Mitigare stanca, meglio brindare

Dibattito su Facebook (segno dei tempi) tra l’assessore all’ambiente e alla mobilità di Portogruaro, Ivo Simonella, ed il vice presidente di Autovie Venete, Lucio Leonardelli. Chi non può o non vuole seguirlo lì, può farlo parzialmente sul sito di Stefano Zanet.

Una cosa mi pare fuori da ogni dubbio: chiunque le progetti, chiunque le spesi, le mitigazioni necessarie non sono previste. E non credo che ai cittadini di Porto e di Teglio questo possa piacere.

Come andrà a finire? Non lo so, non voglio pensarci troppo in queste ore. Anche se qualcuno spera che si realizzi al meglio l’ironia di Andrea Zanzotto, a cui oggi Pieve di Soligo dà l’ultimo saluto.

Parola, silenzio

Siccome un bel tacer non fu mai scritto
un bello scritto non fu mai tacere.
In ogni caso si forma un conflitto
al quale non si può soprassedere.

Dell’ossimoro fatta la frittata
– tale fu la richiesta truffaldina –
si diè inizio a una torbida abbuffata
del pro e del contro in allegra manfrina. 

Sì parola, sì silenzio: infine assenzio.

Andrea Zanzotto, Conglomerati, Mondadori, Milano 2009.

 
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“Speriamo che sia vero”

Da la Repubblica del 18 ottobre 2011, la trascrizione di un’intercettazione tra Valter Lavitola, “l’uomo ombra del Cavaliere” e il senatore Paolo Scarpa Bonazza Buora, molto noto ai portogruaresi.

Me l’ha detto il capo farai il ministro
(13 novembre 2009 ore 14.53)
Lavitola arriva al punto di annunciare anche chi può essere nominato ministro. Come nel caso del senatore Paolo Scarpa Bonazza Buora, presidente della commissione Agricoltura, a cui comunica di aver parlato con Berlusconi.   
Scarpa “Come stai ricchione?”.
L. “Due cose. La prima, fai jogging la mattina?”.
S. “No, perché devo farlo? Mi viene l’infarto, mi viene”.
L. “No, no, fai jogging, tieniti allenato a correre”.
S. “Vabbè, per andare a fare la maratona”.
L. “No, no, per poter fare il capo della maratona. Vedi che devi pagare la cena, però eh.,, Ti ricordi quando ti dissi che non c’era nessun problema, che tu ritenevi che quello stronzo lì ti si inculasse,  Galan eccetera? Ti ricordi?”.
S. “Che fa il ciccione?”.
L. “Io mo’ ti dico toccati le palle: so che è il momento tuo”.
S. “E com’è che lo sai?”.
L. “Me lo sò sognato ieri notte, come lo so secondo te, chi me lo può dire? L’ipotesi allo studio, se va quello stronzo di Zaia lì a fà il presidente alla Regione, tu sei in pole position per fà il ministro dell’Agricoltura”.
S. “Dimmi un po’, (…) e Galan?”.
L. “Punta a fà il presidente degli Stati Uniti, da lì in su…”.
S. “Però alla fine si dovrà anche accontentare”.
L. “Sì, lui punta a qualunque di queste cose, ma non lo so che succede. Secondo me il candidato più attendibile a quella cosa sei tu”.
S. “Ma è una tua supposizione?”.
L. “No, no ho parlato con lui, ho parlato col presidente e lui fa questa valutazione, e gli ho detto, ma se salta qui chi ci va? E lui dice Fini rompe i coglioni, io dico “e noi … ci abbiamo Scarpa”, e lui dice “cazzo, è vero, è pure presidente della Commissione al Senato, è l’unico che ci capisce, già An è sovradimensionata”.
S. “Speriamo che sia vero”.
L. “… però muoviti anche tu per favore. Parla con Schifani e parla pure con Cicchitto. Non dì che te l’ho detto io”.
S. “Sì”.
L. “E io che cosa posso fare, più che parlare con il capo. Io l’unico lavoro che ti posso fare è sul capo. Fabrizio no, oppure con Quagliarello tu che rapporti c’hai?”.
S. “Buoni, è un po’ freddo, diciamo”.
L. “E allora guarda se basta Schifani, basta e avanza Schifani”.
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Andrea Zanzotto, il nostro poeta

Andrea Zanzotto, il poeta di Pieve di Soligo, è nato il 10 ottobre 1921 e compie novant’anni.

