‘A munnezza

Ho visto la città diffusa dormire ancora attraversata dalla lingua d’asfalto percorsa da pochi bisonti della strada assonnati.

Ho visto nel chiarore dell’alba le luci di Chioggia in contrasto sulla laguna e il luccichio dei pescherecci ostinati a sfruttare un mare in crisi che sembravano radiofari di lontane stazioni spaziali.

Ho visto il sole sorgere possente sulle valli di Comacchio e su un’occupazione di territorio da parte di case e fabbricati disordinata e sgualcita, seppur rada.

Ho visto pannelli fotovoltaici agli autogrill dell’autostrada lungo la riviera adriatica mentre assieme ad altri cercavo ristoro alla mia fame di caffè e vacanze.

Ho visto una costa splendida, stretta tra il mare e le colline, quasi come se fosse spremuta dalla terra e dall’acqua, oltre che dall’industria turistica.

Ho attraversato lo stivale prima di arrivare al tacco, e ho scoperto la bellezza quasi primitiva dell’Abruzzo e del Molise, terre aspre, forti, vere.

Ho visto un mare diverso luccicare all’orizzonte, baciare una terra scura e generosa, fertile e procace di verde e verdura, frutti e fiori.

Ho assaggiato e assaporato pane che sa di pane, lievitato e cotto come deve essere il pane, pomodori succosi e mozzarella che si scioglie in bocca, uva croccante e succo d’uva sublime, e tante altre prelibatezze che ti chiedi come possano crescere tutte qui.

Ho visto rovine di torri normanne e castelli aragonesi dalle mura possenti, ho visto la maestosità delle costruzioni di un impero un tempo maestoso, la semplice magnificenza di paesaggi brulli e verdi a picco sul mare cristallino.

E poi.

E poi ho visto lei.

 

‘A munnezza.
Ovunque.

Ovunque vi fossero cassonetti e cestini per la raccolta differenziata.

Non fa differenza.

‘A munnezza qui a Paestum è ovunque.

E’ un popolo che soffoca tra i suoi escrementi.

Dimenticate Napoli e i problemi di malavita.

‘A munnezza è una condizione di vita per una popolazione che potrebbe essere la Florida e che invece si autocondanna.

‘A munnezza è stata per me uno shock, una cosa inconcepibile. Impossibile ancora adesso da comprendere. Impossibile capire come queste persone solari e piene di vita, cortesi e mai agressive, aggrediscano continuamente l’ambiente con gesti semplici ma criminosi: la cicca spenta sul bagnasciuga, la bustina di plastica lasciata semplicemente lì per terra, il depositare sacchetti di spazzatura ovunque, è il campeggio selvaggio dentro la pineta, dove arrivare non solo con sedie e tavoli, ma addirittura con la macchina e le tende, portandosi poi via tutto tranne ‘a munnezza, e solo Dio sa quant’altro.

Al punto che non riesco ancora a vedere quale potrebbe essere una soluzione.

Quella indicata dalle nostre amiche di Portogruaro, innamorate da 40 anni di questa terra e che caparbiamente ogni mattina puliscono un pezzetto di spiaggia e spiegano ai campani perché dovrebbe farlo anche loro.

Quella di Legambiente, che qui ha creato una piccola oasi di qualche centinaio di metri quadrati in un litorale lungo qualche chilometro, per far capire quanto più bella è una spiaggia pulita.

Quella dei messaggi minacciosi, come quello scritto con la bomboletta su un bidone della Caritas e che più o meno dice “l’inquinamento è morte”.

Quella di pagare un tot al chilo chiunque porti a discarica i rifiuti, anche quelli raccolti ovunque per strada, sperabilmente soprattutto quelli.

Non lo so. Spero che un De Magistris con un fido tecnico Rossi sorga presto anche da queste parti.

Per conto mio, caro popolo campano, questo è un addio, o quanto meno un lunghissimo arrivederci. Non credo me la sentirò di tornare qui fino a quando le cose non saranno cambiate radicalmente. Solo tu ti puoi risollevare da questa situazione, non lo Stato, non il Governo, non le forze dell’ordine. Certo, non dipende tutto da te. Ma può cominciare solo da te.

Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori.

‘A munnezza non è diamante, ma nemmeno letame, ‘a munnezza è solo morte.

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Chi dorme (sugli allori)… non piglia pesce

A volte mi capita di pensare che noi italiani abbiamo avuto più fortune che pregi, tra i quali certamente quello di vivere in un ambiente paesaggistico-culturale che ha pochi eguali. E, per esempio nel settore del turismo, abbiamo avuto la capacità di sgobbare per capitalizzare questa ricchezza, ma come muli e sempre più schiavi del Denaro, o Schei se preferite. In Veneto il turismo è uno dei settori principali dell’economia e vale circa 10 punti di PIL.

