La CittĂ  Futura

il progetto rossoverde per Portogruaro
 

Le vignette di LB: OpportunitĂ 

14 febbraio 2013
Pubblicato da Lorenzo Bussi

OpportunitĂ 

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Biomasse: responsabilitĂ  e spese comunali

11 febbraio 2013
Pubblicato da Ivo Simonella

L’autore è Assessore alle Politiche Ambientali del Comune di Portogruaro
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In merito al dibattito col dott. Montanari seguito alla proiezione del film “Sporchi da morire” di venerdì 1 febbraio, ritengo necessario fornire qualche ulteriore elemento, visto che la repentina chiusura della serata non mi ha permesso di replicare agli ultimi interventi.

Il dott. Montanari alla fine ha nuovamente accusato i Comuni di aver operato contro legge in quanto non avrebbero applicato la convenzione di Aarhus sul diritto della partecipazione dei cittadini alle scelte pubbliche in materia ambientale; nello stesso intervento ha però detto anche che questo compito compete a chi ha la responsabilitĂ  del procedimento. In ogni occasione che è venuto a Portogruaro e anche nell’incontro che abbiamo avuto con lui nel suo studio, gli abbiamo spiegato che il procedimento di approvazione della costruzione delle centrali a biomasse è in capo alla Regione. Pertanto va reso noto che l’applicazione di tale convenzione spetta alla Regione Veneto, non ai Comuni.

Se si vanno a vedere le memorie depositate dal Comune di Portogruaro in sede di conferenze dei servizi, tanto per la Sigeco di Lugugnana, quanto per la Cereal Docks di Summaga, si vede che è sempre stata nostra cura lamentare alla Regione la mancanza di qualsiasi processo partecipativo nell’iter di approvazione delle centrali. Secondo la Regione questo atto non era dovuto, secondo il Comune invece sì, tanto che si fa richiamo alla cosa nei ricorsi al TAR presentati poi dal Comune.

E’ quindi ancora una volta necessario ricordare in capo a chi stiano le responsabilitĂ , visto che si continuano a fare considerazioni prive di fondamento. Ricordo ancora una volta che entrambe le centrali che riguardano il nostro Comune hanno concluso il loro iter autorizzativo con una approvazione a maggioranza che ha visto sempre il voto contrario del Comune di Portogruaro.

Ricordo inoltre che nessuna delle due centrali a combustione è ancora entrata in funzione: la Cereal Docks di Summaga benchĂ© realizzata e collaudata è ancora ferma, la Sigeco di Lugugnana ha dichiarato l’inizio lavori, che di fatto sono partiti solo in forma simbolica e – a quanto ci risulta – la proprietĂ  non ha intenzione di proseguire.

In entrambi i casi il Comune di Portogruaro ha presentato dei ricorsi, quello contro la Cereal Docks è pendente un ricorso in Consiglio di Stato (dopo aver perso di fronte al TAR), mentre per la Sigeco siamo ancora al TAR, dove saremmo pronti a chiedere la sospensiva, se si avviassero i lavori.

Ritornando invece all’incarico da dare a Montanari per la produzione di uno studio sugli impatti delle centrali, c’è bisogno di spiegare meglio la situazione. Sono rimasto sorpreso dal fatto che lui abbia raccontato solo una parte dei contatti intercorsi con il Comune. In particolare non ha detto che ci aveva presentato per la consulenza, un preventivo di circa 13.000 euro. Per dare l’incarico c’era bisogno però di una motivazione, di dare un senso al lavoro che sarebbe stato prodotto, che uso farne, in sostanza.

Per trovare un idoneo utilizzo dello studio da commissionare a Montanari si è contattato l’avvocato che ci sta seguendo nella causa contro la Sigeco. L’avvocato riteneva utile in effetti poter avere un supporto tecnico da utilizzare per presentare una richiesta di sospensiva. Prima di mettere in contatto i due, abbiamo chiesto, come credo sia normale, se il preventivo che ci era stato presentato fosse riesaminabile, la risposta ottenuta, in perfetto stile Montanari è stata: “sono certo che esistano consulenti molto piĂą bravi di me che offrono i loro servigi a prezzi di saldo”. Credo potesse essere sufficiente dire che il costo era quello e non era possibile rivederlo. Tra l’altro in premessa il sindaco comunque dichiarava la sua disponibilitĂ  a fare ulteriore verifiche per poter reperire la quota necessaria a pagare Montanari e l’avvocato. Venerdì sera poi ci è stato detto che è un lavoro che non farebbe volentieri.