In questi giorni gli sono stati dedicati molti fogli a stampa e non c’è certamente bisogno di un mio contributo informativo. Quindi il mio è solo il saluto di un lettore, anche piuttosto tardivo, delle sue poesie. E come tributo credo non ci sia niente di meglio che pubblicare un suo testo e ascoltarne la sua lettura. E’ un testo del 1967, tratto da “La Beltà”, e testimonia che il nostro poeta, su alcune cose che c’interessano, era avanti di mezzo secolo. 

Al mondo
Mondo, sii, e buono;
esisti buonamente,
fa’ che, cerca di, tendi a, dimmi tutto,
ed ecco che io ribaltavo eludevo
e ogni inclusione era fattiva
non meno che ogni esclusione;
su bravo, esisti,
non accartocciarti in te stesso in me stesso
Io pensavo che il mondo così concepito
con questo super-cadere super-morire
il mondo così fatturato
fosse soltanto un io male sbozzolato
fossi io indigesto male fantasticante
male fantasticato mal pagato
e non tu, bello, non tu «santo» e «santificato»
un po’ più in là, da lato, da lato
Fa’ di (ex-de-ob etc.)-sistere
e oltre tutte le preposizioni note e ignote,
abbi qualche chance,
fa’ buonamente un po’;
il congegno abbia gioco.
Su, bello, su. 
                     Su, münchhausen.
[youtube]http://www.youtube.com/watch?v=9yhF8uZmB5g&feature=related[/youtube]
 
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“Una eccessiva sobrietà”

Per una volta che a Portogruaro maggioranza e opposizione sono tacitamente d’accordo, succede che Stefano Zanet, che pensavo fosse il più assiduo cronista portogruarese,  quisquillia sulle forme anziché sottolineare opportunamente la sostanza.

Leggete la cronaca ed il commento (è tutto insieme) della sistemazione della lapide dedicata ai caduti per la libertà di Venezia nel 1848, dove scrive che “non posso non sottolineare una eccessiva sobrietà dell’evento celebrativo”.

Capito? Una volta che – visti i tempi – un sindaco non si mette in pompa magna, con la fanfara, i pennacchi militari e l’aspersorio, a fare la solita, tradizionale opera di propaganda, perché di questo veramente si trattava, prende le bacchettate dal cronista. Ma forse questa mia meraviglia è solo frutto di un equivoco. Mi sono sbagliato e ho scambiato un qualsiasi blog personale – tipo questo mio – per un sito d’informazione locale.

Per la cronaca, invece, ricordo che Mario Isnenghi è uno dei maggiori storici del Risorgimento. Secondo me, la sua presenza è stata molto più intelligente e utile dei soliti pennacchi.

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“Siamo in grado?” Certo che sì!

[youtube]http://www.youtube.com/watch?v=EUis5oIiKiw&feature=player_embedded[/youtube]

“Siamo in grado?”: questa è la domanda ripetuta dal sindaco Bertoncello all’inizio del video che riporta un suo intervento odierno nella sede del Pd. La domanda si riferisce alla “capacità di far capire alla gente” di Portogruaro la situazione finanziaria del Comune conseguente alle manovre economiche del Governo.

Secondo me la gente capisce tutto e un amministatore è in grado di spiegare la situazione anche fuori della sede di partito, basta avere l’umiltà e la volontà di farlo. Probabilmente bisogna avere anche la disponibilità di mettere in discussione l’utilizzo dei pochi mezzi a disposizione, cambiare scelte già fatte, anche quelle ritenute scontate. Ma se non c’è dubbio che la situazione è grave, parlarne è indispensabile, non farlo sarebbe una scelta, non una necessità. 