L’avidità e, permettetemelo, la pochezza di spirito di un popolo che ricorda ancora troppo bene la miseria ha annebbiato la vista e impedito di pensare per tempo a salvaguardare quello stesso patrimonio con cui ha creato fortune. Ce lo dice molto bene Goletta Verde, che parla di un’Italia e un Veneto non esente dal problema di foci dei fiumi inquinate (e quindi anche le acque di località come Caorle, Bibione e Jesolo), cementificazione spinta e, da ultimo, un numero crescente di progetti di trivellazione per la ricerca di energie fossili, a cui si aggiungono rigassificatori e progetti infrastrutturali di dubbia utilità. Unitamente ai problemi del settore ittico, afflitto da sovrasfruttamento delle risorse e sistematica infrazione delle regole, sembra proprio che l’home economicus sia insensibile al grido d’allarme del mare, il luogo di origine di tutta la vita.

Eppure casi interessanti in giro per il mondo ci dimostrano che è la gestione sostenibile di una risorsa, talvolta la sua salvaguardia spinta, anziché lo sfruttamento industriale che ottusamente perseguiamo, a garantire uno sviluppo durevole. E’ il caso della Baia California, rinata proprio grazie alla salvaguardia del mare tramite l’istituzione di un parco marino. E da noi? Non serve andare troppo lontano per scoprire le meraviglie della Vallevecchia, grazie ad un programma che quest’anno mi sembra davvero bello ricco, tutto attorno al turismo slow e sostenibile. Chissà se il turismo di massa di Caorle e Bibione se ne è accorto. Meglio ancora, chissà se qualche operatore turistico si è accorto della potenzialità.

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In memoria di Ray Anderson

Nel mondo dell’industria, negli spazi stretti di una competizione sempre più aspra e asfissiante, ci sono persone in grado di immaginare percorsi assolutamente originali e rivoluzionari, che sbaragliano il campo e creano improvvisamente nuovi schemi e nuove visioni, e con esse nuovi modi di fare impresa. Queste persone hanno coraggio e determinazione, valori e visione, passione e cuore per portare avanti progetti innovativi in tempi non sospetti, quando pochi sono capaci di immaginare nuove strade, ne tantomeno di percorrerle.

Uno di questi personaggi, una stella polare nella conversione ecologica dell’economia, è stato Ray Anderson, fondatore e CEO di Interface, leader mondiale nel settore della tappezzeria industriale, che ci ha lasciato ieri. Chi è e cosa fa Interface, un’azienda che si è posta l’obiettivo impatto zero entro il 2020, lo potete leggere qui. E qui potete ascoltare e leggere le parole di Anderson che sintetizzano la sua visione del mondo e dell’industria.

Fortunatamente anche in Italia abbiamo persone di questo calibro, uno di questi è senz’altro Gabriele Centazzo, fondatore e designer di Valcucine. Sono personaggi come questi, in un periodo turbolento e cupo come questo, che ci fanno sperare di poter trovare un’uscita positiva dalle sabbie mobili in cui sempre più ci stiamo impantanando.

Arrivederci Mr. Anderson.

“Se impariamo a riutilizzare i prodotti di ieri per approvvigionare i nostri magazzini di domani, se alimentiamo l’insieme dei nostri processi di produzione con l’energia rinnovabile, se rendiamo questi processi efficaci, ciclici, innocui e senza sprechi, avremo ottenuto il nostro obiettivo: essere un’azienda sostenibile”

Ray Anderson, 1934-2011

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Dopo diecimila anni è ora di cambiare

Di che sto parlando? Aratura. Sì, perché da 10mila anni l’agricoltore ara il terreno. E’ ora di smetterla!

Sono impazzito? Aspettate un attimo a dirlo. L’aratura è un processo che non esiste in natura (cioè senza l’intervento umano). Dunque, come tutti i processi che non esistono in natura ha impatti molto forti. Infatti depaupera il terreno per una serie di ragioni: lo espone a vento, sole e pioggia, che lo impoveriscono dilavando e disperdendo nutrienti e microrganismi, abituati a lavorare in ambienti anaerobici. Per questo motivo occorre intervenire con concimazioni sempre più frequenti e profonde. Questo è particolarmente vero da 50 anni a questa parte, da quando cioè la profondità di aratura è passata da 10 cm a più di 30, grazie alla meccanizzazione.

