Come comprar i libri

Il libretto che offre domenicalmente Il Sole 24 Ore oggi contiene alcuni scritti di Giuseppe Pontiggia, tra questi c’è un decalogo su L’acquisto dei libri. Lo riporto integralmente. Il tema è noto come “morbo di Gutenberg”, spero che avremo altre occasioni per tornarci sopra.

1. Non acquistare i libri per leggerli questa sera. Ma acquista solo quei libri che, anche questa sera, avresti voglia di sfogliare. A volte ho acquistato libri pensando che in futuro mi avrebbero interessato. E me ne sono pentito. Da allora penso sempre alla ipotesi della sera.
2. Fidati degli aspetti cosiddetti superficiali: la copertina, la grafica, l’impaginazione, il titolo. Parlano come certe etichette sobrie di vini nobili. Mi è accaduto, seguendo le apparenze, di scegliere al buio e di scoprire per questa via autori, libri, editori. Sono solo i superficiali, diceva Wilde, che non si fidano della prima impressione.
3. Tra un libro di Einstein e un libro su Einstein scegli il primo. C’è più da imparare dalla oscurità di un maestro che dalla chiarezza di un discepolo. Gli scopritori di continenti hanno disegnato contorni sempre imprecisi delle coste, che oggi qualsiasi agenzia turistica è in grado di correggere. Preferisco chi ha scoperto i continenti.
4. Se un libro di attira veramente, non badare al prezzo. È il modo più sicuro di fare debiti, ma anche per evitare le recriminazioni di una vita. Il rammarico per un acquisto sbagliato è niente in confronto all’angoscia per un acquisto mancato.
5. Rinvia i propositi di moderazione alla chiusura di ogni mostra, asta, e occasioni simili, così come i propositi di dieta alla fine di ogni pranzo. E parti da un progetto di spesa più elevato del ragionevole, così avrai la sensazione di aver risparmiato.
6. Non indugiare nell’acquistare i libri che ti interessano. Ogni bibliomane sa che proprio quei libri ti vengono sottratti, mentre guardi altrove, da mani occulte e rapaci, che l’edizione nel frattempo si è esaurita e sarà difficile trovarne una copia anche in antiquariato.
7. Fidati del risvolto di copertina. Quanti sono i libri che non ho preso dopo averlo letto.
8. Scegli quei libri che farai vedere a un altro come te, perché possa condividere il tuo piacere o provare una tonificante invidia. Queste fantasie non si realizzano quasi mai, ma orientano spesso le scelte dei bibliomani.
9. Quando il prezzo ti turba, pensa alla parola magica, alibi di tutti gli affari irreali: investimento.
10. Quello che Forster auspicava per i personaggi dei romanzi, l’espansione, pensalo per la tua biblioteca.
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Giocare con il morto in casa

Sulla vicenda della partita di calcio giocata domenica a Lugugnana mentre nel casotto della biglietteria c’era ancora il cadavere di un cittadino rumeno di 60 anni, morto suicida, è stato detto e scritto molto, anche di sbagliato. Ho letto infatti che quella persona era ben nota ai giocatori e dirigenti locali che sapevano benissimo che in quel posto praticamente ci viveva, come se fosse necessario conoscere una persona per rispettarla, da viva e da morta.

E’ stato anche stato ricordato il 29 maggio 1985, quando si giocò all’Heysel di Bruxelles la finale di Coppa dei campioni tra la Juventus ed il Liverpool mentre fuori dello stadio erano allineate le salme di 39 spettatori. Un evento che nessuno che allora seguiva il calcio potrà mai dimenticare.

Così oggi è perfino difficile commentare quanto è successo qui da noi. Secondo me, parole giuste sono state usate dal consigliere comunale Gastone Mascarin, riportate oggi da La Nuova Venezia (p. 35): «Quel che è successo domenica scorsa non mi sorprende più di tanto, succede la stessa cosa anche negli incidenti stradali. E’ una cosa incredibile. Lo dirò anche in consiglio. Si è perso il senso del vivere civile. Manca la responsabilità morale, un menefreghismo assoluto. Si è fatta una cattiva immagine di Portogruaro. Ma come si fa? E questi ragazzi che hanno rincorso il pallone, con che spirito lo hanno fatto?»