La mia proposta è semplice: convertire gli incontri già previsti per parlare di PAT, cioè di un futuro non programmabile, in incontri sulla situazione del Comune alla luce della crisi finanziaria dello Stato e della sua gestione da parte dell’attuale Governo.

E accetto scommesse che la gente è in grado di capire.

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Eugenio Montale, trent’anni dopo

Se è ancora possibile non farsi schiacciare dalla data unica, vorrei ricordare che trent’anni fa, il 12 settembre 1981, moriva Eugenio Montale.

Montale è stato senza dubbio il maggior poeta italiano del Novecento (mentre il maggior poeta italiano nato nel Novecento è Andrea Zanzotto). E’ difficile non riconoscere questo anche per chi, come me, ha con alcuni suoi testi un rapporto contrastato.

Nato a Genova il 12 ottobre 1896 da famiglia borghese (il padre aveva un’attività industriale), ebbe un itinerario scolastico banale, diplomandosi in ragioneria. In realtà usò gran parte della sua giovinezza per acquisire una formazione filosofica e letteraria da perfetto autodidatta. Questa s’innestò nel precoce sentimento del “male di vivere”. Come tutti gli autori e i poeti, Montale ebbe un itinerario e qualcosa cambiò nella sua produzione, ma rimase fondamentalmente aderente alla prima ispirazione, nonostante i tempi particolari in cui nacque. Diceva nel 1976:

«L’argomento della mia poesia (…) è la condizione umana in sé considerata: non questo o quello avvenimento storico. Ciò non significa estraniarsi da quanto avviene nel mondo; significa solo coscienza, e volontà, di non scambiare l’essenziale col transitorio (…). Avendo sentito fin dalla nascita una totale disarmonia con la realtà che mi circondava, la materia della mia ispirazione non poteva essere che quella disarmonia.»

Senza pretendere di scorrere tutta la sua produzione, scelgo due testi. Uno è la prima poesia della seconda sezione di Ossi di seppia (1925), famosa come un vero e proprio manifesto montaliano. Per me è oscura e chiara, aperta e ermetica, positiva e negativa, e – contro la stessa poetica dichiarata dell’autore – non riesco a dimenticare gli anni in cui fu scritta.

Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l’animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
perduto in mezzo a un polveroso prato.
Ah l’uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l’ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!
Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.

L’altro testo è postumo, pubblicato solo nel 2006 come [XVIb] nella raccolta La casa di Olgiate e altre poesie, e conferma che l’autore tutto sommato non era contemporaneo ai suoi tempi, era in effetti più avanti.

Come un sigaro avana
la terra si fuma da sé
ma sul piattino resta la cenere
Per ora la cenere siamo noi
ma la seconda legge della termodinamica
ci assicura
che non è mai troppo presto
per farsi vedere
non è mai troppo tardi
per congedarsi.
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11 settembre 2011

Ognuno ricorda dov’era l’11 settembre 2001, verso le quattro del pomeriggio (dieci di mattina a NY), ma oggi sappiamo dove siamo? Seduti davanti il pc? Bene, cerchiamo di capire meglio non cos’è stata, ma cos’è, che peso ha oggi quella data. Prima vediamo i dati. 

Per prima cosa, vediamo la fotografia geopolitica del Medio Oriente fatta da Alberto Negri (Il Sole 24 Ore, 5 settembre 2011). Qui, per comodità, riporto solo un parte del testo:

