Destra e sinistra ai tempi di Grillo

L’esito elettorale, con il successo del Movimento 5 Stelle, ha riproposto il tema della distinzione o meno tra destra e sinistra. Così mi è capitato di leggere da un mio amico, una persona strutturata assai, che questo è “un movimento che ha scalzato i concetti stessi di destra e sinistra”.

Torneremo su questi concetti, ma per cominciare propongo quanto scritto ieri su il manifesto.

Un movimento bifronte
di Loris Caruso
Da mesi i commentatori si dividono tra chi considera il Movimento 5 stelle una «costola della sinistra» e chi lo considera un’organizzazione populista, prevalentemente di destra, in certi casi tendenzialmente fascista. Sono vere entrambe le cose.
È stato sottolineato più volte che i contenuti ambientalisti del programma e l’insistenza sulla democrazia diretta e partecipativa avvicinino il Movimento alla sinistra libertaria e ambientalista degli anni Settanta e Ottanta.
In particolare, è dirompente la forza del messaggio partecipativo, lanciato dal M5S con una radicalità e un’efficacia che nessun movimento politico della sinistra recente è riuscito ad avere: l’annullamento della differenza tra rappresentati e rappresentanti; la sostituzione della delega con la partecipazione; la distruzione del professionismo politico.
Dov’è, invece, nel M5S, la «destra»? In primo luogo, in una possibile evoluzione di questo stesso ideale democratico. Se vissuta come un obbiettivo che una sola forza sociale può autenticamente perseguire contro tutte le altre (partiti, sindacati, ecc.), l’iper-democrazia può rovesciarsi nel suo contrario. La forza politica che, come il M5S, avoca solo a sé una reale natura democratica, può presentare come iper-democratiche tutte le sue scelte, anche quelle che limitano l’agire democratico. Se la democrazia radicale prevede la fine dei partiti, non è impossibile immaginare che di fronte a una prevedibile opposizione dei partiti alla propria estinzione, questa fine sia determinata, da un eventuale «governo a 5 Stelle, attraverso forzature non democratiche. In secondo luogo, il livello di «virtù» che il M5S richiede ai propri rappresentanti e attivisti è talmente elevato (per esempio prevede che sia annullata qualsiasi ambizione personale), da essere perseguibile solo attraverso un rigidissimo controllo centralizzato. Cosa che infatti avviene nel Movimento, dove si cerca di impedire che emergano sia protagonismi individuali, sia organismi collettivi che facciano da contrappeso al ruolo di Grillo e Casaleggio. Tra i leader e i tanti singoli attivisti ed eletti, che sempre singoli e tendenzialmente anonimi devono rimanere, non ci deve essere niente. Altrimenti, avvertono Grillo e Casaleggio, «diventiamo un partito». Con il risultato che, al momento, nella sua struttura nazionale il M5S è un organismo molto meno democratico di un partito.
Se questo è il modello di Stato che i due leader del M5S hanno in mente, non è molto rassicurante.
In effetti, questo è un modello che ricalca proprio la forma del cosiddetto «capitalismo cognitivo». Come ha ricordato più volte, tra gli altri, Carlo Formenti, l’economia della Rete è caratterizzata da una vasta partecipazione dal basso (di utenti, consumatori, mediattivisti, ecc.) e da una restrizione piramidale in alto, cioè dal ruolo oligopolistico di poche grandissime imprese (Google, Amazon, ecc.). Il M5S sembra organizzato in modo analogo. Forse l’analogia tra la sua forma e quella dell’economia della Rete ne spiega, in parte, il successo.
