Il 17 marzo abbiamo festeggiato il 150° anniversario dell’unità d’Italia. Abbiamo avuto una festa nazionale una tantum. A Portogruaro c’è stata una bella cerimonia in piazza e i cori verdiani in teatro. Abbiamo ascoltato anche i discorsi del presidente Napolitano in diretta tv. Però finita la festa mi resta uno strano amaro in bocca. Il fatto è che oggi non si parla di unità , piuttosto di divisione. Non è facile mettere sul tema in poche righe qualcosa di non superficiale, ma ci provo. Â
C’era una volta la ‘questione meridionale’. Bisogna partire da qui. Da quando si diceva che il Mezzogiorno, dove vivono oltre 20 milioni d’italiani, aveva particolari e grossi nodi irrisolti, di natura culturale, economica e sociale. L’espressione fu usata(1) subito dopo la cosiddetta ‘guerra al brigantaggio’, che io (con Ruffolo) chiamerei ‘guerra di repressione. Con quell’azione militare interna del governo piemontese – che durò almeno cinque anni (dal 1861 al 1866), che occupò un esercito anche di 120 mila uomini, che ebbe 23 mila morti tra i militari (più che in tutte le guerre d’indipendenza) e almeno dieci volte tanto tra i civili – si scavò il primo profondo solco tra stato e parte del territorio, tra Nord e Sud. Inoltre, nei primi decenni di unità (2) tutte le scelte di politica economica favorirono le disparità tra le parti del paese, geografiche e sociali.(3)Â
Certamente dopo il 1870(4) c’è ancora qualcosa in termini di unità . La storia ci racconta il terribile ed involontario sacrificio di 700 mila italiani sulle trincee dell’Isonzo e del Piave, durante la prima guerra mondiale. Questo ci portò Trento e Trieste e lasciò in ogni comune del nostro lungo paese un monumento o un cippo con i nomi dei caduti per la patria.
Subito dopo invece, il primo dopoguerra del Novecento costò carissimo agli italiani e poi alla fine dell’avventura fascista, tra l’8 settembre 1943 ed il 25 aprile 1945, il paese fu addirittura invaso e diviso da due eserciti opposti.(5)Â
Nel secondo dopoguerra il popolo italiano si diede la Repubblica, la Costituzione e la democrazia. Con questi strumenti puntò anche a colmare le differenze tra Nord e Sud, a superare l’endemica miseria e la fatale emigrazione. Così all’interno di un grande sviluppo economico capitalistico, pur incentrato al Nord, insieme alla migrazione interna ci furono gli investimenti statali al Sud, soprattutto nelle infrastrutture e nell’industria pesante.(6)Â
Ma ben presto le risorse da trasferire diventarono “la base del potere di una classe politicaâ€, formando “così, nel Sud, un nuovo blocco storico, un blocco politico-burocratico, la cui funzione essenziale era la gestione dei flussi finanziari trasferiti dal Nord al Sud“ (Ruffolo). Era il potere democristiano nel quale, negli anni Ottanta, s’inserì con forza “la novità introdotta dal craxismo, la tangente diventata una normalità , un modo di essere del sistema†(Foa).(7)Â
Con la corruzione elevata a modello, nei fatti era “in gioco lo stato, come autorità e come garante e promotore di libertà †e “ogni diminuzione dello stato era un servizio reso alla mafia†(Foa). E infatti, parallelo alla corruzione salì, con il debito statale (oggi al 115% del PIL), il potere delle mafie (vedi il riquadro). Così oggi la questione meridionale “non s’identifica più nel potere della classe agraria, ma nel potere di una borghesia mafiosa†(Ruffolo).Â
Anzi, oggi non c’è più una ‘questione meridionale’, c’è la ‘questione settentrionale’. C’è una parte del paese che non vuole più pagar tasse che vengano poi spese da altre parti. Questa è la questione settentrionale. Si sta lavorando in questo senso e proprio in queste settimane si sta completando l’iter parlamentare del cosiddetto ‘federalismo fiscale’, una riforma fortemente voluta dalla Lega.(8)Â
La Lega Nord è un partito nato nel 1989, ha sempre avuto leader Umberto Bossi, ha avuto per anni circa 120 mila iscritti (ma adesso non si sa), ha avuto 3,1 milioni di voti (10,2%) alle elezioni europee 2009, ma alla Camera nel 1992 ne ebbe già 3,4 milioni (8,6%) e nel 1996 ben 3,8 milioni (10,1%). Ebbene, nonostante i consensi piuttosto stabili, questo partito ha acquisito progressivamente un peso politico nazionale eccezionale, sproporzionato, per merito di meccanismi elettorali e di alleanze, non certo per grandi doti politiche e morali. Comunque, io considero insopportabili sia le costanti meschinità razziste, che le ripetute minacce eversive.(9)Â
Oggi dunque al Nord qualcuno vuole la divisione, mentre parte del Sud è allo sbando istituzionale e sociale. Qui infatti il “territorio è stato abbandonato a se stesso†(Ruffolo), o meglio, lasciato alla malavita organizzata e integrata col potere politico. Ma, attenzione, questa sta crescendo, com’è fisiologico, nelle dimensioni del business e sta salendo geograficamente. Oggi l’unico vero processo unitario è quello malavitoso che sale dal Sud. Separazione programmata e disgregazione gestita dalle mafie, queste sono le strategie in atto, saldamente alleate. (10)Â
Siamo alla fine delle battute disponibili, forse sono stato troppo asciutto per un tale argomento, ma in sostanza possiamo dire che oggi siamo tornati al punto di partenza, come nel gioco dell’oca. E chi non ha vissuto questi anni da italiano o chi guarda da turista potrebbe chiedersi incredulo, proprio come nel 1818, all’inizio del gioco, faceva il poeta più amato (Giacomo Leopardi, All’Italia, 34-3):
come cadesti o quando
da tanta altezza in così basso loco?Â
  La malavita organizzata  .Â
Cosa Nostra: Sicilia, 120 famiglie, 3.000 membri, struttura piramidale, giro d’affari a 30 miliardi di euro;
Camorra: Campania, 110 famiglie, 6.500 membri, ogni gang è autonoma, giro d’affari a 28, 4 miliardi (almeno 50% droga);
‘Ndrangheta: Calabria, 132 famiglie, 10.000 affiliati, famiglie biologiche e molto legate, giro d’affari a 35 miliardi nel 2004 ma 180 miliardi di euro (!) nel 2007;
Sacra corona unita: Puglia, 45 famiglie, 1.560 membri, struttura orizzontale ma con diverse società segrete, giro d’affari non pervenuto.Â
(Fonte: Ruffolo)Â
    Riferimenti    Â
Vittorio Foa,
Questo Novecento, Einaudi, Torino 1996.