L’11 settembre e la guerra in Iraq non hanno portato i risultati che si proponevano gli americani. Diventare i guardiani dell’Asia centrale nel punto di raccordo degli interessi di Russia, Cina, India, Pakistan, un quadrilatero atomico, all’incrocio delle risorse strategiche e dei nuovi poli dello sviluppo economico globale. L’Afghanistan resta fuori controllo ma anche il Pakistan, potenza nucleare, che rappresenta il vero nodo dell’Af-Pak, un problema per gli americani forse più intrattabile dei talebani. A questo si aggiunge quanto è avvenuto in Iraq e dintorni: Bush jr. si proponeva di rifare la carta del Medio Oriente e non ci è riuscito. Le transizioni che vediamo nella regione sono state dovute a fenomeni interni dove gli Stati Uniti non hanno avuto un ruolo. Non solo. L’attuale governo iracheno, caratterizzato da una preponderante maggioranza sciita, è fortemente influenzato dall’Iran mentre prima Teheran, sotto la dittatura di Saddam, era fuori dal gioco. Era per mantenere questo obiettivo che le monarchie sunnite del Golfo avevano finanziato otto anni di guerra del rais contro Khomeini: emarginare gli sciiti e l’Iran dal potere a Baghdad. Il prezzo era stato un milione di morti. Quando nel mondo arabo si parla di 11 settembre il collegamento a questi eventi che lo hanno preceduto è immediato mentre da noi appaiono come uno sfondo confuso e ribollente.
Gli Stati Uniti hanno ottenuto il contrario di quello che pensavano: fare dell’Iraq un saldo Paese alleato. Una delle conseguenze più clamorose è che il governo iracheno appoggia l’Iran nel sostegno alla Siria di Bashar Assad. Mentre la Turchia, bastione storico della Nato, sostiene l’opposizione al regime di Damasco ma si scontra pure con Israele per leadership nel Mediterraneo orientale. Tutto questo fuori da ogni decisione presa a Washington.
Come si vede le conseguenze dell’11 settembre vanno ben al di là di una data. In sostanza l’Afghanistan e l’Iraq sono stati due fallimenti: si sono abbattuti dei regimi nemici, ostili all’Occidente, ma non si controlla la situazione. Non solo, gli Stati Uniti pur avendo migliaia di uomini sul terreno, 50mila in Iraq e 130mila in Afghanistan, non sembrano in grado di condizionare quanto avviene nel mondo arabo. Anzi proprio questo logorante impegno militare dal quale il presidente Obama vuole uscire ha incoraggiato i popoli arabi alla ribellione: non c’era più il timore, dopo due disastri, di un nuovo intervento americano.

Per seconda cosa, sempre dallo stesso giornale, leggiamo la ricostruzione di una sequenza cronologica fatta da Mario Platero (4 settembre 2011). E’ un testo fastidioso, pieno di numeri, ma importanti:

Fra il mese di gennaio e il 21 agosto del 2001, in reazione alla debolezza congiunturale, Alan Greenspan porta i tassi sui Fed funds dal 6,5 al 3,5%. Dopo 21 giorni bin Laden attacca. La confusione sui mercati è al massimo. Il 17 settembre la Fed, con tassi già molto bassi, reagisce e li riduce di altri 50 punti base, al 3%, e spiega che «continuerà a fornire inusuali volumi di liquidità ai mercati, fino a che non si tornerà a condizioni di mercato più normali». La riduzione dei tassi continua aggressiva, a ottobre si va al 2,5%. Il 7 di quel mese comincia la guerra in Afghanistan e aumentano le incertezze geopolitiche. La Fed le menziona. George W. Bush promette una guerra anche contro l’Iraq. A novembre 2001 i tassi sono al 2% a dicembre all’1,75%. Fra il 18 marzo del 2002 e il novembre del 2002 si continua a parlare nelle dichiarazioni della Fed di «grandi incertezze geopolitiche». A novembre i tassi scendono all’1,25%. Poi, nel giugno del 2003 all’1%. Ce n’era davvero bisogno a quel punto? In effetti la Fed comincia a prendere atto del rischio che «una necessaria riallocazione delle risorse in termini di politica fiscale possa diminuire a breve le prospettive di produttività».
È fra il 2002 e l’inizio del 2003 che ci si rende conto come la politica fiscale sia cambiata in modo ormai strutturale per garantire la sicurezza nazionale. Greenspan reagisce come può. Punta sul settore immobiliare per un recupero della crescita. Nonostante le critiche che giungono da ogni parte per un accomodamento troppo prolungato, non vuole abbassare la guardia per evitare rischi possibili per la rielezione di George W. Bush nel novembre di quell’anno. Questo per dire che ci furono componenti anche di politica interna nei processi decisionali. Ma è stato con i tassi su quei livelli che hanno cominciato a formarsi la bolla immobiliare, le erogazioni di prestiti subprime, la bolla dei derivati e l’impacchettamento di rischi altissimi in strumenti opachi. La crescita esponenziale di quegli strumenti e di quei rischi proprio tra il 2002 e il 2005. A questo hanno contribuito gli eccessi del mercato, le banche, alla ricerca di profitti sempre più facili, le non banks bank, la mancanza di regole ferree, la deregolamentazione e molti altri fattori. Ma la radice resta da una parte nella decisione della Fed di tenere i tassi bassi troppo a lungo e dall’altra da una politica fiscale che nel momento in cui si andava in guerra concedeva aggressivi riduzioni delle tasse. Politiche figlie entrambe dell’attacco dell’11 settembre.