Sono d’accordo, non è un caso unico e non è sorprendente. Manca il senso della sacralità della vita e si è perso il senso del vivere civile. E questo purtroppo è nella vita quotidiana, non solo a bordo dei campi di calcio.

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Andrea Zanzotto, un anno dopo

Un anno fa moriva Andrea Zanzotto, il poeta di Pieve di Soligo. Ormai su internet  su di lui  si trova tutto, ma la sua poesia ci dice sempre qualcosa di più, anche sull’oggi.

Altri 25 aprile
Tristissimi 25 aprile
morti in piedi, sull’attenti
al cimitero
qualche osso perso per la strada
nel sole sfacciato freddo
–      o è lo stesso, tutto raggi gamma
noi sordi al 70%
sentiamo gente che parla
come da un altro mondo.
5 pianeti occorrono alla fame dei terrestri
                                                                   terroristi in favore della
                                                                         pletora
ma il re degli scemi governa
ma il re degl’ipocriti
da cent’anni siede avvitato al seggio degli idiotitani
                                                              SULLA STRADA DEL MURO
La stoltezza che circola si palpa
come un vento
i vecchi partigiani
si perdono coi loro alzaimer
i vecchi ex-internati
nei loro post-ictus
tutto è perso o
sotto malocchio
       al gatto Uttino hanno
              spezzato la coda
            Nulla so del filmato
                  sulle ceneri già lontane
                        del ragazzo Turra / massacrato in Colombia
Non parlatemi più di niente che non sia niente
Ma nelle immondizie
                     troverò tracce del sublime
                                     buone per tutte le rime

Poesia del 25 aprile 2006, pubblicata in Eterna riabilitazione da un trauma di cui s’ignora la natura (Nottetempo, Roma 2007).

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Siamo in ritardo, ma qualcosa si muove

Sappiamo tutti che nei prossimi sei-otto mesi si deciderà il futuro per molti anni della società italiana. Dite che tanto… è già tutto deciso? Moriremo sotto il fiscal compact, l’abbattimento definitivo di ogni parvenza di stato sociale, l’approdo finale al mercato del lavoro all’americana, il tutto con la regia perfetta del pensiero unico? O c’è ancora qualche possibilità che non sia solo un’altra, ma ben più lunga, resistenza? Non sono molti gli spazi in cui si discute di questo, uno è ALBA, il soggetto politico nuovo.

(Avvicinatevi pure, potete toccare, non è un partito, ma un’associazione volontaria e del tutto priva di legami con la politica precedente. Dovete solo dedicare tempo e un po’ di soldi, perché nessuno ve li renderà né come rimborso né con profitto.)
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Un errore l’analisi di Asor Rosa

