“Consigliatevi con qualche matto”

Pantagruele, nel ritirarsi, scorse lungo la galleria Panurge, nell’attegggiamneto d’un fantasticatore fantasticante e dimenante la testa, e gli disse:- Voi mi sembrate un sorcio preso nella pece, che più si sforza di liberarsi e più s’impiastra. E così voi, sforzandovi d’uscir fuori dai lacci della perplessità , vi ci trovate impigliato più di prima, e io no saprei trovarvi rimedio, salvo uno. Sentite un po’.
Io ho spesso udito un proverbio volgare, che il matto può insegnare al savio. Visto che, con le risposte dei savi, non siete riuscito a soddisfarvi, consigliatevi con qualche matto: potrebbe darsi, che facendo così, vi troviate più soddisfatto e contento secondo il vostro gusto.
Già saprete quanti principi, re e repubbliche, sono stati conservati dal parere, consiglio e predizione dei matti, quante battaglie vinte e quanti dubbi risolti: non ho bisogno di ricordarvi gli esempi.

E voi mi darete ragione in questo perché come colui che è tutto intento ai propri affari privati e domestici, scrupoloso e vigilante nel governo di casa sua, il cui spirito non è mai distratto da altro pensiero, che non perde mai occasione di guadagnare e ammassare beni e ricchezze, e che cautamente sa tenersi lontano dai pericoli della povertà, voi lo chiamate savio secondo il mondo, benché sciocco sia nella stima delle Intelligenze celesti: così, per comparir savio agli occhi loro, voglio dire saggio e presaggio per ispirazione divina, e atto a ricevere il dono della divinazione, bisogna invece dimenticare se stessi, uscir fuori di se stessi, liberare i propri sensi di ogni terrestre affetto, purgare il proprio spirito d’ogni umana sollecitudine, e mettere tutto in non cale. Il che volgarmente è imputato a follia.

François Rabelais [1494-1553], Gargantua e Pantagruele, a cura di Mario Bonfantini, Einaudi, Torino (19531) 1993 (cap. XXXVII, p. 442).

(Il brano originale è tutto un periodo, senza a capo, e viene qui forzato nello stile d’internet. Rabelais, uomo di spirito, capirà.)

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“Vorrei fosse chiaro”

“Occorre in generale individuare priorità che siano riferibili a quella strategia di più sostenuta crescita economico-sociale che per l’Italia è divenuta – dopo un decennio di crescita bassa e squilibrata – condizione tassativa per combattere il rischio del declino anche all’interno dell’Unione Europea. Vorrei fosse chiaro che sto ragionando sul da farsi nei prossimi anni; giudizi sulle politiche di governo non competono al Capo dello Stato, ma appartengono alle sedi istituzionali di confronto tra maggioranza e opposizione, in primo luogo al Parlamento. E vorrei fosse chiaro che parlo di una strategia, e parlo di priorità, da far valere non solo attraverso l’azione diretta dello Stato e di tutti i poteri pubblici, ma anche attraverso la sollecitazione di comportamenti corrispondenti da parte dei soggetti privati. Abbiamo, così, bisogno non solo di più investimenti pubblici nella ricerca, ma di una crescente disponibilità delle imprese a investire nella ricerca e nell’innovazione. Passa anche di qui l’indispensabile elevamento della produttività del lavoro: tema, oggi, di un difficile confronto – che mi auguro evolva in modo costruttivo – in materia di relazioni industriali e organizzazione del lavoro.
Reggere la competizione in Europa e nel mondo, accrescere la competitività del sistemapaese, comporta per l’Italia il superamento di molti ritardi, di evidenti fragilità, comporta lo scioglimento di molti nodi, riconducibili a riforme finora mancate. E richiede coraggio politico e sociale, per liberarci di vecchie e nuove rendite di posizione, così come per riconoscere e affrontare il fenomeno di disuguaglianze e acuti disagi sociali che hanno sempre più accompagnato la bassa crescita economica almeno nell’ultimo decennio.
Disuguaglianze nella distribuzione del reddito e della ricchezza. Impoverimento di ceti operai e di ceti medi, specie nelle famiglie con più figli e un solo reddito. E ripresa della disoccupazione, sotto l’urto della crisi globale scoppiata nel 2008.”

