Non più PIL

E’ notizia, una bella notizia, recente che l’ISTAT ha iniziato a misurare altre grandezze oltre il PIL per monitorare l’andamento del nostro paese. Bene! Gli inglesi dicono “you get what you measure” e solo misurando in maniera il più possibile precisa come si crea il nostro benessere possiamo trovare le strade giuste per crearlo.

Il 18 marzo del 1968, presso l’università del Kansas, Robert Kennedy pronunciava un discorso nel quale evidenziava -tra l’altro- l’inadeguatezza del PIL come indicatore del benessere delle nazioni economicamente sviluppate. Tre mesi dopo veniva ucciso durante la sua campagna elettorale che lo avrebbe probabilmente portato a divenire presidente degli Stati Uniti d’America.

“Il PIL comprende anche l’inquinamento dell’aria e la pubblicità delle sigarette, e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine-settimana.
Il PIL mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte di casa, e le prigioni per coloro che cercano di forzarle. Comprende programmi televisivi che valorizzano la violenza per vendere prodotti violenti ai nostri bambini. Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari, si accresce con gli equipaggiamenti che la polizia usa per sedare le rivolte, e non fa che aumentare quando sulle loro ceneri si ricostruiscono i bassifondi popolari.
Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia, la solidità dei valori familiari, l’intelligenza del nostro dibattere. Il PIL non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro paese. Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta.”

E’ arrivato il momento di dare concretezza alle parole pronunciate da un uomo visionario più di quarant’anni fa. E’ arrivato il momento di attuare una vera ed autentica decrescita felice.

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Moltitudine inarrestabile

La partecipazione civica per contrastare opere e azioni a vantaggio di pochi e a danno della collettività sta indubbiamente vivendo una nuova e vigorosa stagione. Basterebbe citare gli avvenimenti e i movimenti contro l’assurdità del TAV, i ben noti piemontesi ma anche le azioni locali venete, intraprese anche a Portogruaro.

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Ne segnalo invece tre che si sono svolte in contemporanea, oggi.

Ad Adria, nel delta del Po, migliaia di persone si sono mobilitate per il corteo contro la trasformazione della centrale di Porto Tolle, inserita nell’area di uno dei parchi più importanti d’Italia, da olio combustibile a carbone. Altre manifestazioni sono in corso a Brindisi, Civitavecchia, La Spezia, Saline Joniche e Vado Ligure. La protesta è stata indetta dal comitato “Fermiamo il carbone”, che ha replicato la larga alleanza nata nella battaglia referendaria: tra gli altri ci sono Arci, Legambiente, Wwf, Greenpeace, Italia Nostra, Sos Rinnovabili, Lipu, Legapesca, Slow Food, Kyoto Club, Fare Verde.

A Portogruaro, al Teatro Russolo, una cittadinanza attenta e giustamente preoccupata ha seguito con attenzione e partecipazione un convegno organizzato dal Comune di Portogruaro per fare il punto della situazione e indicare alcune possibili prospettive rispetto all’allarmante proliferare di centrali a biomasse nel Veneto Orientale, la quasi totalità delle quali è costituita da puri e semplici progetti speculativi a favore di pochi e su logiche ambientali devastanti (dalle centrali a biogas alimentate esclusivamente a mais delle Generali a Caorle, per passare a quelle a biodiesel di provenienza asiatica della Cereal Docks a Summaga senza dimenticare la mega caldaia SENZA recupero di calore di Villanova ad opera di Zignago Power che brucia la bellezza di 330 tonnellate di legname al giorno).

Infine a Cassinetta di Lugagnano si discute alla prima Assemblea Nazionale per lo Stop al Consumo di Suolo, nel comune che per primo ha realizzato un Piano Regolatore a nuova cubatura zero, e al quale è stato chiamato a parlare anche il nostro Ermes Drigo, come membro del direttivo nazionale del Movimento per la Decrescita Felice presentando il progetto di Portogruaro Città Solare.

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Il fotovoltaico italiano chiude il ciclo

Qualcuno ha ancora ritrosie ad affidarsi al fotovoltaico perché teme di mettersi sul tetto qualcosa di inquinante che non sa come smaltire in futuro, alla stessa stregua dell’eternit. Invece non è così e – oltre ad essere forse l’unica soluzione per togliere l’amianto dal tetto tramite incentivi – il fotovoltaico è pressoché completamente riciclabile, ora anche in Italia.

É italiano infatti il nuovo sistema di recupero dei pannelli solari. Arriva da , consorzio per la gestione dei , la soluzione ad un problema importante per il comparto del settore energetico, costretto fino ad oggi a far ricorso per lo smaltimento all’unico impianto di riciclaggio presente in Germania. E in Italia, solo nell’ultimo anno, sono stati più di 50mila i pannelli solari dismessi, per un volume che è destinato a crescere esponenzialmente.

Nel nostro Paese risulta in funzione un modulo  per ogni abitante, per un totale di oltre 52 milioni di pannelli solari attualmente in esercizio. Per far fronte al problema dello smaltimento interviene ora Ecolight, consorzio nazionale per la gestione dei  elettrici ed elettronici (RAEE), che in anteprima ad Ecomondo (Fiera di Rimini, dal 9 al 12 novembre) presenterà il primo sistema integrato per la raccolta e lo smaltimento dei pannelli solari.