Esistono diverse scuole di pensiero che rifiutano questa tecnica, a partire dalla Permacultura e dall’Agricoltura sinergica (approccio che sto sperimentando con soddisfazione nel mio orto domestico). Da poco ho saputo però dell’esistenza della Semina su sodo. Si tratta in pratica dell’estensione dell’agricoltura sinergica alla coltivazione su grande scala, in cui non si procede all’aratura ma alla semplice semina, lasciando nel terreno le radici delle coltivazioni precedenti, che in questo modo creano dei micro fori nel terreno capaci di trattenere l’acqua e i nutrienti, oltre che arricchire il terreno di sostanza organica.

Ecoblog ha recentemente visitato uno di questi campi. Sono personalmente affascinato da queste tecniche, così come dalle sperimentazioni che ad esempio si fanno presso l’Azienda Sperimentale di Valle Vecchia, in Brussa, a partire dall’utilizzo di siepi boscate lungo i campi. Abbiamo a portata di mano e di portafoglio un’agricoltura completamente sostenibile, che però richiede anche un riequilibrio nella destinazione di derrate alimentari: meno cereali per l’allevamento e più ortaggi per il consumo umano. E’ una scelta che solo noi consumatori possiamo attuare, ma ci guadagneremo in salute, portafogli e ambiente.

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Due ali e una capanna

Si può essere creativi, sostenibili e originali allo stesso tempo, nelle maniere più impensabili. Questo professionista californiano ha pensato di riciclare niente di meno che un aereo di linea.
David Hertz ha comprato i rottami di un Boeing 747 per circa 22 mila sterline riciclandone le parti utilizzabili. Il risultato? Una casa di lusso dove il tetto è stato costruito con le ali mentre la struttura in cui erano contenuti i motori è diventata un piscina, solo per citare qualche esempio. Ora la villa a Malibu è meta di turisti e curiosi. (Qui il resto delle foto.)

Si sa che gli americani ritengono storico qualsiasi oggetto che abbia più di trenta anni o giù di lì. Da noi non servirebbe molto, basterebbe ad esempio incentivare il recupero dei magnifici casali di campagna e vecchie fattorie di cui è costellata la nostra terra, edifici di base già sostenibili (orientamento verso il sole, ombreggianti estivi, ampie superfici e spazi vivibili, ecc.).

Leggo da un progetto del GAL che “il portogruarese ha una realtà peculiare, fatta di notevoli spunti di interesse in tutti gli ambiti censiti. Il mix di beni culturali, architettonici e naturalistici è attualmente sfruttato in modo parziale per la mancanza di politiche di promozione d’area significative, e di coordinazione.”

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Ho visto cose che voi italiani…

… non potete nemmeno immaginare!

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Se l’avessero saputo le mondine…

Nel paradigma energetico post petrolifero (in cui ci stiamo già addentrando), ogni flusso di energia deve essere valutato e possibilmente sfruttato. E’ una legge basilare in natura, dove nulla si crea o si distrugge, ma si trasforma. Così succede che anche l’acqua normalmente utilizzata per le risaie, anziché defluire al mare, possa essere impiegata per produrre elettricità attraverso il micro idroelettrico.

Grandi volumi di acqua sono infatti destinati alla sommersione delle risaie di Piemonte e Lombardia (ben 4,8 miliardi di mc). Di questa massa d’acqua solo il 20% è riutilizzato per l’irrigazione dei campi, mentre il resto semplicemente finisce nel mare Adriatico attraverso i canali che si riversano nel Po, quando invece potrebbero essere sfruttati per produrre energia idroelettrica.

A questo si sta pensando nelle province di Vercelli, Novara e Pavia: sfruttare la forza dell’acqua per produrre energia anche in pianura mediante la realizzazione di salti d’acqua lungo la rete di canali (lunga nel complesso ben 180 mila km) e mini-centrali idroelettriche. Con impianti a còclea, simili a quelli ideati nell’antichità da Archimede, si riesce a produrre energia con un dislivello di appena 1,50 metri. Secondo alcuni studi del Politecnico di Milano si potrebbe arrivare a produrre ben 1 milione di kiloWatt, sufficienti per riscaldare/ illuminare ben 250 mila case.

La regione Piemonte ha già realizzato una settantina di impianti elettrici lungo i canali di irrigazione e un’altra trentina è in progetto. E per il progetto definito “mini-idroelettrico” sono stati messi a disposizione 598 milioni di euro nel contesto del Piano Irriguo Nazionale.

(Fonte)

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