Che questo sia il modello, lo fa pensare il rapporto che il M5S instaura con i movimenti. Nel suo recente comizio elettorale a Susa, Grillo ha fatto abbassare le bandiere No-Tav: «non siete più un comitato di protesta, adesso siamo tutti cittadini». Adesso vi rappresento io, è il messaggio. Nel mio Tutto c’è spazio anche per voi, non c’è bisogno che voi esprimiate autonomamente il vostro punto di vista. Questo è, in effetti, il rapporto prevalente che Grillo instaura con i movimenti di cui condivide le lotte. Raramente questo rapporto è un lavoro comune, una condivisione di finalità. Più spesso il M5S lavora autonomamente e «parallelamente» sugli stessi temi dei movimenti, cercando di rappresentarli sul piano elettorale e presentando quelle lotte come proprie. L’idea di essere una Totalità, la rappresentazione di un mondo di cittadini indifferenziato per condizione sociale e orientamento politico, è agli antipodi della storia e della natura della sinistra, che sono basate sulla costruzione di «parzialità organizzate». La crisi dell’idea stessa di parzialità, l’emergere di questa «voglia di Totalità», è probabilmente una delle cause della crisi storica della sinistra.
Grillo ha inoltre progressivamente spostato a destra il suo discorso politico, facendo suoi temi come la protesta anti-tasse, l’assunzione del piccolo imprenditore a proprio riferimento sociale, la libertà di impresa vista come bene in sé.
In terzo luogo, estranea alla sinistra è la figura del creatore del M5S. La Casaleggio e Associati è un’impresa di punta del web marketing. La sua rete di relazioni comprende Confindustria, lobb y italiane come Aspen, lobby internazionali come l’American Chamber of Commerce, importanti imprese multinazionali, in particolare dell’informatica e dello spettacolo. Un progetto nato in questo ambiente può favorire gli interessi dei ceti popolari? Oppure è plausibile pensare che offra delle opportunità alle élite economiche? Gli apprezzamenti al risultato elettorale del M5S arrivati da ambienti di Goldman Sachs e Confindustria lo lasciano pensare.
E allora? Il Movimento 5 stelle è sia di sinistra che di destra, sia iperdemocratico che autoritario. Comprende in sé tutte le forme con cui la politica rappresentativa è stata sfidata in questi anni dall’alto e dal basso: è al contempo un movimento sociale, un partito-azienda, un partito personale. Contiene in sé un’idea di politicizzazione totale della società («non votatemi, attivatevi») e l’idea di una spoliticizzazione tecnocratica, in cui l’amministrazione sostituisce la politica (le competenze al posto delle appartenenze). È profetico (l’Utopia acritica della Rete) e antiprofetico, cioè contro quella particolare tipologia di profezia politica che è l’ideologia moderna.
La crisi della democrazia rappresentativa ha due possibili esiti: l’autoritarismo tecnocratico, magari ornato di qualche elemento partecipativo, e la democrazia partecipativa. Il M5S contiene in sé entrambe le possibilità. Anche da questa co-presenza deriva il suo successo: le difficoltà di una costruzione «assemblearistica» della decisione politica è aggirata attraverso il verticismo. Il suo successo segnala che, usando il linguaggio di Gramsci, nella politica contemporanea c’è una nuova oscillazione dalla «guerra di trincea» (in cui le alternative politiche sono comprese negli assetti esistenti) alla «guerra di movimento»: ad essere in gioco sono gli assetti sociali stessi, le forme generali della politica e dell’economia.
Questo passaggio apre alla sinistra un campo inedito di possibilità. A condizione che sappia giocare a questo livello. Che sappia elaborare, accanto a un proprio modello di democrazia radicale, un suo progetto globale di società. In crisi non è solo la rappresentanza, ma anche il capitalismo. Su questo Grillo non dice (quasi) niente: questo è compito nostro, è il nostro terreno. Agire a questo livello significa, a mio parere, costruire un nuovo soggetto plurale che sappia federare tra loro le lotte per i beni comuni, i movimenti anti-austerity, le lotte del lavoro, il mondo del lavoro dipendente e quello del lavoro «cognitivo», provando a costruire un’alternativa globale di società, un progetto di «democrazia dei beni comuni», l’idea innovativa di un «socialismo del XXI secolo».
(il manifesto, 9 aprile 2013)
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Elezioni. Lo scacco matto di una generazione