di Livio Pepino

L’analisi di Asor Rosa è chiara: nel nostro desolato panorama politico una riedizione del governo Monti e della sua politica può essere scongiurata solo dalla «coalizione Bersani-Vendola» che, pur nell’incognita dello stato confusionale del Pd, può essere ri-orientata a sinistra da una vittoria elettorale; in ogni caso non c’è alternativa, se non la «libidine della sconfitta» di spezzoni, vecchi e nuovi, di una sinistra presuntuosa e velleitaria. Fino a qualche anno fa avrei condiviso: del resto non sono un estremista (e se a volte appaio tale è solo per l’inarrestabile corsa a destra degli estremisti di un tempo). Ma oggi ritengo quell’analisi un errore, utile solo a mettere la pietra tombale su ogni prospettiva di cambiamento. Provo a spiegare perché.
Primo. C’è, in Italia e nel mondo, una grande questione aperta che riguarda le politiche per uscire dalla crisi. Alcuni – la maggioranza – ritengono che la ricetta sia interna al liberismo e che non possa prescindere dalla riduzione della spesa pubblica, dall’abbattimento dello stato sociale, dalla diminuzione delle tutele del lavoro, dall’espansione del privato, dall’investimento in opere faraoniche. Altri – quel che resta della cultura di sinistra – pensano che la strada sia quella opposta, cioè, per usare le parole di Luciano Gallino, un New Deal (finanziato con il taglio delle spese militari e di quelle per le grandi opere, una imposizione fiscale equa ed efficiente, il recupero delle risorse concesse a fondo perduto alle banche) fondato su un piano di interventi pubblici finalizzati alla piena occupazione, alla razionalizzazione del welfare, al reddito di cittadinanza, alla riconversione ecologica, al riassetto del territorio e delle infrastrutture del paese, alla valorizzazione dei migranti e via elencando. Sono due prospettive inconciliabili. Il Pd, cioè il perno della coalizione invocata da Asor Rosa, ha scelto la prima, nelle parole e con i fatti: appoggiando senza se e senza ma il governo Monti, contribuendo ad approvare il fiscal compact e la modifica costituzionale sul pareggio di bilancio, avallando la riduzione delle tutele del lavoro, sostenendo le grandi opere, eludendo nei fatti l’esito referendario in favore dell’acqua pubblica eccetera. Sono scelte di tutto il partito, non scalfite da qualche isolato «mal di pancia», presto rientrato in attuazione di quella disciplina che si è deciso di estendere all’intera coalizione. Scelte legittime, ovviamente: ma per quale ragione al mondo chi non le condivide e le osteggia dovrebbe sostenerle col proprio voto? Non è questo cinismo di fronte ai contenuti che uccide la democrazia e la politica?
Secondo. Asor Rosa cerca di uscire dalla stretta osservando che l’alleanza con Vendola e un grande successo elettorale potrebbero rimescolare le carte. Su quali basi non è dato sapere e anzi, la cosa appare a dir poco difficile, anche a non considerare la variabile Renzi… La scelta del Pd è, infatti, risalente e tradotta in una pluriennale attività di governo. Lo ha ammesso persino Romano Prodi scrivendo, in un empito di sincerità, che negli anni di governo dell’Ulivo «il cambiamento della società è continuato secondo le linee precedenti: una crescente disparità nelle distribuzione dei redditi, un dominio assoluto e incontrastato del mercato, un diffuso disprezzo del ruolo dello Stato e dell’uso delle politiche fiscali, una presenza sempre più limitata degli interventi pubblici di carattere sociale» (Il Messaggero, 15 agosto 2009). Tutto questo – è bene non dimenticarlo – ha, per di più, marginalizzato l’attenzione alla «questione morale», contribuendo a trasformare la corruzione nel sistema in corruzione del sistema. Solo chiudendo gli occhi si può pensare che questa linea politica cambi nei tempi brevi e, soprattutto, sull’onda di una vittoria elettorale (che secondo ogni logica la confermerebbe).
Terzo. Arriviamo all’ultimo punto: non c’è alternativa. È questo l’errore più grave. Inutile dirlo: l’alternativa non è la riedizione di esperienze verticistiche, burocratiche e perdenti come quella della Sinistra Arcobaleno del 2008. Da allora, molte cose sono cambiate, a cominciare dall’esperienza dei referendum sull’acqua pubblica e sul nucleare del 2011 (su cui all’inizio erano in pochi a scommettere…) e dal rifiuto diffuso di assetti di potere consolidati. Oggi sono i fatti a richiedere una iniziativa politica nuova, nei contenuti e nel metodo, e intransigente (categoria lontana le mille miglia dalla presunzione). Una iniziativa che parta non da apparati ma da persone di buona volontà e che aggreghi movimenti, associazioni, singoli, amministratori di piccole e grandi città in un progetto di rinnovamento delle stesse modalità della rappresentanza. So bene che è un’operazione complicata e che, rispetto alle elezioni del prossimo aprile, siamo in ritardo. Ma qualcosa si muove (lo si è visto, per esempio, nell’incontro promosso a Torino da Alba il 6 e 7 ottobre) e – come la storia dimostra – i processi di cambiamento iniziano da piccole incrinature del pensiero unico. Comunque, la difficoltà dell’impresa non è una buona ragione per rinunciarvi. Di questo (e non di una anacronistica assemblea nazionale programmatica del Pd…) sarebbe bene discutere da domani.