Dal messaggio del Presidente della Repubblica Italiana Giorgio Napolitano del 31 dicembre 2010.

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L’art. 18, per finire

Piero Bevilacqua ha anticipato su Eddyburg il suo articolo di Natale, “Quant’è cristiano licenziare“. Questa è la conclusione:

“Rendere più agevole al capitale l’uso della forza lavoro non solo non è la soluzione, ma la causa prima del presente disordine mondiale, poggiante su un sovrastante dominio di classe. Se ne persuada il ministro Fornero, e tutti gli zelanti salvatori dell’Italia, i nuovi posti non nasceranno rendendo più facili i licenziamenti dei lavoratori. A frenare gli investimenti non sono certo le condizioni del mercato del lavoro, come mostrano del resto recenti ricognizioni presso le imprese. L’abolizione dell’articolo 18, inutile allo scopo, costituirebbe un altro piccolo passo verso la barbarie: condizione a cui si perviene, ovviamente, con la giusta gradualità, perché gli uomini hanno bisogno di un po’ di tempo, ma poi si adattano a qualunque abiezione. Se anche nell’animo dei cristiani i dogmi neoliberali sono diventati articoli di fede, occorrerà rifondare qualche nuova religione, o l’umanità è perduta.”

Si misuri tutta la distanza da quanto scrivono Pietro Ichino e Enrico Moretti oggi su Il Sole 24 Ore, “Il lavoro e i lavori, l’obbligo di cambiare“. Un articolo che pare rivolto soprattutto ai “conservatori del Pd”. Questa è la conclusione:

“Quello che è certo è che così il Paese non può crescere. Tirare avanti con una torta più piccola pur di dare piena assicurazione a tutti ha dei costi troppo alti, specialmente per i giovani e i più deboli nella società. Bassa crescita significa che non ci sono occasioni di lavoro per chi cerca un primo impiego, i salari medi sono bassi e nessuno all’estero si fida più a darci il credito che fino ad oggi ci ha consentito di vivere al di sopra delle nostre possibilità reali.”
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Cosa non ci possiamo permettere

Sul Corriere della Sera, che io leggo online, domenica 18 c’è un’intervista al ministro del Lavoro, Elsa Fornero, 63 anni, torinese, il robot che piange in pubblico pensando ai sacrifici che sta per infliggere. Ad un certo punto il giornalista chiede:

Ma con questa crisi, anche occupazionale, ha senso tenere le persone al lavoro, in prospettiva, fino a 70 anni?
«Siamo tutti concentrati sulla contingenza, ma questa è una riforma strutturale. Per funzionare ha bisogno di un sistema in crescita. Non ci possiamo permettere la stagnazione e tantomeno la recessione. Il punto è: il lavoro è ciò che ti dà la pensione. Un buon lavoro ti dà una buona pensione. Il messaggio è: non vi stiamo tagliando la pensione – al netto del blocco della perequazione dovuto all’impegno al pareggio di bilancio nel 2013 – ma vi stiamo chiedendo di lavorare di più, perché questo vi premia».

Qui probabilmente c’è tutta la filosofia politica e la politica economica del governo Monti. Il ministro dice che la riforma strutturale ha senso in un sistema di crescita (che non c’è) e che una buona pensione è data da un buon lavoro (che non c’è). Tutto si fonda su qualcosa che non c’è.

Noi invece quello che non possiamo permetterci è proprio un ministro-robot che ci dà qualcosa che non c’è e non ci sarà, perché la crescita è un mito occidentale caduto e il lavoro qualcosa che se in parte è già cambiato, non va aumentato o allungato come periodo, ma redistribuito.

Per noi ci sono due cose certe. La prima è che dobbiamo ridurre i consumi di energia, individuali e collettivi. La seconda è che possiamo ridurre il tempo individuale di lavoro. Consumare meno e lavorare meno, ma tutti. Pazienza se questo ci porta a non avere la cosiddetta crescita, anzi, forse sarà meglio. La chiameremo decrescita, senza paura, anzi felici.

(Non ignoriamo che questo governo sta lavorando per la cosiddetta crescita e sappiamo che per questo ci preparerà altri sacrifici. Siamo pronti.)