Il risultato più forte della storia elettorale italiana, ma non solo, se è vero che neanche in Europa è mai successo che un partito prenda all’esordio oltre il 25% dei voti, non è affato sorprendente, non per me. I dati principali sono questi:

1) La grande affermazione del M5S, primo partito alla Camera;
2) La non-vittoria del Pd e alleati;
3) Il ritorno della sinistra in parlamento con Sel, ma non con Rivoluzione Civile, miseramente fallita;
4) Il rush finale del pur perdente Pdl;
5) La débâcle della Lega (mitigata dalle regionali lombarde);
6) Il sostanziale fallimento della lista Monti.

Farò un tentativo di analisi dei dati in un articolo sulla pagina principale di LCF, qui mi preme evidenziare che gli spostamenti sono stati enormi, come gli errori e le miserie, il voto ha un chiarissimo significato politico che il suo esito nei difficili equilibri parlamentari non può oscurare.

Il successo del M5S è un voto con due indicazioni intrecciate tra loro. Una è contro le politiche governative del governo Monti e dei suoi alleati nell’Europa dell’austerità e della finanza dominante. L’altra è contro almeno due decenni di politica italiana, dei partiti italiani, di destra e di sinistra. E’ dunque essenzialmente un voto contro.

Ma è un voto anche generazionale. Grazie al M5S infatti è diventata protagonista una fascia di candidati, quindi anche di elettori, che cerca di gestire il proprio futuro senza mediazioni, direttamente. Non sono tutti degli sfigati, anzi. E credo che questo sia un dato forte e positivo. Non credo invece che i tradizionali politici siano in grado di discutere con questi nuovi protagonisti e vedo profilarsi soprattutto conflitti.

E’ la società civile che si presenta senza le tradizionali mediazioni culturali, in piena autonomia e senza alcun vincolo alle regole storiche. Non c’è la critica del pensiero economico dominante, il liberismo dilagante nel trentennio. Non c’è la critica della democrazia rappresentativa, ridotta in Italia a misero espediente. Non c’è la definizione di una nuova forma partecipativa, poiché le votazioni online senza discussione svuotano tutto, ma solo la volontà di incidere e risolvere singoli punti, considerati cruciali. Non c’è una battaglie delle idee, la ricerca di alleanze, ma solo pragmatismo, in un quadro culturale neanche affrontato.

Tuttavia non penso che quest’impostazione, la mancanza di riferimenti culturali storici, sia necessariamente perdente. Credo piuttosto che ci saranno grossi conflitti tra il M5S e tutti gli altri, istituzioni comprese. Ma il conflitto, la dialettica tra parti molto distanti, è l’unica maniera per aprire nuovi varchi verso un futuro che non si immaginava più diverso da troppo tempo. Appunto una generazione.

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Elezioni (-2). Dopo il voto

Ormai ci siamo, dopodomani si voterà. Anch’io lo farò come ho già dichiarato: a sinistra, con il realismo imposto dalla schifosa legge elettorale e sulla base dei programmi, come ho sempre fatto fin da quando ventenne andavo ad attaccare i manifesti elettorali. Era nel cuore degli anni Settanta, quando i comportamenti ed i simboli erano piuttosto chiari, opzioni nette, in positivo, anche sui partiti più piccoli. Oggi la cosa è più ambigua, si chiede sempre più il voto “contro” piuttosto che “a favore”, sulle persone piuttosto che sui programmi. E i simboli sono perlopiù una faccia televisiva.

Ma la politica non è un prodotto di cui basta nutrire una certa fiducia per apprezzarlo, è un momento essenziale della vita di ogni cittadino e di ogni comunità. Ogni decisione ci riguarda direttamente, dai princìpi alle tasche, e non possiamo più delegare e basta, farci rappresentare da professionisti, come previsto dalla divisione del lavoro sempre voluta dalle élite sociali.