(il Manifesto, 16 ottobre 2012)

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Pista ciclabile? Un ologramma

E’ di pochi giorni fa la notizia che quest’anno in Italia si sono vendute più biciclette che automobili.

Ma perché? Cos’è cambiato? La crisi, il prezzo della benzina arrivato a 2 euro al litro e i 7 mila euro all’anno (calcolati da Federconsumatori) per mantenere l’auto ci hanno sicuramente convinto a pedalare di più. «Ma non è solo questo – sostiene Nigrelli [direttore del settore cicli di Confindustria Ancma] – il segreto del successo sta nel fatto che la bici è easy, facile da usare, costa poco, è maneggevole, comoda, oggi anche hi-tech nelle versioni ibride ed elettriche. Su un tratto di 5 km batte qualsiasi altro mezzo».

E’ vero, la bicicletta è una grande invenzione, ma le bici possono andare dappertutto? Questo è il problema. Ai miei tempi si poteva. Le automobili erano poche e più piccole ed i camion in proporzione erano ancor meno. D’estate, quando non c’era il servizio scolastico, io potevo venire da Sesto al Reghena a Portogruaro senza tante ansie. Dodici km via Cinto o undici via Giai, passando sempre per La Sega, poi l’ultimo stradone in mezzo ai campi (l’attuale viale Pordenone).

Oggi nella bella stagione quando posso la faccio ancora in bicicletta, perché ho la fortuna di esser tornato a Sesto come sede di lavoro. Faccio la bassa di Portovecchio, poi in mezzo ai campi fino a Giai e quindi verso Sesto. E’ una strada bellissima, si corre in fianco al Lemene e in mezzo ai campi di biava, dodici km con pochissimi punti di particolare attenzione, sostanzialmente all’uscita/entrata di Porto. Se non ci sono intoppi, è mezzora di pedalata, ma in auto si risparmierebbero solo una decina di minuti e dipende dal momento della giornata.

Però il mio è proprio un caso fortunato. Dieci km in altre direzioni sono impraticabili in bicicletta, se non su strade secondarie e quindi solo per sport, non certo per andare al lavoro. Non verso San Stino (15 km), non verso Annone (14 km), non verso Cordovado (10 km). Figurarsi verso Latisana (15 km, ma via Frata-Alvisopoli-San Giorgio sarebbero 19 km). Ma anche sul percorso più breve di cinque km non ci sono più strade percorribili e non ci sono ancora piste ciclabili ben collegate tra loro. In particolare, la diffusione delle rotonde – dove è poco visibile e seriamente a rischio – ha complicato assai la vita del ciclista.

Naturalmente questa situazione non è solo locale. E in alcune città la bicicletta non è neanche utilizzabile, quando non è proprio ostacolata. In molti casi ci sono solo i segni per terra, un ologramma, ma per pedalarci sopra non basta avere una bici, ci vorrebbe un po’ di continuità di percorso e un po’ di sicurezza in più.

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Lezione di storia

(Quando la nave affonda i topi scappano.)

«Berlusconi oggi è nella storia e lo dimostra ogni giorno di più.»
Paolo Scarpa Bonazza Buora, senatore Pdl

(Da La Repubblica 11-10-2012, Breviario di Gianluca Luzi, p. 17)

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Lance Armstrong all’inferno

Lance Armstrong è al redde rationem, alla resa dei conti. Anzi al dies irae, il giorno del giudizio. L’Usada (United States Antidoping Agengy) ha girato all’Uci (Unione Ciclistica Internazionale) il documento che accusa il ciclista americano del più grande e organizzato sistema di doping ciclistico della storia di questo sport, con tutte le conseguenze.