A questo punto però si aggiunge un altro problema: la nostra intenzione era di presentare la richiesta di sospensiva per la Sigeco, utilizzando anche il lavoro di Montanari, nel momento in cui avrebbe ripreso i lavori, ma cosa facciamo adesso che sappiamo che probabilmente i lavori non inizieranno mai?

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Le vignette di LB: Salita

10 febbraio 2013
Pubblicato da Lorenzo Bussi

Salita

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Rosso e verde, ancora

8 febbraio 2013
Pubblicato da Ermes Drigo

Abbiamo ricevuto, non firmata, anche se un nome era deducibile dall’indirizzo, la seguente mail:

Buon giorno… VI scopro solo oggi, trovo bella la filosofia e la politica che proponete, ma trovo assurdo che in un momento come questo ove il paese necessita di un cambiamento radicale vi proponiate come ROSSO VERDE! ROSSO? MA SIAMO ANCORA ALLE FALCE ED AI MARTELLI? Siamo e viviamo nel futuro come é possibile che vi identifichiate con modelli del passato che proprio nel nostro paese hanno fallito?? Non vi capisco!!! Comunque continuerò a leggere il VS sito anche se mi vergognerei solo li pronunciare la parola rossoverde. (5 febbraio 2013, 09.56)

La mail merita una risposta:

Senza rinnegare il passato, almeno per il sottoscritto, oggi il nostro logo non riporta nĂ© falce nĂ© martello e tutto ciò non è per caso. Il rosso esprime i diritti, il verde l’ambiente; la sfida da noi posta da sempre è quella di mettere assieme i diritti, per esempio il lavoro, l’istruzione, e la salvaguardia dell’ambiente. Possiamo avere i nostri diritti senza derubare alle generazioni future le risorse garantendo anzi ai posteri la qualitĂ  della vita? Questa è la grande scomessa della CittĂ  Futura. In tutto ciò non vedo oggetto di vergogna, anzi. Grazie comunque per leggerci.

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Le vignette di LB: Giornata della Memoria

26 gennaio 2013
Pubblicato da Lorenzo Bussi

Giornata della Memoria

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Le vignette di LB: Fiabe

16 gennaio 2013
Pubblicato da Lorenzo Bussi

Fiabe

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PAT, si può migliorare ancora

Pubblicato da Patrizia Daneluzzo

Pubblichiamo il testo dell’intervento del capogruppo rossoverde nel Consiglio Comunale del 14 gennaio 2013.
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“La Repubblica […] tutela il paesaggio” (Costituzione Italiana, Art. 9)

Inutile dire che come gruppo rosso-verde abbiamo posto un’attenzione elevatissima nel seguire il percorso di questo PAT, a partire dalla redazione del documento preliminare, alla valutazione della prima proposta avanzata nell’estate 2011, all’avanzamento di una serie di controproposte, alla valutazione finale del documento che portiamo in Consiglio stasera: è stato un percorso lungo e accidentato, a tratti decisamente apprezzabile per il grosso sforzo di partecipazione che l’ha riguardato, sia nei confronti del Consiglio Comunale (o delle competenti commissioni), sia nei confronti della popolazione.

Parto con il ricordare alcuni concetti e dati che il Vicepresidente Dalla Tor e l’architetto Stanghellini hanno esposto nelle loro presentazioni alle commissioni che hanno preceduto questa seduta consiliare. Il Vicepresidente Dalla Tor, nella commissione del 10 dicembre scorso faceva presente che:
• la previsione di crescita della popolazione provinciale nei prossimi 10 anni sarà di sole 10.000 unità complessive;
• a livello provinciale, si contano oggi 50.000 alloggi sfitti;
• altre 50.000 sono le abitazioni abitate da anziani, che verranno lasciate in eredità a figli che già hanno una casa di loro proprietà.

Quindi, questi sono, stando alle dichiarazioni del Vicepresidente Dalla Tor, gli indirizzi assunti dalla Provincia di Venezia: no a nuove aree edificabili; puntare sulla qualificazione degli edifici esistenti; usare bene le opportunità offerte dal Piano Casa; riportare a parco o area agricola le numerose lottizzazioni esistenti che non decollano. Da parte sua, il prof. Stanghellini introduceva la presentazione tecnica del PAT, facendo particolare riferimento all’attuale crisi economica, che ha determinato un contenimento non pianificato del consumo di suolo e che ha quindi inaugurato un nuovo modello di sviluppo urbano: la città del dopo-crisi, continuava il prof. Stanghellini, dovrà basarsi sulla rigenerazione urbana più che sulla nuova edificazione.

