di Santandrea che qui abbiamo estratto sono comunque le più lucide tra quelle dei protagonisti di questa corsa elettorale. Ma hanno una premessa sbagliata: che si tratti di governare bene la ripresa del vecchio corso, del vecchio sviluppo, quello che vedrà l’aumento della viabilità frenata dai problemi infrastrutturali. Della crisi economica, sociale e politica a livello globale, non si accenna. Non c’è il cambiamento climatico e le sue conseguenze, non ci sono le migrazioni, non ci sono il populismo ed il sovranismo e naturalmente non c’è la pandemia, l’ultimo sintomo. Non c’è minimamente il dubbio che dobbiamo avere più fantasia nell’ipotizzare un futuro assai diverso e maggior coraggio nel rovesciare le tendenze in atto da troppo tempo. E la timidezza di Santandrea si coglie bene dall’appena accennato tema della ZTL (in termini di “accessibilità delle aree centrali e storiche cittadineâ€) e all’assenza di questioni legate come la difesa del suolo da ulteriore cemento e asfalto e il rapporto tra il centro storico e il suo vasto territorio dal punto di vista culturale e turistico, per esempio con le riviere, con reciproche soddisfazioni anche economiche.


La città futura

Insomma, il tema della mobilità di Portogruaro non può essere ridotto alla buona funzionalità o efficienza delle strade e delle ferrovie di cui la città è un eccezionale nodo, ma questo fatto geografico e storico deve finalmente essere riconosciuto come l’opportunità per far vivere meglio i propri cittadini, quelli del suo territorio più prossimo e quei visitatori frequenti o occasionali, compresi i turisti.

E’ necessario mettere in cantiere un piano che non preveda il centro storico come un paio di strade come le altre nella rete viaria, ma il luogo dove la bellezza degli aspetti ambientali e delle strutture storiche, dal fiume Lemene ai portici, dal parco della Pace (veramente unico) ai molti palazzi (privati), rafforzino la funzione scolastica, ora anche universitaria, la vocazione culturale (teatrale e musicale), la tradizione commerciale di negozi, mercati e fiere, la presenza dei servizi professionali, la vocazione conviviale dei bar e dei ristoranti. Un piano chiede degli obiettivi, delle tappe, un aggiornamento costante e quando serve anche una particolare revisione. E questo tipo di piano chiede anche il massimo consenso possibile.

Serve dunque un progetto chiaro e declamato per una città esemplare di una nuova politica del consumo di suolo, del consumo di energia, dell’abbattimento delle emissioni da combustibili fossili. Un piano finalizzato alla sicurezza e al miglioramento del territorio e del livello della vita quotidiana. E in tema di mobilità si deve al più presto:

(1) attivare la ZTL nel centro storico;
(2) realizzare una rete di piste ciclabili perfettamente integrate nella città e nel collegamento con le frazioni e i comuni limitrofi;
(3) realizzare la piccola circonvallazione, un anello, appena fuori le torri e in senso unico (dove serve);
(4) recuperare alcune aree in centro storico, inutilizzate da decenni, in uffici e luoghi utilizzabili da associazioni culturali e altre aree appena fuori le mura per eventuali parcheggi;
(5) realizzare nuovi parchi naturali in grado di permettere lo sviluppo equilibrato e non cementificato del territorio urbano esteso;
(6) dotare di alberi le strade ormai sguarnite e recuperare quelle storiche (viali Matteotti e Trieste) e piantarne altri in ogni dove.

Naturalmente, il Comune dev’essere protagonista con tutte le istituzioni coinvolte per risolvere i problemi dei grandi nodi viari e ferroviari, a partire dalla SMFR, che seppur abbandonata come progetto dovrebbe avere un ruolo decisivo nella mobilità e quindi per la vivibilità anche del nostro territorio dei prossimi decenni. Come resta fondamentale per l’intero territorio una lungimirante ma anche immediata nuova politica per l’assetto idrogeologico, l’altra faccia della gestione del suolo.

Tutto questo non è utopia, è un atto di realismo politico e amministrativo. E’ invece assurdo continuare nella direzione in atto, che si manifesta da alcuni anni con pericolose cementificazioni, con decennali obsolescenze di strutture abitative ed economiche, con danni materiali e morali alle comunità e con gravi rischi idrogeologici in gran parte del territorio. Si può cominciare anche tardi a invertire la rotta. Meglio tardi che mai. 

 

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La Città Futura. Dal 2015 al 2020

21 luglio 2020
Pubblicato da Adriano Zanon

 

Subito dopo la sconfitta del 2015 Terenzi ottenne la disponibilità di Lcf ad un lavoro comune in vista dell’opposizione in Consiglio comunale. Il team prese il nome di “Centro Sinistra – Avanti insiemeâ€. Ma la cosa durò poco, un anno, forse un anno e mezzo. Ci fu un importante momento di lotta comune quando all’inizio del 2016 ci si oppose al progetto della maggioranza di destra che voleva un parcheggio nell’area verde di via Valle. Con l’iniziativa forte e decisiva di Lcf, ci fu una notevole partecipazione ad una manifestazione sul posto, con la raccolta di un migliaio di firme. Il sigillo di questa lotta fu un documento comune della vecchia coalizione del 13 gennaio 2017 per combattere il tentativo della maggioranza di finanziare la costruzione del contestato parcheggio con fondi impropri. Poi i rapporti si allentarono.