Dobbiamo partecipare, con passione ed intelligenza. Perché i drammatici problemi che viviamo e conosciamo rimangono tutti da affrontare, come si può leggere in un comunicato di ALBA, il soggetto politico nuovo:

Al centro di questa campagna elettorale non ci sono affatto le grandi crisi che stiamo vivendo: la crisi economica, la crisi del lavoro, la crisi ambientale, la crisi della democrazia, la crisi della cultura e del sistema formativo, la crisi dell’Europa e la crisi dei partiti e delle classi dirigenti italiane. E infine quella delle sinistre. Un nuovo pensiero politico, un progetto politico nuovo devono invece cimentarsi con questo scenario, perché i temi del rinnovamento della politica e di una risposta altra ad una crisi di sistema sono sempre più all’ordine del giorno.

Ne riparliamo subito dopo il voto, qualsiasi sia il suo esito.

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Elezioni (-4). Dopo il megafono di Grillo

Comunque vada il voto, il fenomeno più importante di queste elezioni è il MoVimento 5 Stelle (M5S) guidato da Beppe Grillo. Ricordo che il V maiuscolo ha un senso, è il legame con il V-Day (Vaffanculo Day, il primo fu il 14 giugno 2007).

In attesa dell’incontro finale, previsto in piazza San Giovanni a Roma venerdì 22 febbraio, abbiamo visto ieri quello di Milano. Secondo alcuni giornali c’erano 35-40mila persone, per altri 100mila. Comunque sia, un vero tsunami di folla, come previsto dal nome della campagna, Tsunami tour. Con la presenza sul palco di Dario Fo, intellettuale nazionale, premio Nobel per la letteratura 1997, che afferma: «questa manifestazione me ne ricorda una uguale nel ’45, all’indomani della guerra, ma allora abbiamo fallito, non ce l’abbiamo fatta a costruire l’Italia che volevamo. Provateci voi, non mollate, non mollate, ribaltate l’Italia!». (Quest’affermazione di Fo andrebbe commentata, ma non è questo il posto.)

Beppe Grillo, il fondatore e dominus di M5S, è un uomo di spettacolo e questo è stato un aspetto decisivo per il suo successo. La sua curva politica infatti è relativamente recente, comincia nel luglio del 2005 su un blog destinato a diventare uno dei cinque più frequentati al mondo. Da qui si può osservare quotidianamente il fenomeno, a partire dalla sua definizione:

Il MoVimento 5 Stelle è una libera associazione di cittadini. Non è un partito politico nè si intende che lo diventi in futuro. Non ideologie di sinistra o di destra, ma idee. Vuole realizzare un efficiente ed efficace scambio di opinioni e confronto democratico al di fuori di legami associativi e partitici e senza la mediazione di organismi direttivi o rappresentativi, riconoscendo alla totalità dei cittadini il ruolo di governo ed indirizzo normalmente attribuito a pochi.

Non è difficile trovare già qui punti sia cruciali che critici. Se uno crede sia possibile avere idee senza ideologie (cioè idee di parte) e dibattito senza organismi (cioè incarichi e regole), il M5S è il suo posto. Infatti adesso lì quasi tutto avviene in maniera nuova, perlopiù via internet, una forma aperta senz’altro a nuovi protagonismi ma ancora tutta da verificare. La cronaca dei prossimi mesi ci dirà già qualcosa.