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“Quel pazzo di Pasolini”

L’Espresso in edicola e online presenta un documento inedito degli ultimi giorni di vita di Pier Paolo Pasolini. E’ un colloquio (c’è anche l’audio, in francese) avvenuto a Stoccolma il 30 ottobre 1975. Il poeta e regista friulano (così mi piace ricordarlo) sarebbe stato ammazzato la notte tra l’1 e il 2 novembre.

Raccomando la lettura di tutto il testo, ma il nocciòlo è questo:

«In Italia è avvenuta una rivoluzione ed è la prima nella storia italiana perché i grandi Paesi capitalistici hanno avuto almeno quattro o cinque rivoluzioni che hanno avuto la funzione di unificare il Paese. Penso all’unificazione monarchica, alla rivoluzione luterana riformistica, alla rivoluzione francese borghese e alla prima rivoluzione industriale. L’Italia invece ha avuto per la prima volta la rivoluzione della seconda industrializzazione, cioè del consumismo, e questo ha cambiato radicalmente la cultura italiana in senso antropologico. Prima la differenza tra operaio e borghese era come tra due razze, adesso questa differenza non c’è già quasi più. E la cultura che più è stata distrutta è stata la cultura contadina, che allora era cattolica. Quindi il Vaticano non ha più alle spalle questa enorme massa di contadini cattolici. Le chiese sono vuote, i seminari sono vuoti, se lei viene a Roma non vede più file di seminaristi che camminano per la città e nelle ultime due elezioni c’è stato un trionfo del voto laico. E anche i marxisti sono stati cambiati antropologicamente dalla rivoluzione consumistica perché vivono in altro modo, in un’altra qualità di vita, in altri modelli culturali e sono stati cambiati anche ideologicamente.»

Non posso riportare tutto il testo, c’è anche la riproduzione riservata, ma il finale è doppiamente profetico:

Faccia una profezia. Sia Tiresia. C’è speranza nel futuro?
«Dovrei fare Cassandra più che Tiresia. (…) Tutto quello che ho detto, l’ho detto a titolo personale. Se voi parlerete con altri italiani vi diranno “Quel pazzo di Pasolini”».

(Inutile dire che è vero che era l’inascoltata Cassandra. Abbiamo da anni il cavallo di Troia dentro le mura e i soldati dentra la sua pancia.)

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Poveri stranieri, poveri noi

La Bibbia è un libro scritto in molti secoli. Anzi, letteralmente significa “i libri”. I primi dell’Antico Testamento precedono di mezzo millennio la nostra èra. In particolare, il terzo libro, il Levitico, soprattutto nell’ultima parte (paragrafi 17-27), tratta di leggi e regole.

Questa è la sequenza più nota e significativa del paragrafo 19 (Levitico 19: 26-34):

26 Non mangerete carne con il sangue. Non praticherete alcuna sorta di divinazione o di magia.
27 Non vi taglierete in tondo i capelli ai lati del capo, né deturperai ai lati la tua barba.
28 Non vi farete incisioni sul corpo per un defunto, né vi farete segni di tatuaggio. Io sono il Signore.
29 Non profanare tua figlia, prostituendola, perché il paese non si dia alla prostituzione e non si riempia di infamie.
30 Osserverete i miei sabati e porterete rispetto al mio santuario. Io sono il Signore.
31 Non vi rivolgete ai negromanti né agli indovini; non li consultate per non contaminarvi per mezzo loro. Io sono il Signore, vostro Dio.
32 Alzati davanti a chi ha i capelli bianchi, onora la persona del vecchio e temi il tuo Dio. Io sono il Signore.
33 Quando un forestiero dimorerà presso di voi nel vostro paese, non gli farete torto.
34 Il forestiero dimorante fra di voi lo tratterete come colui che è nato fra di voi; tu l’amerai come tu stesso perché anche voi siete stati forestieri nel paese d’Egitto. Io sono il Signore, vostro Dio.

Le ultime due frasi  (33-34) sono stati citate in relazione all’uccisione avvenuta mercoledì 14 di due senegalesi a Firenze. Quelle precedenti (26-32) sono da tempo considerate delle stranezze dalla maggioranza delle popolazioni occidentali. In Italia, se si considera bene, anche la frase 29: quanti erano disposti a dare la figlia “in pasto all’orco”? E la maggioranza della Camera non ha votato un documento per salvare l’orco?