«La maggior parte dei pannelli solari non più funzionanti è interamente recuperabile» – spiega il direttore di Ecolight, Giancarlo Dezio.  «Opportunamente trattati, infatti, è possibile ottenere silicio, vetro, alluminio e plastica: tutte materie prime seconde, che possono essere reimmesse nei cicli produttivi facendo risparmiare energia e contribuendo a salvaguardare l’».

Ecolight lancia il suo sistema integrato con la collaborazione di Se.Val Divisione Ecologia e di CSR Centro Servizi Raee, società specializzate nello smaltimento e nella logistica dei rifiuti elettronici. In particolare, verrà garantito il ritiro dei pannelli solari rotti e vecchi in tutto il territorio nazionale e il loro corretto trattamento, con il recupero e il riciclaggio delle materie prime seconde e lo smaltimento delle sostanze non riutilizzabili.

Fonte: Ambiente&Ambienti

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La prima isola italiana a impatto zero

Non è certamente il primo caso in Italia di comunità che mirano ad alti livelli di sostenibilità (Varese Ligure, Torraca, Primiero, solo per cirtarne alcuni) ma forse è il primo in cui il Ministero dell’Ambiente ci mette del suo (vai a sapere perché proprio in questo caso). Bando alle ciance e alle dietrologie politiche, avercene di questi casi.

L’isola di Carloforte diventa ‘a impatto zero’ nel 2014 grazie a un modello di sviluppo, esportabile su tutto il territorio nazionale, basato su energie rinnovabili, eco mobilità e gestione dei consumi energetici e attraverso un algoritmo unico, presentato lo scorso 7 ottobre in anteprima mondiale dai ricercatori del Centro interuniversitario di ricerca per lo sviluppo sostenibile della Sapienza di Roma (Cirps). 

Il piano energetico – che fa seguito al protocollo d’intesa stipulato con il Ministero dell’Ambiente – è stato in parte anticipato dal sindaco di Carloforte, Agostino Stefanelli, in occasione del ‘Carloforte green workshop’ (www.carlofortegreen.info), la tre giorni dedicata alla green economy terminata domenica scorsa. 

Il piano, che risponde all’esigenza di amministratori e cittadini di tornare in piena sintonia con la natura e l’ambiente, si fonda su un mix di innovazioni scientifiche all’avanguardia in ambito internazionale. “Energia in rete”, l’algoritmo presentato dai ricercatori della Sapienza, in abbinamento con apparati elettronici dedicati, diventa una sorta di “cervellone” diffuso del risparmio (non esiste un’unità centrale) in grado di monitorare e gestire i consumi e i valori di produzione (ma anche di monitorare gli inquinanti attraverso specifiche sonde)  in tempo reale attraverso sofisticate tecnologie smart grid, reti wireless e sensori di controllo degli sprechi energetici. 

Un sistema innovativo che si sposa con gli strumenti tradizionali di sviluppo di energia pulita e l’abbattimento di emissioni inquinanti previsti dal piano, come l’ammodernamento delle centrali fotovoltaiche, il trasporto pubblico locale in mobilità sostenibile, elettrico e non, il monitoraggio dell’aria, i tetti fotovoltaici e solari termici in edifici pubblici e abitazioni. E poi, mobilità a zero emissioni per gli addetti comunali, biciclette elettriche gratuite per i cittadini, razionalizzazione dei consumi di acqua, valorizzazione di beni ambientali e turistici. 

Il punto forte del piano – hanno spiegato Vincenzo Naso, direttore del Cirps e Daniele Pulcini coordinatore dell’unità di ricerca AERELche ha curato il progetto- è il mix di tecnologie che monitorano e calmierano i consumi entro limiti ampiamente condivisibili, ma forniscono anche un’informazione immediata sui progressi fatti. Un modo importante e veloce per rendere partecipi i cittadini sui risultati conseguiti”. 

E proprio dai 6500 abitanti del comune dell’Isola (ecologica) di San Pietro, secondo il sindaco di Carloforte, Agostino Stefanelli, arriverà il supporto più convinto: “Il piano, che è anche un’azione di marketing territoriale innovativa, coinvolgerà tutti e prevede azioni importanti sul fronte di un nuovo senso civico, a partire dagli addetti comunali e dai bambini”.  

Si parte dalla mobilità, con un veicolo bimodale che al mattino farà da scuolabus e il pomeriggio accompagnerà le squadre tecniche degli operai comunali, che si avvarranno anche di un pick up a zero emissioni. Un altro veicolo elettrico è stato invece acquistato per la Polizia municipale, mentre le 40 biciclette elettriche (progetto Green bike Carloforte), ma il numero aumenterà, saranno messe a disposizione dei cittadini gratuitamente, ma solo nel periodo invernale perché nel periodo estivo le due ruote saranno destinate alla viabilità turistica. 