La Gazzetta rosa riporta il documento originale e ne fa la sintesi. L’Equipe, il quotidiano sportivo francese legato al Tour, è più generoso e spiega anche le tecniche adottate da Armstrong per “déjouer” (eludere) i test, a cui non è mai stato trovato positivo. Oltre alle fughe logistiche c’era un metodo usato da tutta la squadra US Postal, bastava iniettarsi con venti minuti di anticipo una fiala di siero fisiologico (acqua e sale) per eliminare tutte le conseguenze negative di una trasfusione sanguigna.

Così noi amanti del ciclismo agonistico dobbiamo resettare la memoria dell’impresa di vincere sette Tour di seguito, dal 1999 al 2005, anche se secondo me mai in gare tanto esaltanti, sempre molto calcolate, noiose – ma questo sembrava un ciclismo scientifico.

Una vera impresa scientifica è stata invece quella di aver organizzato (certo non da solo) così bene tutto di nascosto, a partire proprio da quell’anno, il 1999, in cui al penultimo giorno del Giro “incastrarono” il povero Pantani. L’inizio della sua fine. Adesso Pantani non c’è più, rimane solo nei nostri cuori, mentre Armstrong sta pedalando verso l’inferno. Lo aspetta solo il traguardo.

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Contromano (2)

Confermo che il caso del Sindaco contromano dentro il mercato è solo un momento della discussione sulla ZTL, sulla quale c’è una posizione di tipo fondamentalista di alcuni commercianti del centro e dell’opposizione di destra in Consiglio comunale.

Portogruaro ha una ricchezza invidiabile nel suo centro storico, che è un moltiplicatore e non certo un freno alle iniziative economiche. Si osservi la quantità e la diversificazione dei bar, buona parte abbinati a cicchetteria e ristorazione. Con un’adeguata volontà e continuità politica, in pochi anni almeno una parte del centro potrebbe essere car-free, invece c’è ancora chi pensa alle strade del centro come ad un grande parcheggio di un supermercato o di un centro commerciale, dove serve il bagagliaio per caricare la spesa alimentare o un elettrodomestico.

Si usa anche una scusa tecnica ufficiale per dilazionare la pedonalizzazione parziale o totale nella necessità di un nuovo parcheggio sotterraneo, praticamente sotto il campanile con la seconda pendenza nazionale (cosa che a me pare piuttosto minacciosa). Ma questa è appunto una scusa e in realtà una mano data ad una speculazione del suolo, anche se forse concepita durante un’ascesi mistica.

Di fatto, sulla ZTL a Portogruaro si discute da decenni e mantenere lo stato d’assedio verso la maggioranza che vince anche su questo punto del programma elettorale, anzi mantenere lo scontro su un livello quasi fisico, comunque di minaccia morale verso gli amministratori, accusati come oggi di voler affossare la sopravvivenza economica dei commercianti, è considerato un atto di legittima difesa.

E’ questa triste ed arretrata situazione, un clima da assedio permanente, che questa Amministrazione ha tentato di superare con la ZTL notturna, rinunciando per malintesa disponibilità al dialogo, alla razionalità tecnica e commettendo degli errori, forse inevitabili in questa fase, da rimediare al più presto.

Qui ne ribadisco tre su cui sono più sensibile: (1) il centro storico non si può più percorrere in bicicletta senza rischiare di andare contromano, un paradosso per una ZTL; (2) è peggiorata la sicurezza in borgo San Nicolò e confermata quella scadente in via Garibaldi, dove i parcheggi sui due lati rendono perfino difficili le manovre ordinarie e in certe ore diventano un ammasso raccapricciante di carcasse metalliche; (3) si sono trasformati in zona disco alcuni parcheggi utilizzati da chi raggiunge il centro storico per lavorare, obbligando così a parcheggiare più lontano, cosa fastidiosa sia per i tempi necessari che nel caso di cattivo tempo, quindi soprattutto d’inverno.

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Contromano (1)

Abito in calle dei Pescatori, l’unica strada bianca del centro di Portogruaro, cosa che me la rende ancor più suggestiva, non fosse senza dubbio che è anche la più sporca, usata impunemente come cesso per cani da più di qualche residente, nonché da retrobottega.

