La Città Futura

il progetto rossoverde per Portogruaro
 

PAT, si può migliorare ancora

16 gennaio 2013
Pubblicato da Patrizia Daneluzzo

Pubblichiamo il testo dell’intervento del capogruppo rossoverde nel Consiglio Comunale del 14 gennaio 2013.
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“La Repubblica […] tutela il paesaggio” (Costituzione Italiana, Art. 9)

Inutile dire che come gruppo rosso-verde abbiamo posto un’attenzione elevatissima nel seguire il percorso di questo PAT, a partire dalla redazione del documento preliminare, alla valutazione della prima proposta avanzata nell’estate 2011, all’avanzamento di una serie di controproposte, alla valutazione finale del documento che portiamo in Consiglio stasera: è stato un percorso lungo e accidentato, a tratti decisamente apprezzabile per il grosso sforzo di partecipazione che l’ha riguardato, sia nei confronti del Consiglio Comunale (o delle competenti commissioni), sia nei confronti della popolazione.

Parto con il ricordare alcuni concetti e dati che il Vicepresidente Dalla Tor e l’architetto Stanghellini hanno esposto nelle loro presentazioni alle commissioni che hanno preceduto questa seduta consiliare. Il Vicepresidente Dalla Tor, nella commissione del 10 dicembre scorso faceva presente che:
• la previsione di crescita della popolazione provinciale nei prossimi 10 anni sarà di sole 10.000 unità complessive;
• a livello provinciale, si contano oggi 50.000 alloggi sfitti;
• altre 50.000 sono le abitazioni abitate da anziani, che verranno lasciate in eredità a figli che già hanno una casa di loro proprietà.

Quindi, questi sono, stando alle dichiarazioni del Vicepresidente Dalla Tor, gli indirizzi assunti dalla Provincia di Venezia: no a nuove aree edificabili; puntare sulla qualificazione degli edifici esistenti; usare bene le opportunità offerte dal Piano Casa; riportare a parco o area agricola le numerose lottizzazioni esistenti che non decollano. Da parte sua, il prof. Stanghellini introduceva la presentazione tecnica del PAT, facendo particolare riferimento all’attuale crisi economica, che ha determinato un contenimento non pianificato del consumo di suolo e che ha quindi inaugurato un nuovo modello di sviluppo urbano: la città del dopo-crisi, continuava il prof. Stanghellini, dovrà basarsi sulla rigenerazione urbana più che sulla nuova edificazione.

Gli indirizzi provinciali ci trovano pienamente d’accordo e, augurandoci che la crisi finisca prima dei 10 anni di validità del PAT, riteniamo che la città del dopo-crisi che trova alternative alla nuova edificazione debba essere prevista e realizzata già con questo PAT. Del resto è chiaro che nei prossimi 10 anni non si porrà il bisogno di costruire nuovi alloggi per assicurare ai cittadini il sacrosanto diritto alla casa.

Questi sono i motivi per cui, nella legislatura scorsa, abbiamo condiviso con il resto di questa maggioranza la costruzione, la metodologia (fortemente partecipativa) e gli obiettivi del Documento Preliminare, e per cui abbiamo sottoscritto il Programma di Mandato, in cui si dice che il PAT dovrà: “valorizzare e tutelare il paesaggio, le risorse naturali, le acque, i valori e le tradizioni locali; limitare le nuove costruzioni edilizie, al fine di evitare l’edificazione intensiva del territorio, incentivando il recupero dell’esistente; riqualificare gli spazi privati urbani, oggi ancora da recuperare”.

E questi sono i motivi per cui la prima proposta di PAT avanzata, che aggiungeva ai mc ereditati dal PRG vigente, un dimensionamento di nuova edificazione pari a un fabbisogno stimato di oltre 3.265 nuovi alloggi, ci ha lasciato quantomeno perplessi. Come ci lasciano perplessi le nuove aree previste per il comparto produttivo-commerciale: innanzitutto, per il fatto che vengono motivate dalla realizzazione della TAV, quando il concetto stesso di TAV è stato superato in favore del potenziamento della linea attuale che, solo se necessario e a causa della saturazione della linea storica, dopo il 2030 potrà essere affiancato da due nuovi binari; sia perché, considerata la mole di aree già urbanizzate (vedi East Gate Park) e già costruite, anche in questo caso, come nel residenziale, la logica del riuso dovrebbe prevalere su quella della nuova edificazione.

Abbiamo quindi proceduto nel chiedere approfondimenti e avanzare una serie di proposte, molte delle quali sono state effettivamente accolte dal resto della maggioranza e dai tecnici incaricati. Mi riferisco, in particolare, alle direttive di attuazione degli articoli 6.2 e 7.2: questa prevede che, ai titolari di aree edificabili previste dal vecchio (e vigente) PRG che non sono ancora decollate, siano concessi 5 anni di tempo per decidere se dare avvio ai lavori di edificazione o rinunciarvi definitivamente, nel qual caso l’area tornerebbe ad essere agricola. Questo meccanismo, già sperimentato in altre realtà italiane, non lede il diritto acquisito dai proprietari in virtù dei 5 anni concessi per decidere. Per quanto non si possano avere stime precise sulle aree che verranno effettivamente edificate, secondo i tecnici, questo consentirebbe di ridurre di almeno 1/3 degli insediamenti residenziali e di 2/3 di quelli produttivo/commerciali. In ogni caso, si tratta di un meccanismo che dà la possibilità di liberare il dimensionamento del PAT da quella “zavorra” di cubi che pesano fortemente sul totale previsto, ma che non verranno probabilmente mai realizzate.