Oltre alla mobilità sostenibile, ai tetti fotovoltaici e solari termici delle scuole medie e materne, al nuovo piano di intervento sul ciclo dei rifiuti, la vera parola d’ordine a Carloforte sarà quella del risparmio. È il caso del ripristino delle fontanelle pubbliche per la produzione di acqua potabile di alta qualità, che consentiranno di ridurre il consumo di bottiglie e, ancor più, del nuovo piano regolatore dell’illuminazione comunale, che punta – entro questo mese – a contenere i consumi di energia addirittura fino al 60% lungo le vie del centro, del 46% in città e del 23% fuori matrice. 

Energia in rete – il software del risparmio che se applicato a livello nazionale risolverebbe più di un problema energetico – mette assieme dispositivi custom, in grado di processare le informazioni acquisite attraverso un network auto configurante, e dei sensori (trasduttori che rilevano dati esterni trasformandoli in segnali elettrici). In breve, si tratta di una tecnologia wireless intelligente che incrocia i dati, monitora e razionalizza il consumo energetico di edifici pubblici, ospedali, abitazioni civili, strade. 

Ma per il piano, che può contare su un finanziamento di 5 milioni di euro in virtù del protocollo d’intesa con il ministero dell’Ambiente (stipulato con il comune di Carloforte, la Regione Sardegna, la Provincia di Carbonia-Iglesias e il Consorzio del Parco Geominerario della Sardegna), anche paesaggio e cultura rivestono un’importanza ambientale, e quindi economica se considerata sotto l’aspetto del marketing territoriale. Da qui le azioni di recupero e valorizzazione delle risorse ambientali e del patrimonio culturale, come ad esempio la creazione delle ‘Vie del sale’ con pista ciclabile tra le saline di Carloforte.

Fonte Edilportale


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Siate affamati, siate folli

Fiducia nel futuro e nelle proprie intuizioni, la sconfitta come agente di cambiamento e grande opportunità di imparare e ricominciare, e la prospettiva della finitezza della vita e delle cose come stimolo a vivere veramente. Il testamento di un genio del nostro tempo, o semplicemente di un uomo che ha vissuto veramente. Una lezione al di là di ogni categoria e argomento specifico. Il ricordo di un uomo “talmente folle da pensare di poter cambiare il mondo, che alla fine il mondo ha cambiato”.

[youtube]http://www.youtube.com/watch?v=IGqEx4z7eRo[/youtube]

Discorso ai neolaureati della Stanford University, il 12 giugno 2005:

“È per me un onore essere qui con voi, oggi, alle vostre lauree in una delle migliori università del mondo. Io non mi sono mai laureato. Anzi, per essere onesto, questa è l’esperienza più vicina ad una laurea che mi sia mai capitata. Oggi voglio raccontarvi tre storie della mia vita. Tutto qui, niente di eccezionale: solo tre storie.

La prima storia: unire i puntini
Lasciai il Reed College dopo il primo semestre, ma continuai a frequentare in maniera ufficiosa per circa 18 mesi prima di abbandonare definitivamente. Perché mollai?
Tutto cominciò prima che nascessi. Mia madre biologica era una giovane studentessa di college non sposata e decise di darmi in adozione. Credeva fortemente che avrei dovuto essere cresciuto da persone laureate e fece in modo che tutto fosse organizzato per farmi adottare alla nascita da un avvocato e da sua moglie. Quando arrivai al mando, però, loro decisero all’ultimo minuto che preferivano una bambina. Così i miei genitori, che erano in lista d’attesa, ricevettero una chiamata nel bel mezzo della notte: “C’è un bambino, un maschietto, non previsto. Lo volete?”. Loro risposero: “Certamente”. Solo dopo, mia madre biologica scoprì che mia madre non si era mai laureata e che mio padre non aveva neanche finito il liceo. Rifiutò di firmare le ultime carte per l’adozione. Accettò di farlo mesi dopo, solo quando i miei genitori promisero formalmente che un giorno io sarei andato al college.

Diciassette anni dopo andai al college. Ma ingenuamente ne scelsi uno costoso tanto quanto Stanford e tutti i risparmi dei miei genitori finirono nelle tasse universitarie. Dopo sei mesi, non riuscivo a vederci nessuna vera opportunità. Non avevo idea di quello che avrei voluto fare della mia vita e non vedevo come il college potesse aiutarmi a capirlo. Eppure ero là, a spendere tutti quei soldi che i miei genitori avevano messo da parte lavorando una vita intera. Così decisi di mollare e avere fiducia che tutto si sarebbe risolto nel migliore dei modi. Era piuttosto spaventoso all’epoca, ma guardandomi indietro è stata una delle migliori decisioni che abbia mai preso. Nell’attimo stesso in cui abbandonai il college, smisi di seguire i corsi che non mi entusiasmavano e cominciai invece a frequentare quelli che trovavo più interessanti.