In quanto al programma, a parte quello sull’energia chiaramente scritto da qualche intelligente decrescista, per il momento è solo un elenco di abolizioni, alcune condivisibili, altre meno. Io però alcuni punti non li concepisco neppure, come questi sull’istruzione:

– Diffusione obbligatoria di Internet nelle scuole con l’accesso per gli studenti
– Graduale abolizione dei libri di scuola stampati, e quindi la loro gratuità, con l’accessibilità via Internet in formato digitale
– Insegnamento obbligatorio della lingua inglese dall’asilo

Conosco alcuni grillini, la loro disponibilità, nobiltà d’animo e determinazione a cambiare concretamente l’andazzo del nostro paese. Sono giovani culturalmente attrezzati ma con una formazione particolare: sono cresciuti culturalmente e moralmente in un ventennio tanto disgraziato. Mentre nel ventennio fascista c’erano ancora in vita e combattevano grandi oppositori, alti modelli morali e politici, anche veri e propri eroi, in questo ventennio non hanno avuto nessun riferimento. Che si siano affidati ad un uomo di spettacolo ha certamente un significato.

I giovani grillini non parlano di destra e sinistra, non ne vogliono neanche sentir parlare. E non hanno tutti i torti. In questo ventennio il pensiero economico è diventato unico, il comportamento politico si è conformato al modello più forte, al suo medium televisivo, all’intreccio di affari e politica, di politica e mafia, rinunciando progressivamente alla legalità e moralità pubblica e privata. Cosicché oggi il cosiddetto centrosinistra pensa decisamente a vincere elezioni basate su una legge da fattoria degli animali, una porcata, come se fosse una cosa normale e giusta.

Scriveva Dante (Inferno, XVIII, 116-117) di un adulatore: “vidi un col capo sì di merda lordo / che non parea s’era laico o cherco.” Di adulatori è piena la società italiana di questi anni e speriamo che Grillo non abbia bisogno di seguaci di questo tipo. I grillini non avranno il mio voto, ma io mi auguro che a partire dal prossimo Parlamento partecipino a rinnovare la politica e la società italiana su obiettivi di sobrietà ed uguaglianza, assorbendo e inverando l’eco del capo che grida sulle piazze come e di più del fenomenale inventore della Padania. Altrimenti nella merda continueremo a scendere tutti, fino a restare definitivamente muti.

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Elezioni (-5). Ingroia, dai rospi alla speranza

Ho scelto il mio doppio voto, Rivoluzione Civile alla Camera e Sel al Senato, sulla base dei programmi. Non vedo quale altro criterio usare, se non si utilizza quello più in voga dell’empatia verso i protagonisti, leader o candidati. Infatti, pur citandolo come richiamo nel titolo non dò particolare importanza al ruolo di Antonio Ingroia. Se sarà un buon uomo politico lo vedremo nel tempo, non certo da questa prima esperienza.

Su Sel mi sono già espresso. Come altri gruppi, con queste elezioni sta per passare su un sentiero decisivo, anche per le sorti degli italiani, non solo per le sue. La strategia di Vendola, tutta incentrata sull’alleanza con il Pd, sta per avere la sua verifica storica.

Su Rivoluzione Civile ho già accennato ieri come le liste siano state il frutto di una logica meschina che andrebbe elettoralmente punita. Per evitare genericità, vi invito a leggere questo intervento di Guido Viale, un intellettuale troppo lucido per non essere vero. E mi fermo qua.

Di fatto, la migliore caratteristica di Rc è un programma tra i più avanzati che si possano leggere e questo programma ha una premessa non banale, direi fondamentale, che esercita su di me una sorta di richiamo istintivo:

Vogliamo realizzare una rivoluzione civile per attuare i principi di uguaglianza, libertà e democrazia della Costituzione repubblicana, nata dalla Resistenza.

Già, la Costituzione della Repubblica Italiana. Cosa sono stati questi ultimi vent’anni, dopo la vicenda di Tangentopoli, se non il tentativo sempre più organizzato e determinato di svuotare questa legge fondamentale per il paese? Con l’introduzione del pareggio di bilancio in Costituzione da parte della maggioranza del governo Monti (Pdl, Udc e Pd) si è fatta una violenza inaudita alla libertà della politica economica nazionale e alla politica nazionale tout court. E tutte le ultime cosiddette manovre economiche sono andate nel senso opposto ai principi fondamentali della Costituzione. Si tratta semplicemente di riattivarli.