Giorgio Ruffolo,
Un paese troppo lungo. L’unità nazionale in pericolo, Einaudi, Torino 2009.Â
        Note        Â
(1) Usata la prima volta nel 1873 dal deputato lombardo Antonio Billia, fu poi nobilitata da diversi autori. Ricordiamo almeno Giustino Fortunato (1848-1932), Gaetano Salvemini (1873-1957), Antonio Gramsci (1891-1937) e Guido Dorso (1892-1947). La voce ‘questione meridionale’ è ben impostata anche sull’enciclopedia web Wikipedia, dove si possono trovare tutti i link possibili.  Â
(2) Per me la miglior sintesi rimane quella di Gramsci sull’Avanti! del 14 marzo 1920: “Tradizione monarchicaâ€. Si può leggere: “(…) l’unità è stata compiuta. Ma quale unità ? (…) Il popolo è rimasto spettatore quasi inerte, ha applaudito Garibaldi, non ha capito Cavour, aspetta dal re la soluzione del suo problema, del problema che direttamente egli sente, quello della miseria, e dell’oppressione economica e feudale. Ma il nuovo regno è sorto con un vizio di origine che lo rende incapace, nonché di risolvere, di sentire il problema del popolo, il nuovo regno è sorto dall’incontro di un interesse dinastico con un interesse di classe bottegaia (…). Poi, ordinatasi l’attività economica della borghesia settentrionale in modo organico e sistematico, anche lo sfruttamento delle altre parti d’Italia assunse forma organica e sistematica, fu la molla riposta dello sviluppo dello Stato italiano.†Ma il testo, che anticipa le riflessioni carcerarie sul Risorgimento, va letto tutto.Â
(3) Il caso estremo è dato dalla tassa sull’emigrazione verso le Americhe. Questa colpiva gli emigranti meridionali, che andavano soprattutto lì, e gli introiti finanziavano l’emigrazione verso l’Europa, dove per i quattro quinti emigravano i settentrionali.Â
(4) Al ‘vizio di origine’, segue il ventennio 1870-1890, “quello della maggiore sua debolezzaâ€. L’espressione è sempre di Gramsci, nelle Tesi di Lione del 1926. Dove prosegue: “La maggior debolezza dello Stato è data in questo periodo dal fatto che al di fuori di esso il Vaticano raccoglie attorno a sé un blocco reazionario e antistatale costituito dagli agrari e dalla grande massa dei contadini arretrati, controllati e diretti dai ricchi proprietari e dai preti. (…) Lo stato reagisce (…)[con] tutta una legislazione di contenuto e di scopi anticlericaliâ€.Â
(5) Sembrerebbe esistere una regola nella storia italiana: ogni momento unitario – anche relativamente marginale, come l’annessione di Trento e Trieste – deve essere espiato. In realtà e a ben vedere, i processi unitari si son fatti con guerre e le guerre costano molto. Poi, le difficoltà delle casse statali ed il disagio sociale si conciliano solo in una fase di crescita economica e sociale. Altrimenti si ha il massimo del conflitto interno. Come, appunto, all’epoca del brigantaggio e della nascita del fascismo.
(6) Il ventennio 1950-1970 è l’unico periodo in cui il PIL meridionale ha recuperato su quello settentrionale.Â
(7) Cito solo fonti ‘socialiste’. Qui siamo al cuore del problemi attuali e voglio essere pacato.Â
(8) Ma è una riforma avviata dal centro-sinistra nel 2001 con la riforma costituzionale del Titolo V della Costituzione italiana e che ora sta per ricevere gli strumenti attuativi. Gli effetti propagandistici oscurano ormai questo particolare.Â
(9) E’ bene ricordare che questo partito “ha per finalità il conseguimento dell’indipendenza della Padania attraverso metodi democratici e il suo riconoscimento internazionale quale Repubblica Federale indipendente e sovranaâ€, come recita l’art.1 dello statuto.Â
(10) E’ chiaro che una cosa è federare stati o regioni separate, cioè unire, un’altra federare stati o regioni unite, cioè separare. Inoltre, è evidente che lasciare oggi l’autogestione finanziaria alle regioni del Sud italiano è come fare un esplicito accordo con le forze mafiose presenti nei diversi territori. Piuttosto palese è la situazione campana, anche dove ha amministrato il Pd (Bassolino, Jervolino). E’ inoltre un modo per introdurre sicure e gravi instabilità finanziarie in un sistema che ne ha già abbastanza per conto suo. Solo un lungo processo, programmato e progressivo, può essere preso in considerazione. Ma questo è possibile in un contesto di collaborazione tra le forze politiche principali del paese, come fu al tempo della Costituente. Queste condizioni, per ovvi motivi qui mai presi in considerazione, oggi proprio non ci sono.