Non fu tutto rose e fiori. Non avevo più una camera nel dormitorio ed ero costretto a dormire sul pavimento delle camere dei miei amici. Riportavo al negozio le bottiglie di Coca Cola vuote per avere i cinque centesimi di deposito e poter comprare da mangiare. E tutte le domeniche camminavo per sette miglia attraverso la città per avere finalmente l’unico buon pasto della settimana all’Hare Krishna. Adoravo tutto questo. E quello che trovai seguendo la mia curiosità e la mia intuizione risultò, solo dopo, essere senza prezzo.

Vi faccio subito un esempio. Il Reed College all’epoca offriva probabilmente la migliore formazione del Paese in calligrafia. In tutto il campus ogni poster, ogni etichetta, ogni cartello era scritto a mano con grafie bellissime. Dato che avevo mollato i corsi ufficiali, decisi che avrei seguito il corso di calligrafia per imparare a scrivere così. Fu lì che imparai i caratteri serif e sans serif, la differenza tra gli spazi che dividono le differenti combinazioni di lettere, quello che rende eccezionale un’eccezionale stampa tipografica. Era bello, storico, artistico e raffinato in un modo che la scienza non è in grado di offrire e io ne ero completamente affascinato.

Nessuna di queste cose però aveva alcuna speranza di trovare un’applicazione pratica nella mia vita. Ma dieci anni dopo, quando ci trovammo a progettare il primo Macintosh, tutto quello che avevo imparato mi tornò utile. E lo utilizzammo tutto per il Mac. E’ stato il primo computer dotato di una bellissima tipografia. Se non avessi mai lasciato il college e non avessi mai partecipato a quel singolo corso, il Mac non avrebbe probabilmente mai avuto caratteri tipografici differenti o font spaziati in maniera proporzionale. E dato che Windows ha copiato Mac, è probabile che non ci sarebbe stato nessun personal computer con quelle capacità. Se non avessi mollato il college, non avrei mai frequentato quel corso di calligrafia e i personal computer potrebbero non avere quelle stupende capacità tipografiche che ora hanno. Chiaramente, quando ero al college, era impossibile unire i puntini guardando al futuro. Ma è diventato molto, molto chiaro dieci anni dopo, quando ho potuto guardarmi indietro.

Di nuovo, non è possibile unire i puntini guardando avanti; potete solo unirli guardandovi indietro. Dovete aver fiducia che, in qualche modo, nel futuro, i puntini si potranno unire. Dovete credere in qualcosa – il vostro ombelico, il destino, la vita, il karma, qualsiasi cosa. Questo tipo di approccio non mi ha mai lasciato a piedi e ha sempre fatto la differenza nella mia vita.

Seconda storia: l’amore e la perdita
Io sono stato fortunato: ho trovato molto presto quello che amo fare. Io e Woz fondammo la Apple nel garage della casa dei miei genitori quando avevo appena 20 anni. Lavorammo duramente e in 10 anni Apple, da quell’azienda fatta di noi due e un garage, si è trasformata in una compagnia da due miliardi di dollari con oltre quattromila dipendenti. L’anno prima realizzavamo la nostra migliore creazione – il Macintosh – e io compivo 30 anni. L’anno seguente fui licenziato.
Come si fa ad essere licenziati dall’azienda che tu stesso hai creato? Facile: quando Apple divenne più grande, assunsi qualcuno che ritenevo avesse molto talento e capacità per guidare l’azienda insieme a me e per il primo anno le cose andarono molto bene. Ma poi le nostre visioni del futuro cominciarono a divergere e alla fine arrivammo ad uno scontro. Quando questo successe, la commissione dei direttori si schierò dalla sua parte. Quindi, a 30 anni, io ero fuori. E in maniera piuttosto plateale. Quello che era stato il principale scopo della mia vita adulta era perso e io devastato.

Per alcuni mesi non seppi assolutamente che cosa fare. Mi sentivo come se avessi tradito la generazione di imprenditori prima di me – come se avessi lasciato cadere la fiaccola che mi era stata passata. Incontrai David Packard e Bob Noyce e tentai di scusarmi per aver rovinato tutto così malamente. Fu talmente un fallimento pubblico che presi anche in considerazione l’ipotesi di scappare via dalla Silicon Valley. Ma qualcosa lentamente cominciò a crescere in me: amavo ancora quello che avevo fatto. Ciò che era successo alla Apple non aveva cambiato di un bit questo amore. Ero stato respinto, ma ero sempre innamorato. E per questo decisi di ricominciare da capo.

Non me ne resi conto allora, ma essere licenziato dalla Apple era stata la miglior cosa che mi potesse capitare. La pesantezza del successo era stata rimpiazzata dalla leggerezza di essere di nuovo un debuttante, senza più certezze su niente. Mi liberò dagli impedimenti consentendomi di entrare in uno dei periodi più creativi della mia vita.

Durante i cinque anni successivi fondai un’azienda chiamata NeXT, un’altra azienda chiamata Pixar e mi innamorai di una donna meravigliosa che sarebbe poi diventata mia moglie. Pixar produsse il primo film d’animazione digitale, Toy Story, e adesso è lo studio di animazione più famoso al mondo. In un significativo susseguirsi di eventi, la Apple comprò NeXT, io ritornai alla Apple e la tecnologia sviluppata da NeXT è ora il cuore dell’attuale rinascita di Apple. E io e Laureen abbiamo una meravigliosa famiglia.