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“Uno dei modi”

«Uno dei modi per arrivare, non dico a “basta tasse” ma almeno a “meno tasse” è quello di estendere la fiscalità al mondo della finanza», così il premier Monti stamane al Senato.

Sia chiaro che io faccio il tifo per Monti. Non mi piace come gioca adesso, ma come allenatore conosce tutte le soluzioni tattiche. Non avevo mai sentito prima parlare di “Tobin tax”, in Parlamento, né da Prodi, né da D’Alema, né da Veltroni, né da Bersani. Anzi, neanche da Bertinotti in tv.

L’ha fatto solo dopo la sceneggiata della Lega? Non vuole avere più quel clima da stadio? A me non interessa quali motivazioni Monti abbia sul breve, basta mantenga la possibilità di cambiar gioco. Ci conto proprio.

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Una nuova èra

Questa settimana ci sarà l’approvazione parlamentare del decreto “Salva Italia”. Come è già stato anticipato nei giorni scorsi dal viceministro dell’economia Vittorio Grilli, nel 2012 ci sarà una diminuzione del Pil dello 0,4-0,5% e crescita zero nel 2013.

Siamo finalmente entrati nell’èra della decrescita programmata. E’ la famosa decrescita infelice.

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Come uscire dalla merda, definitivamente (2)

Segnalo che anche il Corriere della Sera ha una posizione di denuncia sulla questione fiscale. Sull’odierno giornale online, Sergio Rizzo scrive su “Il fisco alla guerra dei trent’anni. Così l’evasione è quintuplicata. Dai 54 miliardi dell’81 ai 275 di oggi. E in mezzo tre condoni e tre scudi”.

Naturalmente non ci sono grosse novità.  Alla fine di agosto, all’epoca dell’ennesima manovra del precedente governo criminal-politico, avevo già sostenuto che essendo questa la causa principale del debito, lì c’è anche la soluzione. Bisogna risolvere la questione fiscale per uscire dalla merda e farlo definitivamente, attraverso le elezioni.

Ma oggi abbiamo il governo professoral-tecnico. Alle elezioni non pensa neanche la sinistra. Perché non c’è.

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Reciproco sarai tu

La Fondazione Nord Est, l’istituto di ricerca sociale ed economica degli industriali delle Tre Venezie, ha pubblicato sul suo sito un documento, “Sviluppo e territorio: una nuova reciprocità”, che affronta il tema noto come sindrome Nimby (“Not in My Back Yard”, ossia, non sul mio cortile) rispetto al nostro territorio.

L’intervento più interessante è quello di Luca Marzotto, amministratore delegato di Zignago Holding SpA. Nella parte iniziale scrive anche sulle vicende del nuovo impianto di Villanova, ma conclude così:

“Ma come affrontano all’estero la sindrome Nimby, come viene gestita nel resto del mondo la realizzazione di grandi opere? Ci sono regole chiare, leggi che non consentono poi il boicottaggio da parte di sparute minoranze.
“Ecco, il primo vero problema del nostro Paese riguarda l’assenza di regole chiare e certe: troppo spesso, infatti, si assiste ad una vera e propria “compravendita del consenso” che fa lievitare “ennevolte” i costi delle opere stesse, rendendo così inefficiente e scarsamente competitivo tutto il sistema. Il risultato dei ritardi, dei rimbalzi di responsabilità, dei mille passaggi burocratici è che alla fine siamo un popolo di “fregati”!
“Ci vogliono scelte a monte. È semplicemente assurdo che poche centinaia di persone possano rallentare, se non addirittura impedire, la costruzione di un’opera come la TAV che collega 2 paesi, o fermare per anni processi autorizzativi già conclusi, o fermare cantieri generando inefficienze che ricadono direttamente nelle tasche di tutti i cittadini.”

Ci vogliono dunque “regole chiare” e “scelte a monte”, altrimenti ci sarà la solita “compravendita del consenso”, con tutte le conseguenze sui costi.

Non so se ho capito bene. Non credo infatti che Marzotto per “scelte a monte” intenda una buona pianificazione del territorio, che eviti, per esempio, la costruzione di quattro centrali a biomassa nel raggio di cinque chilometri. Ho l’impressione che mi sfugga il suo vero pensiero. Eppoi, con tutta la buona volontà di capire, mi resta opaco quel concetto definito “compravendita del consenso”. Ma forse è solo un problema di linguaggio.

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