Poveri stranieri, poveri noi

La Bibbia è un libro scritto in molti secoli. Anzi, letteralmente significa “i libri”. I primi dell’Antico Testamento precedono di mezzo millennio la nostra èra. In particolare, il terzo libro, il Levitico, soprattutto nell’ultima parte (paragrafi 17-27), tratta di leggi e regole.

Questa è la sequenza più nota e significativa del paragrafo 19 (Levitico 19: 26-34):

26 Non mangerete carne con il sangue. Non praticherete alcuna sorta di divinazione o di magia.
27 Non vi taglierete in tondo i capelli ai lati del capo, né deturperai ai lati la tua barba.
28 Non vi farete incisioni sul corpo per un defunto, né vi farete segni di tatuaggio. Io sono il Signore.
29 Non profanare tua figlia, prostituendola, perché il paese non si dia alla prostituzione e non si riempia di infamie.
30 Osserverete i miei sabati e porterete rispetto al mio santuario. Io sono il Signore.
31 Non vi rivolgete ai negromanti né agli indovini; non li consultate per non contaminarvi per mezzo loro. Io sono il Signore, vostro Dio.
32 Alzati davanti a chi ha i capelli bianchi, onora la persona del vecchio e temi il tuo Dio. Io sono il Signore.
33 Quando un forestiero dimorerà presso di voi nel vostro paese, non gli farete torto.
34 Il forestiero dimorante fra di voi lo tratterete come colui che è nato fra di voi; tu l’amerai come tu stesso perché anche voi siete stati forestieri nel paese d’Egitto. Io sono il Signore, vostro Dio.

Le ultime due frasi  (33-34) sono stati citate in relazione all’uccisione avvenuta mercoledì 14 di due senegalesi a Firenze. Quelle precedenti (26-32) sono da tempo considerate delle stranezze dalla maggioranza delle popolazioni occidentali. In Italia, se si considera bene, anche la frase 29: quanti erano disposti a dare la figlia “in pasto all’orco”? E la maggioranza della Camera non ha votato un documento per salvare l’orco?

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Una risposta a Poveri stranieri, poveri noi

  1. Aldo Manuzio scrive:

    (In furlan)

    26 No stait a mangjâ cjâr cul sanc. No stait a butâsi ni tai strolegaz ni tai incjantesims.
    27 No stait a rocâsi il cjâf a taront e no stait a staronzâ l’ôr de barbe.
    28 No stait a fâsi tais sul cuarp par un muart ni a tatuâsi. Jo o soi il Signôr.
    29 No sta profanâ tô fie lassanle doprâ, par no che la tiere si prostituissi e si jempli di porcariis.
    30 O rispietareis lis mês sabidis e o vareis rivuart pal gno santuari. Jo o soi il Signôr.
    31 No stait a lâ di chei ch’a clàmin i muarz ni dai induvinins; no stait a interpelâju par no insoçâsi par colpe lôr. Jo o soi il Signôr, il vuestri Diu.
    32 Jeve in pîs presince di chel ch’al à i cjavei blancs; onore la persone dal vieli e vîf tal timôr dal to Diu. Jo o soi il Signôr.
    33 Cuanche un forest si stabilissarà framieç di vuâtris, te vuestre tiere, no stait a fâj malegraciis.
    34 Il forest ch’al vîf framieç di vuâtris o veis di tratâlu compagn di chel nassût framieç di vuâtris; tu lu amarâs come te in persone, parceche ancje vuâtris o veis stât foresc’ te tiere dal Egjt. Jo o soi il Signôr, il vuestri Diu.

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