Sono sicuro che niente di tutto questo sarebbe successo se non fossi stato licenziato dalla Apple. Fu una medicina molto amara, ma credo che il paziente ne avesse bisogno. Qualche volta la vita ci colpisce come un mattone in testa. Ma non perdete la fede. Sono convinto che l’unica cosa che mi trattenne dal mollare tutto sia stato l’amore per quello che ho fatto. Dovete trovare quello che amate. E questo vale sia per il vostro lavoro che per i vostri affetti. Il vostro lavoro riempirà una buona parte della vostra vita e l’unico modo per essere realmente soddisfatti è fare quello che riterrete un buon lavoro. E l’unico modo per fare un buon lavoro è amare quello che fate. Se ancora non l’avete trovato, continuate a cercare. Non accontentatevi. Con tutto il cuore, sono sicuro che capirete quando lo troverete. E, come in tutte le grandi storie, diventerà sempre più bello con il passare degli anni. Perciò continuate a cercare finché non lo avrete trovato. Non vi accontentate.

La terza storia: la morte
Quando avevo 17 anni lessi una citazione che suonava più o meno così: “Se vivrai ogni giorno come se fosse l’ultimo, sicuramente una volta avrai ragione”. Mi colpì molto e da allora, per gli ultimi 33 anni, mi sono guardato ogni mattina allo specchio chiedendomi: “Se oggi fosse l’ultimo giorno della mia vita, vorrei fare quello che sto per fare oggi?”. E ogni qualvolta la risposta era “no” per troppi giorni di fila, capivo che c’era qualcosa che doveva essere cambiato.
Ricordarmi che morirò presto è il più importante strumento che io abbia mai trovato per fare le grandi scelte della mia vita. Perché quasi tutte le cose – tutte le aspettative di eternità, tutto l’orgoglio, tutte le paure di imbarazzi o fallimenti – svaniscono di fronte all’idea della morte, lasciando solo quello che c’è di realmente importante. Ricordarsi che dobbiamo morire è il modo migliore per non cadere nella trappola di pensare che abbiamo qualcosa da perdere. Siete già nudi. Non c’è ragione per non seguire il vostro cuore.

Circa un anno fa mi fu diagnosticato un cancro. Alle sette e mezzo del mattino feci la scansione che mostrava chiaramente un tumore al pancreas. Non sapevo neanche che cosa fosse un pancreas. I dottori mi dissero che si trattava di un cancro che era quasi sicuramente di tipo incurabile e che avrei avuto si e no 3 mesi di vita. Mi dissero di andare a casa e sistemare le mie faccende (che è il codice dei dottori per dirti di prepararti a morire). Questo significa che dovevo prepararmi a dire ai miei figli, in pochi mesi, tutto quello che pensavo di avere ancora una vita per dire. Significa che dovevo essere sicuro che tutto fosse organizzato in modo tale che per la mia famiglia fosse il più semplice possibile. Significa che dovevo dire i miei “addii”.

Vissi con il responso di quella diagnosi per tutto il giorno. Quella sera mi fecero una biopsia, in cui ti infilano un endoscopio giù per la gola, attraverso lo stomaco fino all’intestino per inserire un ago nel pancreas e prelevare alcune cellule del tumore. Io ero sotto anestesia, ma mia moglie – che era lì – mi raccontò che quando i medici videro le cellule al microscopio iniziarono a piangere, perché avevano appena scoperto che avevo una forma di cancro molto rara e curabile con un intervento chirurgico. Mi sottoposi all’intervento chirurgico e adesso sto bene.

Quella fu la volta in cui mi avvicinai di più alla morte e spero che, per qualche decennio, sia anche l’ultima. Essendoci passato, posso parlarvi adesso con un po’ più di certezza di quando la morte fosse per me solo un concetto astratto.

Nessuno vuole morire. Anche le persone che vogliono andare in paradiso non vogliono morire per andarci. Ma comunque la morte è la meta che tutti abbiamo in comune. Nessuno gli è mai sfuggito. Ed è come deve essere, perché molto probabilmente la morte è la più grande invenzione della vita. E’ l’agente di cambiamento della vita. Spazza via il vecchio per far posto al nuovo. Ora, il nuovo siete voi, ma un giorno non troppo lontano diventerete gradualmente il vecchio e sarete spazzati via. Mi dispiace essere così drammatico, ma è la pura verità.

Il vostro tempo è limitato, per cui non lo sprecate vivendo la vita di qualcun altro. Non fatevi intrappolare dai dogmi, seguendo i risultati del pensiero di altre persone. Non lasciate che il rumore delle opinioni altrui offuschi la vostra voce interiore. E, cosa più importante, abbiate il coraggio di seguire il vostro cuore e le vostre intuizioni. In qualche modo loro sanno che cosa volete veramente. Tutto il resto è secondario.