Gli indirizzi provinciali ci trovano pienamente d’accordo e, augurandoci che la crisi finisca prima dei 10 anni di validità del PAT, riteniamo che la città del dopo-crisi che trova alternative alla nuova edificazione debba essere prevista e realizzata già con questo PAT. Del resto è chiaro che nei prossimi 10 anni non si porrà il bisogno di costruire nuovi alloggi per assicurare ai cittadini il sacrosanto diritto alla casa.

Questi sono i motivi per cui, nella legislatura scorsa, abbiamo condiviso con il resto di questa maggioranza la costruzione, la metodologia (fortemente partecipativa) e gli obiettivi del Documento Preliminare, e per cui abbiamo sottoscritto il Programma di Mandato, in cui si dice che il PAT dovrĂ : “valorizzare e tutelare il paesaggio, le risorse naturali, le acque, i valori e le tradizioni locali; limitare le nuove costruzioni edilizie, al fine di evitare l’edificazione intensiva del territorio, incentivando il recupero dell’esistente; riqualificare gli spazi privati urbani, oggi ancora da recuperare”.

E questi sono i motivi per cui la prima proposta di PAT avanzata, che aggiungeva ai mc ereditati dal PRG vigente, un dimensionamento di nuova edificazione pari a un fabbisogno stimato di oltre 3.265 nuovi alloggi, ci ha lasciato quantomeno perplessi. Come ci lasciano perplessi le nuove aree previste per il comparto produttivo-commerciale: innanzitutto, per il fatto che vengono motivate dalla realizzazione della TAV, quando il concetto stesso di TAV è stato superato in favore del potenziamento della linea attuale che, solo se necessario e a causa della saturazione della linea storica, dopo il 2030 potrà essere affiancato da due nuovi binari; sia perché, considerata la mole di aree già urbanizzate (vedi East Gate Park) e già costruite, anche in questo caso, come nel residenziale, la logica del riuso dovrebbe prevalere su quella della nuova edificazione.

Abbiamo quindi proceduto nel chiedere approfondimenti e avanzare una serie di proposte, molte delle quali sono state effettivamente accolte dal resto della maggioranza e dai tecnici incaricati. Mi riferisco, in particolare, alle direttive di attuazione degli articoli 6.2 e 7.2: questa prevede che, ai titolari di aree edificabili previste dal vecchio (e vigente) PRG che non sono ancora decollate, siano concessi 5 anni di tempo per decidere se dare avvio ai lavori di edificazione o rinunciarvi definitivamente, nel qual caso l’area tornerebbe ad essere agricola. Questo meccanismo, già sperimentato in altre realtà italiane, non lede il diritto acquisito dai proprietari in virtù dei 5 anni concessi per decidere. Per quanto non si possano avere stime precise sulle aree che verranno effettivamente edificate, secondo i tecnici, questo consentirebbe di ridurre di almeno 1/3 degli insediamenti residenziali e di 2/3 di quelli produttivo/commerciali. In ogni caso, si tratta di un meccanismo che dà la possibilità di liberare il dimensionamento del PAT da quella “zavorra” di cubi che pesano fortemente sul totale previsto, ma che non verranno probabilmente mai realizzate.

L’altra direttiva di attuazione prevede che le cubature messe a disposizione dal nuovo PAT vengano scaglionate e limitate nel corso dei diversi Piani degli Interventi: in particolare, non potranno essere messe in gioco nuove cubature nei primi 5 anni di realizzazione (proprio in attesa dell’esito della direttiva di cui sopra), mentre in ciascun Piano degli Interventi successivo, si potrà mettere in gioco solamente il 30% del dimensionamento residenziale complessivo. Siccome ogni Piano degli Interventi dura circa 5 anni, risulta quindi che il dimensionamento residenziale previsto potrà essere eventualmente esaurito non prima di 20 anni.

L’ultima modifica che abbiamo apprezzato, per quanto non derivi da una condivisione all’interno della maggioranza, ma dagli indirizzi provinciali in materia di pianificazione, è l’abolizione delle aree extraurbane rurali e la riduzione delle aree periurbane rurali: queste aree avrebbero infatti rappresentato un ulteriore rischio in termini di urbanizzazione, sia perché la legge regionale è piuttosto lasca su quanto può essere costruito in queste aree [dalla salvaguardia degli elementi di pregio ambientale e rurale, all’integrazione delle funzioni urbane e rurali di servizio, alla riorganizzazione e riqualificazione del tessuto esistente anche mediante l’eventuale sviluppo insediativo], sia perché i cubi realizzati all’interno di queste aree sarebbero esulati (e si sarebbero quindi aggiunti) a quelli previsti per ogni singolo ATO e quindi al dimensionamento complessivo del PAT.

