Bisogna mungere la mucca
5 dicembre 2016Ha vinto il No col 59,1% – il 60,0% nel voto in Italia.
Il risultato del referendum che si è svolto ieri sulla riforma Renzi-Boschi è stato chiarissimo come dato complessivo, ma come sempre va attentamente analizzato, a partire dalla sua distribuzione geografica, per cercar di capire le motivazioni più profonde degli elettori. Vediamo prima i dati.
L’affluenza è stata piuttosto alta. I votanti sono stati il 65,5%, ma ben il 68,5% in Italia e il 30,7% all’estero. Il Veneto ha superato tutti col 76,7% , con la provincia di Venezia al 74,4%, ma Vicenza al 78,5% e Padova da record col 78,9%. E’ però importante segnalare la diversa partecipazione tra Nord-Centro e Sud: dopo il Veneto ci sono Emilia al 75,9% e Toscana al 74,4%, ma la Campania è al 58,9%, la Sicilia al 56,6% e la Calabria, l’ultima al 54,4% (con Crotone al 47,8%). Venti punti di differenza tra Nord e Sud sono tanti e sono un chiaro segnale, non certamente di fiducia, da parte delle regioni meridionali.
Voti. In Italia sono stati 31,7 milioni: 19.025.254 al No (60,0%) e 12.709.536 al Sì (40,0%), ovvero 3 a 2. All’estero  sono stati 1,1 milioni: 722.672 al Sì (64,7%) e 394.253 al No (35,3%), quasi 2 a 1 per il Sì. Dunque si diceva il vero quando si parlava di voti all’estero decisivi in caso di risultato sul filo di lana. Il risultato finale quindi è: No al 59,1% con 19.417.507 voti; Si al 40,9% con 13.432.208 voti.
Ma anche i risultati sono territorialmente piuttosto diversi. Prendendo il 60% del No sul territorio italiano come spartiacque, solo tre regioni del Nord l’hanno superato (Veneto al 61,9%, Friuli-Venezia Giulia al 61,0% e Liguria al 60,1%), mentre dal Lazio in giù le regioni sono tutte sopra quota 60, con la Campania al 68,5%, Sicilia al 71,6% e Sardegna al 72,2%. In tre regioni invece è prevalso il Sì: il Trentino-Alto Adige al 53,9%, la Toscana al 52,5% e l’Emilia-Romagna al 50,4%.
E’ interessante osservare la distribuzione del No tra le grandi aree regionali:
Nord:Â 57,3%Â – Centro:Â 54,3%Â – Sud:Â 67,5% –Â Isole:Â 71,8%
Lazio:Â 63,3% –Â Centro senza il Lazio:Â 49,8%
Sud+Isole:Â 68,6%
Sud+Isole+Lazio:Â 67,4%
Dunque, i dati più significativi sono così individuabili:
1) l’alta affluenza (68,5% in Italia), ma non al Sud dove si è andati a votare anche -20% che al Nord;
2) il No vince complessivamente in Italia col 60% contro il 40%, col 57% al Nord, pareggia al Centro senza il Lazio, vince col 68% da Orte in giù;
3) il rapporto No/Sì al Sud+Isole+Lazio è 2,07 (cioè per ogni Sì ci sono più che due No), mentre nel resto è 1,22: sotto Orte, il 40% dei votanti totali ha espresso da solo ben il 71% della differenza tra il No ed il Sì.
E’ stato un voto contro. Si sapeva che era un voto con almeno due componenti, quella tecnica, la riforma o difesa della Costituzione, e quella politica, la scommessa di Renzi o il suo abbattimento. Ma la prima componente è stata tutto sommato meno incisiva. Da troppo tempo c’è tanta parte della società italiana che sta male. E soprattutto al Sud e nelle Isole hanno votato per cambiare il quadro politico, per modificare l’inerzia di una politica economica e sociale fatta di tante parole ma di scarsa, se non nulla, efficacia.
Probabilmente serviva il grande lavacro, il grande sacrificio per rompere il velo che nascondeva un realtà pur così visibile. Così credo che oggi sia assai efficace la metafora bersaniana: “c’è una mucca in corridoio”. Purtroppo io non vedo nessuno nel Pd che sappia o voglia mungerla. Dovrà farlo qualcun altro.
Referendum, la sociologa Chiara Saraceno: “La narrazione miracolistica, smentita poi dalla realtà , è stata un boomerang per Renzi”
di Claudio Paudice
La narrazione “miracolistica” si è rivelata un “boomerang” per il presidente del Consiglio Matteo Renzi. Perché, mentre gli esponenti del governo parlavano di un’Italia che riparte e di un #cambiaverso, i cittadini non hanno visto la loro vita cambiare. “E questo ha prodotto irritazione”. E’ questo uno dei motivi che hanno portato il popolo italiano a bocciare in modo netto la riforma costituzionale al referendum del 4 dicembre, sostiene la sociologa Chiara Saraceno. I dati diffusi dall’Istat sul rischio di esclusione sociale, (un italiano su quattro ne viene investito, al Sud tocca a un cittadino su due) fotografano una realtà che non ha trovato riscontro nella narrazione ottimistica del premier in questi due anni di governo. Ed è anche per questa ragione che gli italiani hanno detto No, dice la sociologa in un’intervista all’HuffPost.
Professoressa Saraceno, il popolo italiano ha detto senza mezzi termini No alla riforma costituzionale. Ma non solo a quella. C’è un legame tra il voto referendario e i dati diffusi dall’Istat sull’esclusione sociale?