Le cause della separazione vanno cercate in diversi livelli e luoghi politici. C’era un primo dato, mai apertamente discusso. La disponibilità dimostrata da noi nella corsa per Terenzi sindaco, non era stata premiata ma per noi le cause erano da cercare tutte all’interno del Pd, mentre i danni furono subiti soprattutto dai suoi alleati. E questa fu una questione mai affrontata all’interno dei successivi rapporti.

Nel quadro nazionale già accennato c’è stata in realtà la deriva di tutta la sinistra nazionale, dal Pd alle piccole forze residue (Rc, Sel, poi Sinistra Italiana, Verdi), ai tentativi di nuove formazioni (Alba), alle alleanze occasionali (Altra Europa). Una crisi senza fine. In particolare nel Pd, dopo la sconfitta al referendum costituzionale del dicembre 2016 che vide la caduta di Renzi, si aprì una frantumazione quasi incredibile che non si vedeva dalle scissioni storiche del partito socialista di un secolo prima. Già a giugno 2015 Pippo Civati aveva fondato Possibile, mentre nel febbraio 2017 uscì Articolo Uno (Bersani, D’Alema, Speranza e altri) per far anche una coalizione alle elezioni nazionali del 2018 (Liberi e Uguali, insieme con Sinistra Italiana e Possibile) che non arrivò a fine 2018. Poi (finalmente) nel settembre 2019 uscì Renzi con Italia Viva. Infine Carlo Calenda a novembre 2019 ha fondato Azione.

Ma la crisi della sinistra e del Pd in particolare è stata simultanea all’avanzata prima del M5S (alla Camera 25,6% nel 2013 e 32,8% nel 2018) e poi della Lega di Salvini (passata dal 4,1% del 2013 al 17,4% del 2018, ma ben al 34,3% alle Europee di metà 2019). Così l’agenda politica nazionale è stata dettata dai populisti e sovranisti italiani, ultimi arrivati in termini di tempo ma in grado di governare, anche se insieme solo per poco più di un anno (governo Conte I, giugno 2018-settembre 2019).

Più lontano nel mondo, ma per noi non meno importante, durante la seconda parte del 2018 a livello internazionale è successo qualcosa d’inaspettato, anche se più che necessario. Nel dibattito sempre minimizzato sul riscaldamento globale e sul cambiamento climatico irrompe una ragazzina svedese adolescente, Greta Thunberg, che protesta solitaria fuori della scuola saltando le lezioni del venerdì. Poche settimane dopo nasce il movimento Friday for Future che innesca proteste e manifestazioni in tutto il mondo. I problemi ecologici e dell’ambiente arrivano finalmente al pubblico mondiale, ineliminabili dalle agende politiche. (Ma in Italia, dove ci sono molti rischi e risvolti critici, chi se ne fa carico?)

In questo quadro generale, al punto forse più alto del populismo e del sovranismo italiano, poteva Lcf dedicarsi a una battaglia consiliare in alleanza col Pd? In difesa di cosa? Di Portogruaro minacciata dai barbari o di una coalizione che non è mai stata dichiaratamente sia di sinistra che ecologista? Alla resa dei conti, l’ipotesi della collaborazione all’opposizione, ma con quattro consiglieri del Pd e nessun altro della coalizione elettorale, si è dimostrata ben presto impraticabile. Nel nuovo quadro politico delineato emergeva sempre più la distanza tra la realtà Pd e il progetto rossoverde. Potevamo o dovevamo lavorare con Terenzi che si barcamenava tra Renzi (il Pd nazionale) e Bertoncello (il Pd locale), tra una buona opposizione in Consiglio comunale e la propaganda sul voto al referendum renziano? Cosa si poteva fare con lui e cosa si poteva fare da fuori? Niente o poco più, senza elezioni in vista. Questa sarebbe stata l’impossibile conferma di una nostra subalternità ad una forza politica con cui condividevamo alcune grandi idee, forse il campo politico, ma non certamente grandi progetti. E questa conferma non c’è stata senza alcuna difficoltà al nostro interno. Così, a settembre 2018 quando noi di Lcf ci ritrovammo, convivialmente com’è sempre stato nostro costume, restammo semplicemente concordi che dalla nostra stasi poteva uscire qualsiasi cosa, anche niente.

Oggi è chiaro che il nostro errore fu commesso proprio nella primavera del 2015, quando decidemmo di presentarci ancora in coalizione. La stessa vittoria della Senatore al ballottaggio dimostrò tutta la presunzione sulla necessità di una coalizione compatta già al primo turno, qualcosa che implica perdita di visibilità alle singole liste e azzera lo spazio contrattuale all’eventuale ballottaggio. Una presunzione poi elevata al quadrato proprio nel ballottaggio da parte di Terenzi, che volle andare al voto senza alcun appello ad altre forze più o meno disponibili. E presunzione e scarso realismo a ben vedere sono stati il nostro grave limite politico, sintetizzabile in sostanza con quello che una volta si descriveva come il ruolo della “mosca cocchiera”. Per questo, si noti l’espressione usata nel citato documento del 9 aprile 2015 sulla possibilità di avere “un’amministrazione comunale in linea con i nostri progettiâ€.

