Fossalato: dimenticare Basaglia?
18 febbraio 2010Una controriforma per via amministrativa
Nel portogruarese i servizi psichiatrici appaiono nel 1972, a Villanova di Fossalta, con un reparto decentrato del manicomio veneziano di San Servolo, presto orientato in una generica comunitĂ terapeutica. Ma è dal 1978, con il primario Domenico De Salvia, che si avvia la trasformazione permessa dalla legge 180 dello stesso anno, con l’articolazione del Dipartimento di Psichiatria in un Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura (il reparto ospedaliero) ed il Centro di Salute Mentale (CSM). Al centro della nuova organizzazione – e sul modello basagliano – c’è dunque il CSM, una struttura aperta, frequentabile senza tante difficoltĂ e paure da parte di chi giĂ soffre il disagio psichico. E’ un luogo dove si può anche stare al caldo o guardare la tv, si può mangiare un pasto e poi tornare a casa. Nelle sue adiacenze c’è anche una comunitĂ alloggio assistita, residuo del vecchio reparto, che cinque anni fa venne trasferita in una nuova struttura in localitĂ Fossalato.
Ora, da alcune settimane, mentre a Portogruaro manca un sindaco eletto, la direzione dell’ASL 10 sta lavorando alacremente alla trasformazione di questa comunità di Fossalato. Di cosa si tratta? Pare proprio che, grazie alla stretta collaborazione tra la Direzione socio–sanitaria e l’attuale Primario del servizio portogruarese, possa vedersi realizzato, senza tante discussioni con operatori e familiari, un piano che era stato elaborato già in fase di progettazione e ristrutturazione dell’edificio di Fossalato. Questo piano concretizza proprio i timori di Basaglia quando affermava: “magari i manicomi torneranno ad essere chiusi…”. Si prevede infatti di aumentare il numero di pazienti, di allargare il bacino di utenza dei malati al sandonatese, di accogliere pazienti dismessi da ospedali psichiatrici giudiziari o dalle carceri. Un altro grave cambiamento riguarderebbe la gestione dei pazienti, che sarebbe affidata ad una cooperativa con personale infermieristico, anche se “patentato”. Il risultato sarebbe devastante! Per gestire un numero maggiore di pazienti, alcuni magari pericolosi (ma qui come controriformisti si esagera un po’ andando contro legge, visto che nel nostro codice la pericolosità sociale, introdotto nel 1930, se esiste ancora, è di pertinenza della magistratura), e risparmiare, perché questo è alla fine il vero obiettivo, bisognerà , come profetizzava Basaglia “usare la chiavi”, porsi come obiettivo primario il controllo.
Oggi a Fossalato ci sono 12 pazienti, seguiti a turno da tre operatori, guidati da un medico psichiatra: qui i rapporti tra le persone, pur nella distinzione tra i ruoli, sono costituiti da contatti umani e da interventi di cura e riabilitazione personalizzati; ci sono pazienti seguiti da mesi, da anni. La riabilitazione richiede tempo e pazienza, competenza e creatività , forza e determinazione di ognuno dei medici e degli operatori, perché queste persone tornino ad avere fiducia. Innanzitutto in chi si prende cura di loro, poi in sé stessi. Ci vuole tempo e costanza perché ricomincino a mangiare bene, a vestirsi puliti, ad uscire di casa con dignità , a rientrare in famiglia, quando possibile, oppure a vivere in alloggio autogestito insieme ad altri.
E i familiari? Lo stuolo silenzioso, dolente, ma attivo, partecipe ed informato di madri, padri, sorelle, fratelli, nipoti? Coloro che hanno costruito prima nell’intimo ambiente familiare, per poi testimoniarlo all’esterno, un nuovo modo di affrontare il parente matto che era stato in manicomio o quel ragazzo così bravo a scuola che poi all’improvviso non c’era più, portato via dal buio della follia? Queste persone sono protagoniste nella gestione della malattia mentale: sono loro che insieme agli operatori e ai medici concretizzano gli interventi, sostengono il malato, ne soffrono a volte gli aspetti più tristi, metabolizzano il loro personale dolore interiorizzando e testimoniando, con l’aiuto degli specialisti e della società , un nuovo concetto di malattia mentale, fatto di relazione, comprensione, accettazione, integrazione… Queste sono persone che vanno ascoltate, anzi ben interpretate nelle loro stesse paure ed angosce, prima di operare una regressione così palese nell’organizzazione dei servizi dati ai loro cari!
Basaglia sembrava presagirla questa regressione quando affermava: “noi abbiamo dimostrato che si può assistere la persona folle in un altro modo, e la testimonianza è fondamentale. Noi nella nostra debolezza,in questa minoranza che siamo, non possiamo “vincere”, perché è il potere che vince sempre. Noi possiamo al massimo “convincere”. Nel momento in cui convinciamo, vinciamo, cioè determiniamo una situazione da cui sarà più difficile tornare indietro”.
Sulla Nuova di ieri: “Chiesa di San Nicolò piena di gente ieri mattina per i funerali di Antonietta Infanti, la donna di 46 anni assassinata lunedì 9 mentre si trovava ospite presso il Centro di riqualificazione psichiatrica di Fossalato. Sui primi banchi, piegata dal dolore, sorretta da parenti e amiche, c’era la madre Dina Infanti, originaria di Giai di Gruaro, residente in via Prati Guori, nel quartiere di San Nicolò. Proprio la chiesa della localitĂ periferica di Portogruaro ha accolto la salma ieri mattina attorno alle 10. Don Elvio Morsanuto, durante l’omelia, ha auspicato che le persone in cura presso questi centri riabilitativi continuino a essere assistiti. Così come non venga meno il sostegno alle cooperative che li curano, amorevolmente, ogni giorno. Un discorso, il suo, molto attuale.”
Il giorno prima : “Il Centro di Fossalato, nonostante questo efferato episodio, viene ancora considerato un polo d’eccellenza.”
credo, come autrice dell’articolo, in un momento come questo, dopo un fatto così grave, doveroso precisare che non sono mai state messe in discussione, nè al momento della prima stesura nè oggi, la competenza e l’adeguatezza del personale della cooperativa che gestisce il servizio all’interno del centro, e che personalmente conosco e apprezzo per la qualitĂ del lavoro che svolge. non conosco invece, e giustamente, i particolari del triste accadimento, che spero non verrĂ mai, superficialmente e inadeguatamente strumentalizzato per individuare capri espiatori. il senso dell’articolo era piĂą ampio, e sottolineava l’importanza del mantenimento di un certo tipo di visione del malato psichiatrico e della sua gestione, che il personale addetto deve essere posto nelle condizioni di porre in essere concretamente. io lavoro nella scuola, e so che a fare le spese di qualsiasi mancanza o vuoto istituzionale, sono poi gli operatori in trincea. non c’è niente di piĂą sbagliato, non solo perchè si sviliscono persone qualificate e capaci, ma perchè si intraprende una strada opposta a quella della risoluzione dei problemi.
Lucia Steccanella