“Il risultato referendario è la combinazione di motivazioni diverse. Molti hanno votato nel merito, essendo contrari al modo in cui era stata formulata la riforma. Altri hanno votato contro Renzi, per mandarlo a casa. Però, se si guarda al Sud e ai giovani, tanti hanno votato sul fatto che il governo non ha realizzato quanto aveva promesso, sottovalutando una serie di problemi anche gravi, come le diseguaglianze e il Mezzogiorno. Le speranze sono state deluse e alcuni problemi non sono stati visti per niente, portando così a un aggravamento della situazione. Basta guardare i dati Istat per capire che questo è un Paese che non cresce ma crescono invece le diseguaglianze. Sono dati preoccupanti. È gravissimo che il Sud si sia ulteriormente allontanato”.
Quale è stato l’atteggiamento del governo?
Chiunque denunciasse questi problemi era etichettato come arretrato, non moderno oppure non sufficientemente speranzoso. Nessuno si aspettava un miracolo, ma a fronte di un leader che ha fatto della sua capacità miracolistica la sua parola d’ordine, questo è stato un prezzo da pagare. Sembrava che tutti i problemi dell’Italia sarebbero stati risolti dalla riforma della Costituzione.
Quale Italia esce dalla fotografia fatta dall’Istat?
Secondo i parametri Eurostat, si dice che è a rischio di esclusione sociale chi presenti almeno uno di quattro indicatori (come vivere in famiglie dove non ci sono occupati o a “bassa intensità ” lavorativa, oppure essere a rischio di povertà relativa, o ancora essere in condizione di deprivazione grave). Non sono tutti della stessa misura e dello stesso peso. Forse sono indicatori un po’ troppo larghi ma di certo in termini comparativi con altri Paesi vediamo una percentuale di diseguaglianza che è aumentata dall’inizio della crisi. Grave perché si conferma al Sud e cresce nel Centro Italia, un altro dato allarmante. Ci sono gruppi sociali che in questi anni o non hanno visto modificare la loro situazione o addirittura l’hanno vista peggiorare.
Non di rado Renzi si è vantato dei risultati dati dalla sua riforma del lavoro.
Eurostat conferma quello che già si era capito leggendo altri dati Istat, quelli sui consumi. Anche avere un lavoro spesso non mette al riparo dalla povertà , in particolare su base familiare. Se una famiglia è monoreddito – ed è un reddito modesto – e la famiglia è numerosa il rischio povertà è altissimo. Il 15% delle persone che vivono in famiglie monoreddito soffrono di deprivazione grave. Vuol dire che tutta questa enfasi del governo sull’aumento dell’occupazione – e non è aumentata di molto – non si spiega, perché non è stato un incremento sufficiente. I motivi sono diversi: ci sono disoccupati in famiglia oppure i redditi sono particolarmente modesti. Come dimostra l’ultimo rapporto Inps, i contratti a tutele crescenti sono cresciuti ma sono aumentati molto quei contratti a tempo parziale, e se uno ci deve mantenere una famiglia è molto difficile.
Il disagio sociale è diffuso, in sintesi.
Il disagio forse è più diffuso della povertà : c’è la sensazione di franare. Mentre c’è uno zoccolo duro di povertà anche assoluta, allo stesso tempo c’è una quota di ceto medio che si è sentita franare di più verso il basso e ha visto allontanare i suoi punti di riferimento. E questo non contribuisce a far sentire inclusi e solidali, se mi accorgo che vado a stare peggio mentre qualcuno sta meglio.
Cosa ha sbagliato Renzi nella sua narrazione sull’operato del suo governo?
La narrazione funzione se ci sono dei riscontri oggettivi. In questo caso non ci sono stati. L’unica cosa a favore di Renzi è l’occupazione che ha cessato di diminuire, risalendo un pochino. Ma la qualità dell’occupazione aumentata l’abbiamo capita, sono cresciuti i contratti a tempo per non parlare dei voucher che sono ripresi alla grande. Il premier ha fatto una narrazione per certi versi comprensibile: ha tentato di dare iniezioni di ottimismo, e va bene. Però di qui a dire che saremmo diventati il primo Paese d’Europa, che ormai avevamo la crisi alle spalle e che tutti i problemi erano legati al “gufismo” conservatore, non ha poi aiutato i giovani che faticano a trovare lavoro o a trovarlo con un orizzonte temporale decente. Nel Mezzogiorno solo negli ultimi tempi è ritornato sulle cronache, lì dove è andato a fare i Patti per il Sud per motivi elettorali. Il Sud ormai è sparito, ma da prima di Renzi, sono ormai 10 anni.
Ha messo in campo misure insufficienti?
Guardi, si fa il bonus bebè ma non si fa la riforma degli assegni per i figli, si fa la quattordicesima per gli anziani a basso reddito ma gli anziani poveri, parliamo di povertà assoluta, sono un ottavo di tutti i poveri assoluti mentre i giovani sono invece la metà . C’è uno squilibrio di attenzione, si capisce. Le risorse sono scarse ma si sprecano e si distribuiscono in modo poco efficiente. E questo è diventato un boomerang: all’inizio ha prodotto speranze e simpatia ma quando alla sua narrazione non facevano seguito dei cambiamenti, il prodotto è stato l’irritazione. E che Renzi rovesciasse ogni sensazione di disagio o di critica a questa narrazione univocamente produttiva in un problema di gufi e frenatori, non ha aiutato. È stato come non avere più un interlocutore.
(L’Huffington Post, 7 dicembre 2016)