Quest’anno, nel 2020, la Lista rossoverde La Città Futura non si presenta più come tale al rinnovo del Consiglio comunale. In una rapida verifica ci sono state opinioni diverse e non c’era più l’unità d’intenti. 

Ma questa è stata un’esperienza unica nella vita politica e civile della comunità di Portogruaro, grazie all’intelligenza e l’impegno di tutti coloro che in questi anni hanno partecipato alle discussioni e alle attività della lista, coloro che hanno avuto un ruolo in Consiglio e nella Giunta comunale, coloro che ci hanno appoggiato e votato nelle diverse elezioni comunali. 

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La Città Futura. Dal 2004 al 2015

20 luglio 2020
Pubblicato da Adriano Zanon

 

L’anteprima della La Città Futura (Lcf) – Lista Rossoverde fu la lista formata dalla Federazione dei Verdi e da Rifondazione Comunista (Rc) che nel 2004 prese 950 voti (7,0%), il 14,5% della coalizione per Antonio Bertoncello sindaco (6.530 voti). La lista elesse due consiglieri, Ermes Drigo e Ivo Simonella, che divenne assessore e fu sostituito da Maurizio Gobbato. La vita della piccola coalizione elettorale ovviamente non fu facile, nonostante il forte feeling tra Ermes ed Ivo, o forse a causa di questo.

Nel 2009 Rc ruppe infatti l’unione elettorale e si presentò da sola prendendo 275 voti (2,0%, con Andrea Buffon candidato sindaco a 293 voti). Mentre la lista Lcf, appena nata, si presentò alleata per Bertoncello sindaco e prese 767 voti (5,5% e 12,7% della coalizione che ebbe 6.056 voti). La somma virtuale delle due liste ex alleate fu di 1.042 voti (7,4% e 17,2% della coalizione) ed il rapporto Lcf/Rc= 2,8. Ma dopo il ballottaggio si presentò la situazione dell’anatra zoppa, ovvero Bertoncello eletto sindaco con la maggioranza in consiglio comunale del centrodestra (cdx).

Nel 2010 si dovette dunque rivotare. Lcf prese 570 voti (-197 voti e 4,2%, l’8,4% della coalizione). Anche Rc arretrò a 158 voti (-112 voti e 1,2%), mentre la coalizione salì a 6.818 voti. Lcf ottenne un solo consigliere, Ivo Simonella, che divenne assessore lasciando il posto alla capolista Patrizia Daneluzzo. Nell’ultimo anno amministrativo Ivo Simonella si dimise e fu nuovamente sostituito da Patrizia Daneluzzo – stavolta come assessore – a sua volta sostituita da Lucia Steccanella come consigliere.

Il quinquennio dal 2010 al 2015 fu un periodo amministrativo assai difficile, per diversi motivi. Per primo, perché Lcf con un solo consigliere sui dodici della maggioranza, quindi ininfluente, diminuì parecchio il potere contrattuale in coalizione. E le dimissioni di Ivo Simonella un anno prima della fine amministarzione non furono certo casuali.

Per secondo motivo, va ricordata la situazione economica e politica nazionale, dove a seguito della crisi finanziaria internazionale del 2008-2009 ci fu la caduta del pil nazionale (-8,5% in due anni) e il conseguente balzo del rapporto tra debito pubblico e pil, passato dalla media del 100% degli anni 2002-2007, alla progressione fino al 132% del 2013 – il livello caratteristico prima della crisi attuale legata alla pandemia del Coronavirus Disease 2019 (Covid-19). Gli interventi dei governi Berlusconi IV, Monti, Letta e Renzi furono infatti molto duri per le amministrazioni locali con il blocco della capacità di spesa e le difficili scelte conseguenti.

Il terzo motivo, apparentemente con un impatto locale meno appariscente, fu il forte cambiamento della vita politica italiana. Dapprima con l’avvento del M5S che alle sue prime elezioni politiche del 2013 prese il 25,6% alla Camera, riducendo tra gli altri il Pd dal 33,2% del 2008 al 25,4% del 2013. Poco dopo ci fu il cambiamento nello stesso Pd, con l’arrivo di Matteo Renzi, prima alla segreteria del partito (dal dicembre 2013 al febbraio 2017) e poi alla Presidenza del Consiglio (dal febbraio 2014 al dicembre 2016). Le sue politiche di governo, con l’iniziale job act e la finale riforma costituzionale, furono un problema sia interno al Pd che nelle sue alleanze locali. Insomma, a sinistra non era facile parlare di unità, ma anche di semplici alleanze su progetti.