Quando ero ragazzo esisteva una meravigliosa rivista che si chiamava The Whole Earth Catalog, che era una delle bibbie della mia generazione. Fu creata da Stewart Brand non molto lontano da qui, a Menlo Park, e Stewart ci mise dentro tutto il suo tocco poetico. Era la fine degli anni Sessanta, prima dei personal computer e dell’editoria elettronica, quindi la rivista era interamente creata con macchine da scrivere, forbici e polaroid. Era una specie di Google in versione cartacea, 35 anni prima che Google fosse inventato: era idealistica, traboccante di strumenti chiari e concetti meravigliosi.

Stewart e il suo gruppo pubblicarono vari numeri di The Whole Earth Catalog e quando arrivarono alla fine del loro percorso, pubblicarono il numero finale. Era più o meno la metà degli anni Settanta e io avevo la vostra età. Nell’ultima pagina di questo numero c’era una fotografia di una strada di campagna al mattino presto, quel tipo di strada dove potreste trovarvi a fare l’autostop se siete abbastanza avventurosi. Sotto la foto erano scritte queste parole: “Stay Hungry. Stay Foolish”, siate affamati, siate folli. Era il loro messaggio di addio. Stay Hungry. Stay Foolish. Io me lo sono sempre augurato per me stesso. E adesso che vi laureate per cominciare una nuova vita, lo auguro a voi. Stay Hungry. Stay Foolish. Grazie a tutti.” 

Steve Jobs


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Jacopo Fo e la crisi italiana: impariamo a nuotare

L’Italia affonda. Forse è meglio procurarsi qualche salvagente.

Ha causato scandalo Di Pietro dichiarando che siamo sull’orlo di una rivolta sociale che rischia di lasciare per terra dei morti.
Ma non credo possiamo aspettarci molto di meglio di una disastrosa macelleria sociale che esaspererà gli animi dando fiato ai fautori di azioni violente…

Lunedì sera Gad Lerner, che conosco come persona assennata fin da quando a 17 anni attraversammo insieme l’Europa, da Milano al lago di Lochness, ha radunato nello studio dell’Infedele un gruppo di stimati economisti. I quali erano tutti sostanzialmente d’accordo sul fatto che l’Italia per pagare gli interessi sul debito dello Stato al 6%, dovrebbe avere un ritmo di crescita del 6%. Visto che il ritmo di crescita sta sotto l’1% non abbiamo nessuna credibile possibilità di evitare la bancarotta.
Inoltre il nostro debito è talmente grande (2 mila miliardi di euro) che nessuna nazione e neanche l’Unione Europea, è in grado di salvarci.
Un conto è prestare 100 miliardi alla Grecia, un conto è sborsarne 20 volte tanto. Abbiamo quasi 2mila miliardi di euro di debito, 4 milioni di miliardi di lire.

A questo punto le strade sono 2.
Potremmo trovare finalmente la forza di tagliare lo spreco, la corruzione e l’evasione fiscale. Come in molti stiamo da tempo ripetendo che l’Italia butta via centinaia di miliardi di euro ogni anno. Un recupero del 10% annuo di questo fiume di denaro ci salverebbe. Ma a quanto pare la Casta è completamente incapace di gestire un sostanziale cambiamento. Oggi nessuna forza politica è arrivata al traguardo minimo di proporre un pacchetto di interventi che incidano veramente sullo spreco e l’inefficienza.
Il massimo della di sinistra è stato proporre timidi piani contro l’evasione fiscale. E non c’è la determinazione a colpire corrotti e tagliare i costi della politica.

Potremmo fare la scelta Islandese. Lerner ha trasmesso un’intervista a Hordur Torfason, che colà ha guidato la rivolta civile.
Torfason, sessantacinquenne asciutto e determinato, ha spiegato che non serve un economista per capire che il debito nasce da una classe politica irresponsabile che ha agito con la complicità di banche e istituti di rating. Quello che hanno fatto gli islandesi è stato dichiararsi vittime di una rapina messa a punto da gruppi nazionali e internazionali di furbacchioni.
E i 300mila islandesi hanno votato quasi all’unanimità di considerare illegale il debito contratto dai governanti all’insaputa dei cittadini e ai loro danni: il popolo islandese non si considera responsabile di questo debito e chi lo voglia incassare deve rivolgersi ai truffatori che lo hanno contratto in modo illegale.
Cioè a dire che i creditori non possono far finta di niente e devono prendersi la loro fetta di responsabilità. Quindi gli islandesi si sono rifiutati di pagare i debiti dello stato.

Ma sinceramente non credo che oggi ci sia la possibilità di imporre una simile scelta in Italia… Da una parte non è così facile svincolarsi dall’euro (rischierebbe di essere per noi molto peggio della crisi attuale) dall’altra non mi sembra proprio che ci sia all’orizzonte un Hordur Torfason italico.
E a dirla tutta non vedo proprio qualcuno capace in questo momento neppure di imporre a questa Casta di irresponsabili una serie di riforme vere che puntino all’efficienza dello stato.

Il problema dell’Italia è che è prigioniera di una serie di bande, complotti e controcomplotti, che si annullano e si sovrappongono portando all’immobilità del sistema.