Ho il permesso per uscire il giovedì di mercato con l’auto che uso per andare a lavorare, ma da quando si parcheggia a pagamento anche nella prima parte di via Cavour il mercoledì sera la lascio direttamente in viale Matteotti, così il problema del transito non si pone neppure.

Giovedì 20 settembre quest’auto era in officina e sono uscito con quella di mia moglie (che col bel tempo va al lavoro in bici o a piedi), una macchina piccola e senza alcun permesso. Alle 8.45, all’uscita della calle, entrando in via Cavour, ho visto che un ambulante era appena arrivato e si stava piazzando, quindi ho pensato bene di uscire contromano verso sant’Agnese, cioè evitando completamente il mercato, anche se da lontano si vedeva già la presenza di un vigile alla barriera d’entrata.

Era infatti una vigilessa, una giovane signora bionda, che mi ha chiesto subito cosa stavo facendo… Gli ho detto quanto sopra e quindi dell’eccezionalità della situazione. Con cortese fermezza, mi ha fatto notare che (primo) non posso andare contromano, che (secondo) devo uscire entro le 8.30 (fra poco ci saranno anche i regolamenti) e che (terzo) la prossima volta sarei stato ovviamente sanzionato, chiedendomi (quarto) anche il nome.

Qualche ora dopo anche il sindaco Bertoncello è uscito contromano, ma dentro un’auto municipale con tanto d’autista, dentro il mercato e per via Garibaldi, dove naturalmente ha trovato, fisicamente o figurativamente, Sandrino Florean, non la mia ragionevole vigilessa.

Così in poco tempo questa vicenda ha assunto una forma tutt’altro che simbolica di scontro politico, con un passaggio anche in Consiglio comunale («nemmeno in questa occasione ha saputo prendersi le sue responsabilità politiche che sono gravissime» – ha dichiarato lunedì sera Gastone Mascarin).

In realtà in discussione non è il Sindaco troppo disinvolto, soprattutto quando scarica sull’autista dipendente la scelta sciagurata di uscire contromano. La discussione reale di questi giorni è ancora e sempre attorno alla pur transitoria (non provvisoria) ZTL.

Ma questo testo è già troppo lungo per un piccolo blog, ci tornerò sopra.

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La lista arancione

Pubblico il documento di ALBA, il soggetto politico nuovo.