E alla fine del quinquennio Lcf marcò la sua diversità dal resto della maggioranza municipale su aspetti strategici. Come scrivemmo nel documento  del 14 novembre 2014:

Così, la seconda parte del mandato amministrativo è stata segnata da un lato dalla crisi economica e dall’altro da discussioni su progetti concreti per il territorio comunale fortemente condizionati dalla crisi medesima. In realtà, aldilà di riorganizzazioni degli assessorati non sempre chiare nelle finalità, non si è cambiato direzione, priorità e marcia nell’amministrazione. Anzi, le vicende politiche nazionali ed i riflessi in particolare sul Pd, l’unico vero partito nazionale presente in coalizione, che ha cambiato composizione ed equilibri interni, con conflitti perlopiù legati ad interessi personali, hanno esasperato progressivamente la prassi antica alla politica specifica di accontentare il singolo cittadino, piuttosto che guardare in modo nuovo allo stato della comunità. Emblematici di ciò i casi della ZTL e del PAT, due occasioni per progettare il futuro che sono state svilite e sulle quali ci siamo differenziati dal resto della maggioranza con chiarezza.

Ma nel 2015, nonostante questa netta presa di posizione, Lcf si ripresentò alle elezioni amministrative  ancora in coalizione col csx che aveva in Marco Terenzi il nuovo candidato sindaco, chiedendo soprattutto la lealtà e la chiarezza necessarie tra alleati. E anche pubblicamente, come Ivo Simonella con una breve nota sul nostro sito (17 marzo 2015), in cui scrisse tra l’altro: “Con Bertoncello si chiude un’epoca per il centrosinistra a Portogruaro. Ora servono forti segnali di rinnovamento”. E con una nota collegiale (9 aprile 2015): “Noi pensiamo che il Pd di Portogruaro non sia uguale al Pd nazionale e che sia possibile trovare con questo partito locale e le sue articolazioni elettorali un terreno d’accordo per un’amministrazione comunale in linea con i nostri progetti.â€

Alle elezioni lealtà e chiarezza non bastarono, né a noi né alla coalizione. Il Pd portogruarese, anticipando successivi processi nazionali, si disgregò con la perdita di protagonisti che dalle elezioni furono anche premiati personalmente: Angelo Morsanutto come assessore, Giorgio Barro e Cristian Moro come consiglieri. E molti altri parteciparono all’esodo. E altri ancora lo fecero senza esternarlo. Il danno fu chiaro e decisivo per la coalizione di csx, l’esito delle elezioni e gli equilibri successivi.

Nel 2015 infatti Lcf prese 417 voti (-153 voti, -27% sul 2010 e 3,5% dei voto validi, il 10,1% della coalizione). L’intera coalizione prese solo 4.144 voti (contro i 6.818 del 2010, un disastro da -39%). Ma soprattutto, l’esito del ballottaggio vide la vittoria di Maria Teresa Senatore che univa l’armata Brancaleone delle destre e nuovi affiliati dell’ultimissima ora. Si arrivò così all’esclusione di Lcf dal consiglio comunale, che peraltro scendeva da 20 a 16 membri, di cui 10 alla maggioranza e solo 4 su 6 dell’opposizione all’area Pd, Terenzi compreso. E sembrò proprio confermata anche la fine politica di Antonio Bertoncello (peraltro candidato non eletto alla Regione), che fu ripetutamente assessore fin dal 1991 e poi sindaco dal 2004 al 2015, con la breve pausa del commissario per l’anatra zoppa. Il suo successore ora era all’opposizione. 

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C’è a chi piace vincere facile e chi sbaglia bersaglio

13 luglio 2017
Pubblicato da Ivo Simonella

 

Ieri sera sono stato, in disparte, a osservare la manifestazione della Lega contro gli immigrati. Ci saranno state 200 persone, non so se tutte di Portogruaro. Ho sentito cose che mi hanno fatto ribollire il sangue e rivoltare lo stomaco. Tante bugie dette sapendo di dirle e a ogni bugia scrosci di applausi.

Intanto perché manifestare lì? Che cosa c’entrano le 28 PERSONE che sono state portate in via S. Giacomo? Se dovevano protestare, perché non lo hanno fatto a Venezia contro il “colpevole†di tutto questo, vale a dire il Prefetto? Ascoltando i discorsi è apparso subito chiaro il motivo: ciascuno di quelli che ha parlato ha chiesto di votare per la Lega, perché solo loro saprebbero come fare per bloccare l’immigrazione. Peccato che la Bossi-Fini, voluta dalla Lega, non abbia risolto il problema.

Nei discorsi fatti dai capipopolo si son sentite cose incredibili: Forcolin che ritira fuori il discorso dei 35 euro che verrebbero dati agli immigrati, sapendo bene che nelle loro tasche di euro ne finiscono soltanto 2,5. Che non ci sarebbe lavoro per gli immigrati, quando invece moltissime aziende venete avrebbero chiuso senza la loro manodopera.

La Zanutto che si indigna perché agli Italiani vengono imposti 12 vaccini mentre agli immigrati è concesso arrivare e stare qui senza alcuna vaccinazione, evitando di dire che appena arrivati nei centri di accoglienza vengono sottoposti a screening sanitario e alla profilassi necessaria, vaccini compresi.