Che ci resta?
Niente.
Il panorama è una merda secca e puzzolente.
E’ una buona ragione per deprimerci, avvilirci e farci prendere dal panico?
Certo. Questa è un’occasione ottima per perdere ogni fiducia in un futuro migliore per l’umanità. Probabilmente non vivrai nella tua vita un altro momento storico altrettanto favorevole a un crollo emotivo e allo scoramento sociale.
E se crolli in lacrime possiamo solo comprenderti ed essere solidali con te.
Ma visto che noi siamo stati forgiati con acciaio al vanadio e le emorroidi rivoluzionarie non ci consentono di star fermi in poltrona a guardare lo sfacelo, abbiamo tutta l’intenzione di batterci fino all’ultimo per arginare la devastazione delle classi lavoratrici.

E siamo addirittura pacatamente ottimisti: da questo disastro potrebbe perfino uscire anche qualche cosa di buono. La lezione di Napoli ci insegna che gli italiani, quando si arriva a battere il sedere per terra, sono capaci di reagire… E disconoscere i partiti tradizionali (e addirittura mettersi a fare la raccolta differenziata direttamente, arrivando ad affittare in proprio magazzini, per realizzarla).

Quindi seguiamo il poco buon senso che ci valorizza e ci mettiamo a lavorare per approntare le barelle per salvare almeno qualcuna delle vittime della macelleria sociale. E speriamo che altri, altrove, stiano lavorando nella stessa direzione.
Mai come in questo momento mi sembrano prioritari i metodi del commercio equo, dei gruppi di acquisto, delle banche del tempo e dei circuiti del riuso e del baratto.
La lezione argentina ci insegna che quando uno stato fa bancarotta e il sistema crolla l’unico strumento del popolo per difendere la propria sopravvivenza materiale è organizzare un’economia alternativa.
Questo è l’unico settore di iniziativa dal quale possiamo trarre risultati. Il terreno più utile da battere.

Per questo Alcatraz in questo momento sta intensificando le iniziative di economia etica. Stiamo organizzando un grande mercato dell’usato qui a Perugia, a Ponte San Giovanni, in collaborazione con il Tavolo della Pace, il Sel e altri gruppi.
E visto che nei momenti di crisi la professionalità può fare la differenza stiamo progettando a breve una serie di corsi per disoccupati che mirano allo sviluppo delle capacità di autoimpresa nel settore delle ecotecnologie, della comunicazione e del benessere.
E stiamo premendo l’acceleratore sul progetto Ecovillaggio Solare… A giorni apriremo il cantiere per le prime 17 abitazioni.

Sul fronte della comunicazione è in uscita Il Male, in edicola, il 5 ottobre, sarà un’altra occasione per sviluppare qui ad Alcatraz laboratori creativi, una specie di sub-redazione periferica del settimanale (dal 3 al 9 ottobre il primo laboratorio). Cerchiamo in particolare disegnatori capaci di produrre pitture realistiche. Il laboratorio verrà trasmesso in diretta su www.alcatraz.it.
Proprio perché la situazione è grave vorremmo trasformare Alcatraz in un laboratorio permanente di comunicazione e satira. Come al solito pensiamo che il comico sia lo strumento culturale più potente che abbiamo a disposizione.

Jacopo Fo

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Sorgerà il solare (termodinamico) sul Belpaese?

Il solare termodinamico potrebbe essere una svolta decisiva verso un paradigma energetico fossil free e completamente alimentato da rinnovabili. Su questa materia in Italia abbiamo un luminare come Carlo Rubbia e il suo progetto Archimede, che come molti sanno è emigrato in Spagna per vederlo sperimentato. Oggi forse il nostro paese inizia a recuperare un po’ del tempo perduto.

Si è tenuta lo scorso 14 settembre a Massa Martana, in provincia di Perugia, alla presenza della presidente di Confindustria Emma Marcegaglia e del ministro per lo Sviluppo economico Paolo Romani, la cerimonia di inaugurazione del nuovo stabilimento della Archimede Solar Energy (società del Gruppo Angelantoni Industrie S.p.A. e partecipata da Siemens al 45%) per la realizzazione dei tubi ricevitori utilizzati nel solare termodinamico.

Nel nuovo sito produttivo, Archimede produrrà i tubi ricevitori solari che, grazie a un rivestimento spettralmente selettivo, ideato dall’Enea, sono in grado di massimizzare l’assorbimento della radiazione solare e minimizzare le perdite termiche. All’interno dei tubi scorrono dei sali fusi che servono per trasportare e immagazzinare il calore. I sali fusi, contrariamente alla tecnologia attuale che usa olio minerale, hanno il vantaggio di non essere infiammabili, di poter essere smaltiti senza danni per l’ambiente e di lavorare a temperature più alte, migliorando il rendimento degli impianti nella produzione del vapore che aziona le turbine generatrici di energia elettrica. Siemens, ha spiegato l’amministratore delegato di Siemens Italia, Federico Golla, «investe dove c’è eccellenza e i tubi ricevitori a sali fusi di Archimede Solar Energy rappresentano un decisivo passo avanti per la produzione di energia da fonti rinnovabili». A regime il nuovo impianto, per cui sono stati investiti circa 50 milioni di euro, consentirà una produzione di 140.000 tubi all’anno, pari a circa 300 MW elettrici equivalenti, dando lavoro a circa 200 figure altamente specializzate.

