Referendum 8-9 giugno 2025: votiamo e portiamo a votare cinque sì
Riportiamo qui la sintesi di alcuni aspetti economici dei referendum dell’8 e 9 giugno, testo pubblicato su il manifesto del 22 maggio (con una leggera riformattazione).
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Un paese impoverito e disuguale
di Mario Pianta
Lavoro povero e declino economico: è questa la fotografia del paese che emerge dal Rapporto annuale presentato ieri dall’Istat. Nel 2024 il Pil è cresciuto dello 0,7%, grazie alla tenuta delle esportazioni, mentre scendono consumi e investimenti. La produttività per ora lavorata è caduta dell’1,4%, gli investimenti non residenziali sono diminuiti, il volume della produzione industriale è calato del 4%, aggravando la caduta del 2% del 2023.
Le persone che lavorano aumentano di 350 mila, ma per l’80% si tratta di ultra 50enni a cui è stato rinviato il pensionamento; il 40% di chi lavora oggi in Italia ha più di 50 anni. Il 17% di tutti i lavoratori è part time e tra le donne la quota è del 30%. Tra i giovani sotto i 34 anni un terzo ha contratti a tempo determinato o part time.
Sul fronte dei salari è un disastro: rispetto al 2018 i salari di oggi hanno perso il 10% del loro valore reale (in Germania sono aumentati del 14%). Tra inizio 2019 e fine 2024, le retribuzioni contrattuali sono cresciute la metà dell’inflazione (10% contro 21,6%). E metà dei lavoratori dipendenti sono in attesa di rinnovi contrattuali. Con redditi di questo tipo, il 23% della popolazione è a rischio di povertà , e al Sud si arriva al 40%.
È questa l’Italia che vogliamo? Facciamo fatica a dire – collettivamente – di no. A riconoscere che siamo andati nella direzione sbagliata. Ma hanno detto di no – individualmente, in silenzio – anche i 150 mila cittadini italiani che sono emigrati all’estero nel 2024. A loro, e a tutti, dovremmo offrire un lavoro dignitoso, stabile, pagato non la metà dei salari tedeschi.
«È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano la libertà e l’eguaglianza dei cittadini». Ce lo dice la Costituzione, all’articolo 3. Purtroppo, sono trent’anni che questi ostacoli non vengono rimossi, ma vengono innalzati. Le politiche dei governi hanno dimenticato gli obiettivi di libertà e uguaglianza tra le persone.
I referendum dell’8 e 9 giugno sono l’occasione per cancellare alcune di queste politiche sbagliate, politiche che hanno alimentato la sfiducia e aggravato la crisi della democrazia. Cambiare è possibile, è possibile dare più protezione a tutti. In un mondo pieno di derive autoritarie, lo strumento che abbiamo è proprio la pratica della democrazia, a cominciare dalla partecipazione al voto per i referendum. (L’abbiamo scritto nell’Appello «Vivere da cittadini, lavorare con dignità » lanciato da 40 personalità , tra cui il Premio Nobel Giorgio Parisi.)
L’8 e il 9 giugno portiamo a votare chi non vota più, chi è stato più colpito dall’esclusione e dalla precarietà . Per cambiare strada, per diventare un po’ meno disuguali, l’8 e il 9 giugno votiamo cinque Sì.
il manifesto, 23 maggio 2025