Del resto, è un fatto che la sensibilitĂ  ambientale in Italia stia fortunatamente crescendo, gli effetti perversi del consumo di suolo sul lungo periodo sono ormai evidenti, e le voci che si stanno alzando per affermare la necessitĂ  di fermare l’urbanizzazione sono molteplici: dalle Amministrazioni agli urbanisti, alle stesse categorie economiche che, fino a ieri, spingevano invece per edificare di piĂą. A livello nazionale, ad esempio, il Consiglio Nazionale degli Architetti ha sottoscritto assieme a Legambiente e all’ANCE (l’Ass. Naz. Dei Costruttori Edili) un documento sulla tutela del paesaggio, in cui si afferma che “La cittĂ  nuova dovrĂ  essere pianificata […] con un progetto di sviluppo e di trasformazione urbana improntata alla manutenzione, alla riqualificazione energetica degli edifici e a garantire ambienti urbani piĂą vivibili, piĂą verdi e piĂą adeguati alle esigenze dei cittadini” e che “La riqualificazione organica e strutturata del patrimonio immobiliare del nostro Paese […] può anche costituire un importante volano economico per il settore delle costruzioni, incentivando la ricerca e l’innovazione tecnologica”. A questo proposito, i dati parlano chiaro: il settore del recupero vale oggi 80 mld di Euro di investimenti (piĂą del 70% del totale del settore, rispetto alla nuova edificazione); le detrazioni fiscali del 55% per le ristrutturazioni energetiche in edilizia hanno mosso, in tre anni, investimenti privati per un totale di 7,9 mld; mentre parallelamente la domanda di edifici ad alte prestazioni energetiche resta ancora parzialmente inevasa.

A livello locale poi è stato sottoscritto l’appello “Basta sprecare territorio!”, con cui si chiede alla Regione Veneto di:

Intraprendere un’azione di Governo Locale condivisa per ridurre a zero il consumo del suolo;
Imporre rigorosi criteri di efficienza negli strumenti di governo del territorio per soddisfare i bisogni attraverso la riqualificazione, il miglior uso delle superfici giĂ  urbanizzate e la rivitalizzzazione dei centri storici;
Bloccare qualsiasi nuova area produttiva e commerciale nelle periferie e in prossimitĂ  dei caselli autostradali.

Forse vi stupirĂ  sapere che i firmatari non sono nostalgici (o visionari) ambientalisti, ma Confindustria, Confartigianato, Confcommercio e Confcooperative Veneto.

Noi riconosciamo quindi che il lavoro che è stato fatto, da parte della maggioranza (e dello studio Stanghellini), su questo PAT è stato lungo e significativo, e che ha accolto buona parte delle nostre richieste. Rimane il fatto che ci troviamo di fronte a un PAT che prevede nuova cubatura e che si è persa, secondo noi, un’occasione importante per varare uno strumento urbanistico a cubi zero; per inaugurare un’era amministrativa che ammetta che il momento di trovare un’alternativa all’espansione edilizia come leva per lo sviluppo locale non può più essere procrastinato. Per questo, riteniamo che il periodo riservato alle osservazioni sia in questo caso particolarmente critico: un’occasione importante per aggiornare il PAT presentato rispetto a quella che è la reale situazione di oggi e per contribuire a migliorarlo ulteriormente.

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Ecco un bell’inizio

1 gennaio 2013
Pubblicato da lacittafutura.net

Alba a San Gaetano Caorle (1 gennaio 2013)

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Le vignette di LB: Fratelli d’Italia

24 dicembre 2012
Pubblicato da Lorenzo Bussi

Fratelli d’Italia

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L’Italia, una repubblica incostituzionale

15 dicembre 2012
Pubblicato da Patrizia Daneluzzo

Una riflessione sul lavoro degli italiani

Propongo di dichiarare l’Italia anticostituzionale. Perché se è vero che, negli ultimi anni, l’unica cosa che pare fermare anche il politico più ardito (o più indecente) è il sospetto o l’accusa di provvedimenti dichiarati anticostituzionali dal Presidente della Repubblica o dalla Corte Costituzionale, è altrettanto vero che c’è un principio della nostra Costituzione che viene da anni leso o disatteso e nessuno dice niente, né tantomeno pensa di dimettersi per manifesta condotta anticostituzionale.