L’altra direttiva di attuazione prevede che le cubature messe a disposizione dal nuovo PAT vengano scaglionate e limitate nel corso dei diversi Piani degli Interventi: in particolare, non potranno essere messe in gioco nuove cubature nei primi 5 anni di realizzazione (proprio in attesa dell’esito della direttiva di cui sopra), mentre in ciascun Piano degli Interventi successivo, si potrà mettere in gioco solamente il 30% del dimensionamento residenziale complessivo. Siccome ogni Piano degli Interventi dura circa 5 anni, risulta quindi che il dimensionamento residenziale previsto potrà essere eventualmente esaurito non prima di 20 anni.

L’ultima modifica che abbiamo apprezzato, per quanto non derivi da una condivisione all’interno della maggioranza, ma dagli indirizzi provinciali in materia di pianificazione, è l’abolizione delle aree extraurbane rurali e la riduzione delle aree periurbane rurali: queste aree avrebbero infatti rappresentato un ulteriore rischio in termini di urbanizzazione, sia perché la legge regionale è piuttosto lasca su quanto può essere costruito in queste aree [dalla salvaguardia degli elementi di pregio ambientale e rurale, all’integrazione delle funzioni urbane e rurali di servizio, alla riorganizzazione e riqualificazione del tessuto esistente anche mediante l’eventuale sviluppo insediativo], sia perché i cubi realizzati all’interno di queste aree sarebbero esulati (e si sarebbero quindi aggiunti) a quelli previsti per ogni singolo ATO e quindi al dimensionamento complessivo del PAT.

Del resto, è un fatto che la sensibilità ambientale in Italia stia fortunatamente crescendo, gli effetti perversi del consumo di suolo sul lungo periodo sono ormai evidenti, e le voci che si stanno alzando per affermare la necessità di fermare l’urbanizzazione sono molteplici: dalle Amministrazioni agli urbanisti, alle stesse categorie economiche che, fino a ieri, spingevano invece per edificare di più. A livello nazionale, ad esempio, il Consiglio Nazionale degli Architetti ha sottoscritto assieme a Legambiente e all’ANCE (l’Ass. Naz. Dei Costruttori Edili) un documento sulla tutela del paesaggio, in cui si afferma che “La città nuova dovrà essere pianificata […] con un progetto di sviluppo e di trasformazione urbana improntata alla manutenzione, alla riqualificazione energetica degli edifici e a garantire ambienti urbani più vivibili, più verdi e più adeguati alle esigenze dei cittadini” e che “La riqualificazione organica e strutturata del patrimonio immobiliare del nostro Paese […] può anche costituire un importante volano economico per il settore delle costruzioni, incentivando la ricerca e l’innovazione tecnologica”. A questo proposito, i dati parlano chiaro: il settore del recupero vale oggi 80 mld di Euro di investimenti (più del 70% del totale del settore, rispetto alla nuova edificazione); le detrazioni fiscali del 55% per le ristrutturazioni energetiche in edilizia hanno mosso, in tre anni, investimenti privati per un totale di 7,9 mld; mentre parallelamente la domanda di edifici ad alte prestazioni energetiche resta ancora parzialmente inevasa.

A livello locale poi è stato sottoscritto l’appello “Basta sprecare territorio!”, con cui si chiede alla Regione Veneto di:

Intraprendere un’azione di Governo Locale condivisa per ridurre a zero il consumo del suolo;
Imporre rigorosi criteri di efficienza negli strumenti di governo del territorio per soddisfare i bisogni attraverso la riqualificazione, il miglior uso delle superfici già urbanizzate e la rivitalizzzazione dei centri storici;
Bloccare qualsiasi nuova area produttiva e commerciale nelle periferie e in prossimità dei caselli autostradali.

Forse vi stupirà sapere che i firmatari non sono nostalgici (o visionari) ambientalisti, ma Confindustria, Confartigianato, Confcommercio e Confcooperative Veneto.

Noi riconosciamo quindi che il lavoro che è stato fatto, da parte della maggioranza (e dello studio Stanghellini), su questo PAT è stato lungo e significativo, e che ha accolto buona parte delle nostre richieste. Rimane il fatto che ci troviamo di fronte a un PAT che prevede nuova cubatura e che si è persa, secondo noi, un’occasione importante per varare uno strumento urbanistico a cubi zero; per inaugurare un’era amministrativa che ammetta che il momento di trovare un’alternativa all’espansione edilizia come leva per lo sviluppo locale non può più essere procrastinato. Per questo, riteniamo che il periodo riservato alle osservazioni sia in questo caso particolarmente critico: un’occasione importante per aggiornare il PAT presentato rispetto a quella che è la reale situazione di oggi e per contribuire a migliorarlo ulteriormente.

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