L’uso continuo del termine “clandestino†anziché “richiedente asilo†che ha tutto un altro significato, ma altrimenti come si fa a fomentare odio a scopo puramente elettorale?

Un altro (Da Re?) che invita a fare le barricate per fare andar via questi 28 che sono qui in vacanza: provi a sentire una sola delle storie di questi ragazzi, provi a farsi raccontare cosa hanno dovuto passare per arrivare fin qui, quali rischi hanno corso, quante volte hanno visto la loro vita messa a repentaglio.

“Nessuno di questi ha diritto all’asilo!â€. E come fa lui a saperlo? E’ arrivato addirittura a dire che il PD li va a prendere in Africa per portarli qua dove hanno la villeggiatura garantita dai cittadini onesti che pagano le tasse ma che non si vedono riconosciuti gli stessi diritti che, invece, vengono garantiti agli immigrati.

E poi il discorso delle case date agli immigrati e non agli Italiani che sono in graduatoria da anni per avere un alloggio popolare, cittadini che non ce la fanno ad arrivare a fine mese; pensionati, che hanno combattuto sul Piave e che oggi vivono con una pensione misera.

Mi chiedo che senso ha protestare contro gli immigrati – che probabilmente erano convinti di arrivare in un Paese civile e che, invece, hanno dovuto assistere a uno show fatto di miseria umana – e non contro i veri responsabili del disagio sociale che investe molti cittadini e cittadine? Perché quelli presenti ieri sera in via San Giacomo, anziché attaccare 28 giovani incolpevoli del loro stare lì, non si son recati all’Ater a protestare per avere la casa o sotto la Prefettura o davanti al Municipio? Perché non se la prendono con i veri responsabili di quelle decisioni che ritengono ingiuste?

Facile prendersela con i più deboli; facile veicolare informazioni sbagliate tra persone che ignorano i fatti e che sono facilmente influenzabili; facile cavalcare l’onda del disagio per seminare odio; facile mettere poveri contro poveri, disperati contro disperati.

E’ un gioco al massacro stupido e pericoloso che serve unicamente come arma di distrazione dai veri responsabili, dai veri problemi, dalle questioni davvero importanti per questo Paese. Un modo per guadagnare voti proponendosi come salvatori della Patria, sapendo di non avere – perché i fatti lo dimostrano – nessuna verità rivelata, nessuna soluzione praticabile.

A Portogruaro siamo poco più di 25 mila abitanti. Che peso potranno mai avere 28 persone in più? Non immigrati, non richiedenti asilo. Persone.

Ieri sera ho provato disgusto e vergogna e rabbia. Ma ho pure rivisto un film che la Storia ha già visto troppe volte: quella di un popolo che attacca un nemico immaginario creato ad arte dai furbi di turno per non mostrare quali sono le vere magagne delle loro stesse azioni. Un popolo che se la prende con chi sta peggio e non con chi gode di privilegi veri, quelli sì responsabili dei disagi sociali che questa società, in numero sempre crescente, è costretta a vivere. Un popolo che non si rende conto di quanto è rischioso mettersi gli uni contro gli altri e di come, in passato, questo ha portato alla perdita del bene più prezioso: la Pace.

(Post pubblicato il 13 luglio 2107 sulla postazione Facebook dell’autore)

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Un parcheggio pieno di sciocchezze

13 gennaio 2017
Pubblicato da La Città Futura

Paradossali incoerenze

Parcheggio di Via Valle a Portogruaro e Programma sperimentale nazionale di mobilità sostenibile casa-scuola e casa-lavoro (Legge 28.12.2015 n. 221 art. 5 – Decreto Ministeriale n. 208 del 20.7.2016).

Un anno fa la Giunta Senatore aveva inteso adibire a parcheggio l’area verde di Via Valle adiacente alla Scuola Pascoli, infischiandosene delle numerose prese di posizione di cittadini e residenti, ignorando le osservazioni contrarie di comitati, associazioni e forze politiche e tentando di far trasferire il milione di euro di finanziamento regionale per la realizzazione del park interrato nell’area del Pio X (progetto indubbiamente più funzionale alla valorizzazione del centro storico). Fortunatamente il progetto, che aveva lo scopo di creare 105 posti auto a servizio del Centro Storico, fu bocciato dalla Regione che revocò il finanziamento assegnando il finanziamento stanziato al Comune di San Giovanni Lupatoto.

Oggi la stessa Giunta Senatore riesuma lo stesso progetto per partecipare ad un bando promosso dal Ministero dell’Ambiente sulla mobilità sostenibile che finanzia “programmi di riduzione del traffico, dell’inquinamento e della sosta degli autoveicoli in prossimità degli istituti scolastici”.

E’ PARADOSSALE che si possa ritenere che questo tipo di progetto possa avere come finalità la riduzione del traffico e dell’inquinamento e porti a una riduzione dei veicoli in sosta in prossimità della scuola; ancor di più se pensiamo che la stessa Giunta Senatore un anno fa ha incentivato il traffico in centro storico, aprendo al transito degli autoveicoli Borgo S. Giovanni e modificando tutta la viabilità, senza tener conto del Piano Urbano del Traffico vigente, che anche con questo progetto viene totalmente disatteso, dato che il parcheggio di via Valle nel Piano non è previsto!