Mi riferisco al primo articolo, il fondamento della nostra Carta Costituzionale: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.” Mi è capitato spesso di pensare a questa scelta che i padri (e le madri) costituenti hanno fatto all’epoca. In fondo erano molte le cose su cui si poteva decidere di fondare la Repubblica italiana. Invece no: il lavoro.

Occupandomi di Pari Opportunità di genere ho sempre ritenuto, ad esempio, che fosse ingiusto fondare uno Stato su un principio a cui metà della popolazione (quella femminile) non ha pari opportunità di accesso e di carriera rispetto alla metà più fortunata. Come dire che l’Italia non è un Paese per donne, visto che il suo stesso principio fondante è, nella pratica, fortemente discriminatorio nei confronti di una fetta così larga della sua popolazione.

Tuttavia oggi il problema del lavoro e dell’accesso al lavoro non si pone solo per le donne, ma anche per buona parte della popolazione giovanile e, piĂą che in ogni altro periodo storico o precedente crisi economica, anche per gli uomini. E questo dovrebbe spingere tutti a ragionare sull’incostituzionalitĂ  della situazione a cui siamo arrivati. Soprattutto tenendo conto che poi, all’Art. 4, la nostra Costituzione stabilisce ancora piĂą precisamente che “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilitĂ  e la propria scelta, un’attivitĂ  o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della societĂ .” 

Invece, secondo i dati di Veneto Lavoro, dal 2008 al 2010 in Veneto c’è stato un calo di 80 mila occupati; il numero di occupati negli ultimi tre trimestri risulta sostanzialmente stabile, “segnalando l’esaurirsi della fase di parziale recupero occupazionale iniziata sul finire del 2010”; nel contempo i disoccupati sono cresciuti prepotentemente, salendo, nello stesso periodo, da 100 mila a 160 mila unità.

Quindi sono 160 mila le persone che oggi in Veneto cercano attivamente lavoro senza riuscire a trovarlo: uomini; giovani che hanno finito gli studi, ma che, a causa dell’ingessamento dei pensionamenti, non trovano spazio nel mondo del lavoro; donne che, anche a causa del diminuito reddito familiare (provocato della caduta degli straordinari o del ricorso alla CIG) non possono più permettersi di stare a casa, neanche volendo.

Nel frattempo sono aumentate, rispetto al 2011, le imprese che hanno annunciato l’avvio delle procedure di crisi e il numero di lavoratori coinvolti è tornato sui livelli segnati nel periodo 2008-2010; le ore di CIG autorizzate segnano un aumento di circa il 10% rispetto al 2011 (70,2 milioni contro 64,0 milioni); l’incremento dei licenziamenti individuali ha compensato la riduzione di quelli collettivi; e nel trimestre ottobre-dicembre 2012 cesseranno i trattamenti di sostegno al reddito per i dipendenti in CIGS di 178 imprese.

Quindi l’Italia è una repubblica anticostituzionale, è l’antitesi di se stessa. Perché, anche se la situazione è esplosa in questi ultimi anni, è vero che le sue premesse sono state gettate in tanti anni di scelte politiche ed economiche che non hanno tenuto conto del primo articolo della Costituzione.

Quando il potere economico prevale sui meccanismi di protezione sociale che dovrebbero garantire il diritto al lavoro; o quando la finanza e gli interessi degli investitori prevalgono sull’economia reale e gli interessi dei lavoratori, l’Italia diventa una repubblica basata sulla speculazione. Quando il salario dei lavoratori rimane sostanzialmente invariato per anni, mentre continuano ad alzarsi i compensi per i vertici aziendali; o quanto la forbice tra (pochi) ricchi e (molti) poveri continua a crescere, l’Italia diventa una repubblica basata sul patrimonio. Quando le aziende continuano a essere tassate non in base alle materie prime (scarse) che consumano e all’ambiente che distruggono, ma in base alle risorse umane (abbondanti) che assumono; o quando i nuovi occupati sono in stragrande maggioranza lavoratori parasubordinati, atipici, interinali, a progetto, l’Italia diventa una repubblica basata sul precariato. Quando un lavoratore non è più in grado di permettersi quanto gli serve per vivere decentemente; o quando una fascia sempre più larga di famiglie scivola dalla condizione di “ceto medio” a quella di famiglia a basso reddito, garantito a forza e a fatica dagli ammortizzatori sociali, l’Italia diventa una repubblica basata sull’assistenza.

Cerchiamo rimedi significativi e concreti per garantire il diritto al lavoro o cambiamo la Costituzione? Di certo non si può più far finta di rispettarla.

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