Come può la Corte di Cassazione aver potuto equiparare lo stupro di gruppo allo stupro individuale, con l’argomento che il primo “presenta caratteristiche essenziali non difformi” dal secondo? L’agire in gruppo è un’aggravante per molti reati contro il patrimonio e non lo sarebbe per la violazione del corpo femminile al massimo livello, dove il gruppo vigliaccamente si coalizza per vincere la resistenza di una donna e sopraffarla? Se l’aggressione maschile (sia nell’ambito familiare che extrafamiliare) costituisce la prima causa di morte delle donne dai 16 ai 46 anni circa in tutta Europa o quasi, viene da chiedersi chi tra i maschi sia indenne da questa mentalità di possesso e scarsa considerazione della donna, visto che neanche i difensori del diritto si dimostrano sensibili alla tragedia della violazione del corpo femminile effettuata in gruppo, al punto da non ritenere necessaria la carcerazione preventiva per chi sia riconosciuto colpevole di tale delitto.
Non è la prima volta che la Cassazione sottovaluta la violenza sulle donne. Rimane scolpita nella memoria (allerta ragazzine!) la sentenza del 1999 che dichiarava l’insussistenza dello stupro perchè la vittima, indossando jeans attillati, doveva per forza “collaborare” con l’aggressore per toglierli… Chi ha scritto delle simili motivazioni non può essere dalla parte delle donne, non può provare, non dico empatia, ma nemmeno la neutralità che la legge prevede, il rispetto per la disparità delle forze e della situazione di ruolo. Viene da chiedersi in che paese abbiano vissuto questi professionisti, dove abbiano studiato e maturato le loro esperienze, che storie di madri e nonne abbiano ascoltato. Ecco, forse non hanno saputo ascoltare…