L’INCOERENZA sembra del resto essere una delle caratteristiche principali nella gestione delle opere pubbliche a Portogruaro:

• prima, l’intervento viene inserito nel programma opere pubbliche per un valore di 300.000 euro con la seguente dicitura: â€Nuove aree di sosta a servizio del centro storico 1° stralcio (Via C.Valle e Piazza Castello)â€, con modalità di finanziamento derivante da vendita immobili area Perfosfati;

• poi, con successiva deliberazione la n. 236 del 27.12.2016, la Giunta Senatore fa rientrare lo stesso intervento come “azione finalizzata†(…) “a ridurre il numero degli autoveicoli in circolazione, favorendo la mobilità ciclistica o pedonale” (…) “e delle soste di autoveicoli in prossimità degli istituti scolasticiâ€.

• infine, nella seduta consiliare del 29.12.2016 si conferma la precedente denominazione e modalità di finanziamento in totale disaccordo con la deliberazione assunta dalla Giunta solo due giorni prima.

La normativa nazionale al riguardo è chiara. L’art. 1 del D. M. 208 del 20.7.2016 (molto antecedente al programma opere pubbliche) indica precisamente gli obiettivi che si intendono perseguire e cioè: incentivare scelte di mobilità sostenibile per favorire gli spostamenti casa-lavoro e casa-scuola con mezzi di trasporto sostenibili e favorire la riduzione del numero di autoveicoli privati in circolazione, anche al fine di ridurre il traffico, l’inquinamento e la sosta di autoveicoli in prossimità degli istituti scolastici e delle sedi di lavoro.

Come si fa a sostenere che un’area verde adiacente ad una scuola viene riconvertita a parcheggio proprio per ridurre la sosta di autoveicoli? E’ UNA CONTRADDIZIONE EVIDENTE, oltre che una scelta illogica.

Le eccezioni più volte sollevate sulla destinazione urbanistica dell’area sono del tutto fuori tempo e fuorvianti: la scelta se fare o non fare non può essere scaricata su programmazioni generali precedenti, è una scelta di cui deve assumersi la totale responsabilità chi governa la città in questo momento.

L’area verde di Via Valle è un valore indiscutibile proprio perché vicina ai plessi scolastici, perché i parcheggi a servizio delle scuole sono numerosi, perché le esigenze intervenute sono state più volte documentate – non per ultima quella che la scuola avrebbe peraltro la necessità di esser ampliata.

La normativa prevede peraltro ben altri interventi per i quali sarebbe stato eventualmente opportuno chiedere finanziamenti (percorsi protetti; progetti di bicibus e pedibus; parcheggi per biciclette protetti; buoni mobilità; zone 30; isole pedonali attorno alle scuole, ecc.), come hanno fatto altri Comuni del nostro territorio che hanno aderito al protocollo d’intesa.

Tra tutti gli interventi possibili a Portogruaro viene invece scelto l’unico intervento in aperto contrasto con le finalità della legge: un parcheggio a ridosso di una scuola!

Partito Democratico
Lista Rosso Verde – La Città Futura
Lista Città per L’Uomo

13 gennaio 2017

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Bisogna mungere la mucca

5 dicembre 2016
Pubblicato da Adriano Zanon

Ha vinto il No col 59,1% – il 60,0% nel voto in Italia.

Il risultato del referendum che si è svolto ieri sulla riforma Renzi-Boschi è stato chiarissimo come dato complessivo, ma come sempre va attentamente analizzato, a partire dalla sua distribuzione geografica, per cercar di capire le motivazioni più profonde degli elettori. Vediamo prima i dati.

L’affluenza è stata piuttosto alta. I votanti sono stati il 65,5%, ma ben il 68,5% in Italia e il 30,7% all’estero. Il Veneto ha superato tutti col 76,7% , con la provincia di Venezia al 74,4%, ma Vicenza al 78,5% e Padova da record col 78,9%. E’ però importante segnalare la diversa partecipazione tra Nord-Centro e Sud: dopo il Veneto ci sono Emilia al 75,9% e Toscana al 74,4%, ma la Campania è al 58,9%, la Sicilia al 56,6% e la Calabria, l’ultima al 54,4% (con Crotone al 47,8%). Venti punti di differenza tra Nord e Sud sono tanti e sono un chiaro segnale, non certamente di fiducia, da parte delle regioni meridionali.

Voti. In Italia sono stati 31,7 milioni: 19.025.254 al No (60,0%) e 12.709.536 al Sì (40,0%), ovvero 3 a 2. All’estero  sono stati 1,1 milioni: 722.672 al Sì (64,7%) e 394.253 al No (35,3%), quasi 2 a 1 per il Sì. Dunque si diceva il vero quando si parlava di voti all’estero decisivi in caso di risultato sul filo di lana. Il risultato finale quindi è: No al 59,1% con 19.417.507 voti; Si al 40,9% con 13.432.208 voti.