Fonte Energia24club

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Prepariamoci!

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Crisi ed etica

Nel mezzo di una tempesta che non accenna a smettere (ma era stato previsto), che più che mal tempo ricorrente sembra il diluvio universale che plasmerà in maniera del tutto nuova il nostro mondo, esistono, anzi proliferano, iniziative e progetti che fanno intravedere come saranno i nuovi continenti alla fine di questo epocale processo di trasformazione.

Una realtà raggiante sotto casa nostra è quella di Banca Popolare Etica, che pur operando all’intero dei canoni degli istituti finanziari, svolge un’attività improntata ai criteri della solidarietà, dell’ambientalismo e dell’ecologia. Non solo offre prodotti molto innovativi per chi voglia realizzare interventi di efficienza energetica o installare energie rinnovabili, oppure sostenere il mondo del terzo settore e dell’agricoltura biologica, ma affianca anche iniziative di lavoratori che decidono di prendere in mano le sorti delle loro aziende che chiudono, fondando cooperative di lavoro (gli ultimi due progetti in tal senso si sono avuti a Reggio Emilia e a Padova). E i numeri gli danno ragione: nel 2010 l’utile è stato di 1.032.000 euro, con una raccolta di 660 milioni di euro (+4,4% su 2009), impieghi per 440 milioni di euro (+24% su 2009) e sofferenze allo 0,39% (contro una media ABI del 2%). I fondi comuni di investimento di Etica sgr, società collegata, sono cresciuti nello stesso anno nella raccolta del 31,8%.

Un’altro esempio eclatante è il mondo dell’agricoltura biologica. In Italia i consumi bio sono cresciuti dell’11,6% nel 2010 e del 13% nei primi sei mesi del 2011. Il valore economico in Europa è pari a 18 miliardi di euro l’anno, dei quali quasi 3 solo nel Belpaese. Secondo il Sistema d’informazione nazionale sull’agricoltura biologica siamo ben piazzati nel continente per la superficie di terra coltivata con questo metodo: 1.113.742 ettari.

La mia personale spiegazione, al di là di fattori specifici, è che questo modo di operare, ispirato a criteri di sostenibilità, avvicina molto di più le aziende ai valori personali che muovono i così spregevolmente detti “consumatori”, valori profondi che guidano stili di vita sempre più consapevoli nei quali la persona esprime il suo voler essere. Un aspetto quindi molto importante e profondo della personalità di ciascuno, che non viene messo in discussione nemmeno in tempi di crisi, preferendo rinunciare piuttosto a questioni più voluttuarie e superficiali. Ecco perché i comparti guidati da veri valori (agricoltura biologica, bioedilizia, finanza etica, ecc.) non conoscono crisi nemmeno in tempo di crisi.

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Il solare contro la crisi greca

Le voci erano girate già nelle scorse settimane, lunedì è arrivato l’annuncio ufficiale: la Grecia – soffocata dal debito pubblico e al centro della bufera della crisi dell’Eurozona – per reagire punterà anche su un sostanzioso piano per il fotovoltaico capace di attrarre decine di miliardi di investimenti dall’estero. Capitali che arriveranno soprattutto dalla Germania, leader mondiale del fotovoltaico con una quantità di radiazione solare che è circa la metà di quella greca. Non è dunque un caso che il piano nazionale ellenico, battezzato “progetto Helios”, sia stato annunciato con una conferenza stampa tenutasi proprio ad Amburgo.

L’intenzione, ha spiegato il Ministro dell’Energia greco George Papaconstantinou è di moltiplicare la capacità installata in Grecia dai 206 MW attuali a 2,2 GW nel 2020 per arrivare a 10 GW nel 2050 (obiettivi non nuovi). Per farlo si cercheranno di convogliare dall’estero investimenti per 20 miliardi di euro  nei prossimi 10 anni, garantendo condizioni particolari (fonte: QualEnergia).

Il mercato italiano del fotovoltaico, invece, il secondo al mondo per importanza e credo il primo per tassi di crescita negli scorsi anni, ha subìto l’incompetenza e il dolo dei buffoni che sono al governo. In questo caso parlo da operatore, e mi riferisco al drastico stop agli incentivi che si è avuto a marzo con il famigerato Decreto Romani e al limbo in cui il settore è vissuto per tre mesi, senza che si sapesse cosa ne sarebbe stato del futuro. Il risultato è un’accresciuta diffidenza da parte dei cittadini ad investire (“e se poi tolgono i contributi?”) che unita alla crisi economica gestita in maniera criminosa (nessuna vera lotta all’evasione, corruzione e sprechi e tassazione dei più deboli) porta le banche a ridurre i finanziamenti e ad aumentare il costo del denaro.

Perderemo il primato anche nel solare? Quanto potrà reggere il nostro paese in questa tempesta su una nave guidata da macchiette? Spero che sempre più italiani se lo stiano chiedendo e ne traggano le dovute considerazioni.

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