Infine, per terzo, come indicato da Platero stesso, andiamo a vedere quali sono i costi economici delle guerre in corso: sono stimati da 3,2 a 4,0 billioni (cioè migliaia di miliardi) di dollari, di cui 1,3 vera e propria spesa militare, ma da 1,9 a 2,7 di additional expenses, come dicono gli americani, vale a dire spese per la cura dei reduci, la sicurezza nazionale, gli aiuti di guerra, nonché gli interessi sui debiti contratti per finanziare il tutto. (Consiglio una buona navigazione sul sito linkato.)

Siamo alla conclusione del piccolo viaggio nella storia di questi dieci anni. Oggi dunque abbiamo (1) una situazione geopolitica medio-orientale fuori controllo, (2) una grave crisi economica occidentale legata chiaramente, sottolineo chiaramente, alla politica economica USA conseguente all’11 settembre 2001 e (3) un costo economico della guerra in corso insostenibile.

Ma la vera considerazione finale è un’altra. Anzi è una domanda. Qual è il costo umano di tutto questo?

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Come uscire dalla merda, definitivamente

Pareva a me che con la manovra del 13 agosto, la terza in sei settimane, il governo dei criminali – uso l’espressione di Pasolini verso il fascismo, una migliore non ne ho – avesse dimostrato chiaramente di non voler far pagare le tasse come previsto dalla Costituzione, cioè secondo il reddito e non solo a chi lavora, soprattutto come dipendente.

Così, per uscire dalla merda, suggerivo modestamente di lavorare sul mucchio grosso, 250 miliardi di evasione di iva e irpef, come indicato dal governatore Draghi, non da Galapagos del Manifesto. Sul breve, oltre al cosiddetto contributo di solidarietà, poteva esser usata una piccola patrimoniale, efficace per riequilibrare un po’ di equità ed immediata.

Invece ieri il nuovo equilibrio interno alla banda di criminali, alcuni sono anche palesemente dementi e tra di loro se lo dicono tranquillamente in pubblico, ha fatto sparire qualsiasi contributo o ipotesi patrimoniale e per far cassa hanno deciso di usare le pensioni.

E’ noto che dilazionare le pensioni non è un risparmio nella spesa dello Stato, anzi nel caso di un dipendente pubblico è forse anche un aumento della stessa. E’ solo un esercizio di cassa fatto sul portafoglio e sulla pelle di chi ha già dato e creando ulteriori differenze con chi in pensione c’è già da tempi remoti o più recenti e in età più bassa.

Così, non utilizzare il servizio militare, che era obbligatorio, nel conteggio è un’angheria per chi l’ha fatto, magari senza stipendio alcuno e perdendo due-tre anni di lavoro, perché prima non si veniva assunti e dopo ci voleva sempre un po’ di tempo.

Ma soprattutto per chi ha studiato e ha già pagato i contributi per quel periodo, ora si troverebbe a doverlo ripetere. Come se studiare duro e laurearsi fosse uno sfizio personale e non un compito e un merito sociale.

Si è parlato di vendetta ideologica a proposito di questo accanimento contro chi lavora, cosa confermata dall’intervento punitivo sulle cooperative, ma questo non basta. Qui siamo in presenza di un cinismo ben orientato. L’obiettivo è chiaramente quello di mettere contro due parti del paese, elevare il conflitto al massimo grado, dove potrà succedere chissà cosa.