Ma anche i risultati sono territorialmente piuttosto diversi. Prendendo il 60% del No sul territorio italiano come spartiacque, solo tre regioni del Nord l’hanno superato (Veneto al 61,9%, Friuli-Venezia Giulia al 61,0% e Liguria al 60,1%), mentre dal Lazio in giù le regioni sono tutte sopra quota 60, con la Campania al 68,5%, Sicilia al 71,6% e Sardegna al 72,2%. In tre regioni invece è prevalso il Sì: il Trentino-Alto Adige al 53,9%, la Toscana al 52,5% e l’Emilia-Romagna al 50,4%.

E’ interessante osservare la distribuzione del No tra le grandi aree regionali:

Nord: 57,3% – Centro: 54,3% – Sud: 67,5% – Isole: 71,8%
Lazio: 63,3% – Centro senza il Lazio: 49,8%
Sud+Isole: 68,6%
Sud+Isole+Lazio: 67,4%

Dunque, i dati più significativi sono così individuabili:
1) l’alta affluenza (68,5% in Italia), ma non al Sud dove si è andati a votare anche -20% che al Nord;
2) il No vince complessivamente in Italia col 60% contro il 40%, col 57% al Nord, pareggia al Centro senza il Lazio, vince col 68% da Orte in giù;
3) il rapporto No/Sì al Sud+Isole+Lazio è 2,07 (cioè per ogni Sì ci sono più che due No), mentre nel resto è 1,22: sotto Orte, il 40% dei votanti totali ha espresso da solo ben il 71% della differenza tra il No ed il Sì.

E’ stato un voto contro. Si sapeva che era un voto con almeno due componenti, quella tecnica, la riforma o difesa della Costituzione, e quella politica, la scommessa di Renzi o il suo abbattimento. Ma la prima componente è stata tutto sommato meno incisiva. Da troppo tempo c’è tanta parte della società italiana che sta male. E soprattutto al Sud e nelle Isole hanno votato per cambiare il quadro politico, per modificare l’inerzia di una politica economica e sociale fatta di tante parole ma di scarsa, se non nulla, efficacia.

Probabilmente serviva il grande lavacro, il grande sacrificio per rompere il velo che nascondeva un realtà pur così visibile. Così credo che oggi sia assai efficace la metafora bersaniana: “c’è una mucca in corridoio”. Purtroppo io non vedo nessuno nel Pd che sappia o voglia mungerla. Dovrà farlo qualcun altro.

Per la cronaca a Portogruaro:
– ha votato il 73,4%, con netta differenziazione tra maschi al 76,3% e femmine al 70,6%;
– il No ha ottenuto il 57,4% contro il Sì al 42,6%.
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Al referendum votiamo No

2 dicembre 2016
Pubblicato da La Città Futura

Domenica 4 dicembre, dalle 7 alle 23, si voterà per confermare o meno la riscrittura di 47 articoli su 139 della Costituzione, il patto fondamentale degli italiani.

Noi rossoverdi votiamo e chiediamo di votare No.

Per ragioni di metodo, perché la riforma è stata approvata in un parlamento eletto grazie ad una legge elettorale (il famigerato Porcellum) dichiarata incostituzionale dalla Consulta e sensibilità democratica avrebbe richiesto di tornare alle urne con una buona legge prima di modificare la Carta Costituzionale.

Per ragioni di merito, perché i due fuochi della riforma, la fine del bicameralismo paritario e la supremazia dello Stato sulle Regioni sono stati concepiti con grande confusione l’uno ed ancor maggiore arroganza l’altro, creando così le condizioni per un ulteriore svilimento della politica, non certo per il recupero della sua dignità.

Per ragioni politiche, perché votare No significa tentare di rovesciare le tendenze in atto da decenni verso il centralismo e la governabilità, contro i diritti e la rappresentanza. Ed in questo senso è un voto neppure avvicinabile a quello della Lega di Salvini ed altre forze di destra responsabili proprio di gran parte del degrado della politica italiana di questi ultimi due decenni e che inneggiano oggi ad intolleranza e razzismo. Se poi ne usciranno sconfitti Renzi ed il suo Pd, pensiamo che non sarà proprio una tragedia storica ma solo un altro chiaro segnale sulla necessità di cambiare rapidamente strada nelle politiche economiche e sociali.

Votiamo No.

Lista Rossoverde La Città Futura

(1 dicembre 2016)

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Preferiamo di No

30 novembre 2016
Pubblicato da La Città Futura

Domenica 4 dicembre, dalle 7 alle 23, si voterà alla fine di una campagna referendaria lunghissima ed esagitata come nessun’altra nella storia d’Italia. Ma se la campagna è stata dura, anzi durissima, è stata altrettanto, se non anche di più, impropria, depistante, in una parola: falsa. Tant’è che molti – se non proprio tutti – non sanno per cosa voteranno dal punto di vista tecnico o comunque voteranno per altri obiettivi, sostanzialmente pro o contro Renzi. In realtà si vota su una proposta di riscrittura di 47 articoli su 139 della Costituzione, il patto fondamentale degli italiani.

Noi rossoverdi votiamo e chiediamo di votare No, per ragioni di metodo, di merito e per ragioni politiche.