La nostra lista arancione
È arrivato anche per noi il momento di prepararci a saltare (Hic Rhodus, hic salta…). Di prepararci cioè a decidere sul che fare in vista delle elezioni politiche, con una discussione all’altezza dei propositi del nostro manifesto, che non ne tradisca né il merito né il metodo. Da Parma in poi abbiamo detto che non stiamo con il Pd che sostiene Monti, né nelle sue primarie prive di un orizzonte decente di contenuti; che vogliamo costruire un’alternativa a questo governo, al neoliberismo e alle politiche di austerità europee.
Diciamo subito che questa discussione non parte da zero. Che alcuni punti fermi già ci sono:
1. La questione dell’urgenza. Abbiamo detto che ci muovevamo perché avvertivamo che non c’era più tempo. Che la crisi dei partiti tradizionali aveva raggiunto un punto tale da minacciare di contagiare le istituzioni e la stessa democrazia.
2. Il rifiuto di un nuovo partitino. Un “soggetto politico nuovo”, non un “nuovo partito politico” per dire che si voleva avviare un processo di cambiamento radicale e totale nel modo di costruire e concepire la rappresentanza, non dare vita a una nuova micro-formazione tra le altre.
3. Il metodo è il contenuto. Abbiamo ripetuto fino alla noia che la nostra identità consisteva nella volontà di uno stile diverso di fare politica, altri valori, certo, ma anche altri metodi.
Ora, questi tre punti, ci dicono che cosa non possiamo fare.
1. Non possiamo far finta di niente. Non possiamo “saltare un giro”. La crisi della politica è talmente profonda che apre uno spazio immenso: c’è oggi una massa di elettrici ed elettori “liquida”, in uscita massiccia dai contenitori tradizionali. Questa “liquidità” politica è insieme una risorsa e una minaccia. Saltare l’agenda elettorale dei prossimi mesi comporta il rischio di non esistere nel momento forse più importante della nostra storia repubblicana.
2. Non possiamo coltivare il “peccato” dell’autosufficienza. Non possiamo cioè pensare a una “lista Alba”, né possiamo veicolarci nei e con i partiti esistenti. La situazione non offre spazi a una soluzione identitaria e non siamo nati per questo.
3. Non vogliamo un’altra “sinistra arcobaleno”. Un assemblaggio di sigle e partitini messi insieme con riunioni di vertice, accordi di segreteria e manuale Cencelli.
4. Non vogliamo affrontare la questione elettorale partendo dal tema delle alleanze e delle variabili delle leggi elettorali, ma partendo dai contenuti, dal progetto e dalle forme radicalmente nuove di pratica politica.
5. Non possiamo utilizzare i vecchi schemi. Siamo tra coloro che elaborano un’altra idea di come uscire dalla crisi economica, contenuti alternativi al pensiero neoliberista dominante. Abbiamo anche chiaro che la crisi non è solo di “economia” ma di cultura e di democrazia, in questa fase costituente del neoliberismo, che mira a liberarsi insieme della mediazione con il lavoro e della democrazia.
Dentro queste coordinate ogni soluzione è aperta, affidata alla discussione che condurremo collettivamente. Tutto è affidato alla nostra capacità di dar vita a una discussione e a un’elaborazione davvero collettiva, nelle prossime settimane.
La proposta su cui intendiamo confrontarci e lavorare è la presentazione alle elezioni di una lista di democrazia radicale, una lista “arancione”, per un’altra Europa, antiliberista, per il lavoro e per i beni comuni, per la giustizia ambientale e sociale. Una lista che dia voce a quell’Italia vasta, tutt’altro che minoritaria, che tra il 2010 e il 2011 ha mosso il paese e prodotto la rottura culturale vera con il berlusconismo.
Non pensiamo a una lista della sola “Alba”, sappiamo che tante e tanti altri stanno elaborando idee, praticando relazioni politiche e conflitti sociali. Pensiamo alle battaglie della Fiom e dei No-Tav, a quelle del Teatro Valle o del Macao per l’autogestione degli spazi comuni, alla proposta di De Magistris, alle riflessioni di Micromega, agli appelli che stanno uscendo da più realtà.
Proponiamo di ripartire dal lavoro, dalla difesa dei suoi diritti e della sua dignità. Dal lavoro inteso come relazione politica complessiva, appartenenza a una comunità, cioè capace di riconsiderare i tempi della produzione e della riproduzione, la cura del lavoro e il lavoro di cura, i ruoli e le relazioni fra i generi.
Questa non è tanto o solo un’alternativa “di sinistra”, è qualche cosa che può parlare a un mondo molto più vasto. L’opposto del minoritarismo, costruzione di nuova egemonia. Dobbiamo puntare altissimo, non esiste una via di mezzo.
Per questa proposta è di fondamentale importanza la campagna referendaria che sta aprendosi. Un’azione diffusa di presa di coscienza popolare, che riempia della realtà della democrazia i mesi che precedono la campagna elettorale.
Alla fine di questo percorso dovremo valutare insieme le risposte che avremo, il grado di coinvolgimento realizzato.
Possiamo e dobbiamo verificare l’esito di questo percorso con gli strumenti democratici che sono già elementi fondanti della nostra bozza di statuto, ovvero con una consultazione vincolante referendaria.
Soltanto dopo questo indispensabile percorso aperto di verifica affronteremo la questione delle alleanze, anche in base alla legge elettorale che ci sarà.
Un’ultima considerazione: è vero che una lista non è un soggetto politico. Essa può costituire tuttavia un passo avanti nel processo di costruzione della nuova soggettività politica. Proprio per questo si richiedono regole nuove e radicalmente democratiche per selezionare candidature, incarichi, funzioni. Mettiamoci in cammino.
ALBA – Comitato esecutivo nazionale
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