Un disegno da eliminare con un’operazione semplice. Bisogna uscire subito dalla merda, basta respirare con le cannucce. La banda dei criminali va tolta di mezzo, subito. Con le elezioni, naturalmente. Prima che sia troppo tardi.

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Come uscire dalla merda (2)

Nemmeno il centrosinistra è mai riuscito a fare progressi significativi in questo senso.
«Bisogna solo decidere se gli autonomi devono pagare le tasse oppure no», ammette Visco, «non è mai stato esplicito, nemmeno ai miei tempi. (…) E poi se tutti pagano, scendono le aliquote.»

Quindi la partita è persa in partenza?
«No, anche se in Parlamento ci sono interessi che contano molto più che nel Paese», osserva Visco. «Se si decide di affrontare l’evasione bisogna partire dalla tracciabilità dei pagamenti, dall’elenco clienti-fornitori e dall’obbligo di allegare una descrizione del patrimonio alla dichiarazione dei redditi, compresi i saldi bancari. (…) Però serve la volontà.»

Così, Vincenzo Visco, già ministro delle Finanze nei governi di centrosinistra a Orazio Carabini in un’intervista pubblicata su L’Espresso del 25 agosto (e non ancora online).

Quando si comincia?

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Come uscire dalla merda

Cercherò di essere essenziale sulla manovra di Ferragosto. Meglio parlare coi numeri. Certo non sono bruscolini. Già nel 2012 saranno 23,8 miliardi di euro, 49,8 nel 2013,  55,3 nel 2014. Si tratta per 3/4 di maggiori entrate (tasse) e solo per 1/4 di minori spese. E “sono quasi tutte tasse sul lavoro” (Tito Boeri su Lavoce.info). 

Per avere la giusta misura bisogna però ricordare altri numeri e per usare dati certi, seppur arrotondati al miliardo di euro, prendiamo quelli pubblicati per l’ultima Assemblea annuale della Banca d’Italia. Dunque, nel 2010 il Pil nazionale è stato di 1.549 miliardi di euro, il debito pubblico di 1.843 (119% del Pil). Nello stesso anno, il totale delle entrate è stato di 722 (46,6% del Pil) e delle spese 794 (51,2% del Pil), mentre l’indebitamento è stato di 71 (4,6% del Pil). 

Come si vede i dati vengono sempre riferiti al Pil, ma la manovra viene in realtà fatta su un organismo, lo Stato, che pesa circa il 50% di questo. Questo particolare è importante per misurare la reale incidenza di una manovra da 55 milioni, che vale sì il 3% del debito, ma circa il 7% del conto economico dello stato. Questa è una percentuale enorme, ma poiché è concentrata soprattutto sulle entrate, senza un simultaneo intervento per favorire le attività produttive, è destinata a prosciugare ulteriormente la propensione sia al consumo che al risparmio della collettività nazionale. E’ quella che si chiama una mazzata finale.

Che fare? Io ho un’idea fissa. Un recupero dell’evasione fiscale. Dai conti dello Stato si sa che nel 2010 sono entrati 225 miliardi di imposte dirette e 217 di imposte indirette, per un totale di 442 miliardi. All’ultima Assemblea della Banca d’Italia citata sopra, il governatore Draghi ha affermato che «se l’Iva fosse stata pagata il nostro rapporto tra il debito e il Pil sarebbe tra i più bassi dell’Unione europea» e che  – anche secondo stime dell’Istat – «il valore aggiunto sommerso ammonta al 16% del Pil», cioè circa 250 miliardi. E’ una cifra assurda. Possiamo pensare di lavorare per avere 150 (il 10% del Pil) – non dico 250 – miliardi alla fine di dieci anni? A metà strada saranno 70-80, l’attuale debito pubblico, che nei primi anni dev’esser quindi finanziato con un intervento secco, tipo patrimoniale, ma a fine corsa avremo ridotto il debito sia in valore assoluto che percentuale, visto che così sarà maggiore anche il Pil nominale (come lo chiama sempre Draghi).

A me hanno insegnato che – metaforicamente – un elefante può essere mangiato, ma un boccone alla volta. Quando si comincia?

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