Le ragioni di metodo sono da sole una ragion sufficiente per votare No, anzi forse sono perfino più importanti di quelle di merito. Questa riforma è nata infatti – almeno apparentemente, perché i padri putativi non mancano di certo – da un’iniziativa del Governo ed approvata da una maggioranza parlamentare risicata e figlia di una legge elettorale dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale (4 dicembre 2013). Un’adeguata sensibilità repubblicana avrebbe imposto al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ed al Presidente del Consiglio Enrico Letta di attivarsi per modificare rapidamente la legge elettorale ed indire nuove elezioni. Ma le cose – seppur con poca chiarezza – sono andate diversamente, a partire dal cambio del governo con l’insediamento di Matteo Renzi (21 febbraio 2014). Così, invece che far votare con una nuova legge elettorale, la riforma costituzionale è stata approvata con un percorso a dir poco indegno dell’oggetto, a base di minacce di elezioni anticipate, sedute notturne, canguri e dimissionamento dei dissidenti. Insomma, le origini ed il metodo usato non potevano che portare ad una vittoria sanguinosa ed all’approvazione di una legge di parte, parte molto ristretta, non certo di tutti.

Vediamo ora le ragioni di merito. La modifica riguarda tanti diversi articoli, alcuni però sono principali, nodali, ed un primo gruppo riguarda la fine del bicameralismo paritario (art. 55), la struttura del nuovo Senato (57-58-59) e la definizione (si fa per dire) del suo procedimento legislativo (70). Trainate, ma anche forzate, sono poi le variazioni sui referendum popolari (71-75), l’introduzione della corsia preferenziale delle iniziative governative (72) e di altri aspetti sulle promulgazioni (73), tra cui la delibera dello stato di guerra, lasciata solo alla Camera (78), infine aspetti particolari del potere del capo dello Stato (74-77) e della sua elezione (83-85-86-88).

Oltre alla fine del bicameralismo paritario, il punto più importante dell’intera riforma, si tratta dell’abolizione del Cnel (art. 99) e la soppressione definitiva delle province (114-118). Ma un altro punto assai forte è lo stop al federalismo (117) con l’introduzione della clausola di supremazia che permette la Governo di decidere su tutto e sopra tutti, in particolare in termini di energia e infrastrutture. Praticamente si svuotano le Regioni di discussioni e funzioni programmatiche sul territorio. Per queste si stabiliscono anche tagli con norme sui stipendi e rimborsi (120-122). Piuttosto importanti, anche se apparentemente conseguenti e defilate, sono le nuove regole per l’elezione dei membri della Corte Costituzionale (135).

Abbiamo fatto una selezione significativa degli articoli riformati, concentrando l’attenzione sulla fine del bicameralismo paritario e sul ritormo smaccato al centralismo statale. Questi sono infatti i due punti focali. Sul secondo dei quali è facile pensare ad un voto sfavorevole, mentre sul primo il linea di principio si potrebbe essere favorevoli se non ci trovassimo di  fronte ad un pasticcio incredibile. Mentre si tende ad esaltare la riduzione dei membri del nuovo Senato da 315 a 100, l’ingrediente principale di questo pasticcio è la confusione del ruolo stesso del nuovo Senato e la sua elezione indiretta attraverso le Regioni e le Città metropolitane. Siamo di fronte al mantenimento di fatto del bicameralismo, ma in un modo assai più confuso. E’ opinione diffusa che i conflitti di competenza tra le due camere saranno enormi e che l’elezione indiretta al Senato di politici locali servirà a rafforzare la critica alla casta politica, che ormai è all’esasperazione.

Rimangono infine un paio di considerazioni politiche. Prima, non possiamo certo dimenticare che durante la riforma costituzionale è stata realizzata, sempre a colpi di mano, la legge elettorale per la nuova Camera chiamata Italicum (6 maggio 2015) che prevede soprattutto un premio smisurato al partito vincitore di un ballottaggio: riforma costituzionale e Italicum combinati assieme stabiliscono il premierato assoluto. Tutto senza neppure la dichiarazione d’intenti molto chiara del precedente tentativo di Berlusconi (2005). C’è già la volontà e l’accordo (interno al Pd!) per modificare l’Italicum? Ci sono altri personaggi che accettano questo accordo come sufficiente per dire Si? Noi pensiamo che aver pensato la combinazione sia già una buona ragione per dire No.

Il secondo punto politico è anche di natura storica. Questa riforma è chiaramente l’ultima tappa di un lungo processo che va verso più decisione e meno rappresentanza, più governabilità e meno diritti, più stabilità e meno conflitto. Questo è il trend in atto da decenni e molti cambiamenti fanno già parte della nostra costituzione materiale (ma anche formale, come nel caso dei vincoli Ue, vedi il pareggio di bilancio). Di questo trend è oggi protagonista principale Matteo Renzi e la maggioranza del Pd e quindi il voto per il No è un giudizio negativo su questi protagonisti. Se vince il No si può sperare di rovesciare la tendenza in atto, se poi non avremo più certi protagonisti ce ne faremo una ragione.

Andiamo quindi a votare e votiamo No.

(30 novembre 2016)

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