Di questo programma mi piace mettere in luce alcuni punti semplici ma tali da implicare vere svolte culturali e sociali:

Accanto al Pil deve nascere un indicatore che misuri il benessere sociale e ambientale.
Siamo per una cultura che riconosca le differenze.
Vogliamo introdurre un reddito minimo per le disoccupate e i disoccupati.
Va fermato il consumo del territorio, tutelando il paesaggio.
Vanno creati posti di lavoro attraverso un piano per il risparmio energetico.
Vogliamo (…) istituire una patrimoniale sulle grandi ricchezze.
Vogliamo portare l’obbligo scolastico a 18 anni.

Così, ingoiati i rospi delle liste, mi rimane la speranza di cambiare qualcosa in una direzione ostinata e contraria a quella dell’ultimo ventennio.

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Elezioni (-6). Il mio voto a sinistra

Ad una settimana scarsa dal voto, è il momento di dire per chi voterò, anche se continuerò in questi giorni a fare vecchie e nuove considerazioni.

Approfitto di un testo di Angelo d’Orsi, appena apparso su Micromega online, di cui riporto solo la parte finale, anche se mi riconosco quasi integralmente su tutto quanto è scritto.

E allora io cittadino perplesso, vagamente dégôuté, mi chiedo, tra me e me, mentre passeggiando sfoglio i giornali: possibile che non si possa pensare e praticare una politica nobile, coerente e, soprattutto, trasparente? Possibile che pur privilegiando, machiavellianamente, il principio dell’efficacia come principio fondante l’agire politico (è buono ciò che serve, serve naturalmente a conquistare il potere), non si possa tentare di conciliarlo con le istanze di partecipazione e democrazia che da tante parte negli ultimi decenni giungono dal basso? E, in tal senso, mi dico: se si vuole dare un messaggio di “diversità” i modi, le forme, le procedure, sono se non tutto, una parte eminente del messaggio stesso. E non le si consideri, altezzosamente, questioni di dettaglio: d’altronde, come scrisse Peter Schneider, scrittore e intellettuale tedesco (“di sinistra”), “a furia di trascurare i dettagli si perdono di vista i princìpi”.

L’autore fa riferimento, è chiaro dal testo integrale, alla formazione delle liste in Rivoluzione Civile, già oggetto di questo blog. Personalmente avevo poche speranze all’ipotesi di “Cambiare si può”, un’iniziativa complementare ad Alba, il soggetto politico nuovo, che pensava a liste di cittadinanza totalmente scelte da assemblee sovrane. Ma dissi vediamo, la speranza non finisce mai. Sappiamo com’è andata, a partire dall’assemblea veneziana che aveva scelto Maria Rosa Vittadini, urbanista a Venezia e tra i maggiori esperti nazionali in tema di trasporti, a cui è stata proposta la quinta o sesta posizione in lista, praticamente ineleggibile, costringendola a ritirarsi.

Come d’Orsi, ho pensato per qualche giorno che non avrei votato e soprattutto che sarebbe salutare che questa nuova lista Arcobaleno, un altro espediente di partitini (Rc, Pdci, Idv, verdi e arancioni), non entrasse in Parlamento, cancellando definitivamente le tracce di sigle ormai insignificanti nella politica nazionale. Ma non c’è dubbio alcuno che il programma di Rivoluzione Civile sia il migliore tra quelli leggibili in questi giorni e l’unico che non nasconda ipocrisie o palesi miserie culturali. Anche se avrei preferito che alla base di una nuova stagione politica ci fossero i 25 punti essenziali di programma di Alba, un documento pronto alla fine di novembre 2012, lucido e coerente, di 4.300 parole (compresi gli articoli e le preposizioni), dove compaiono le parole lavoro (13 volte), società (9), democrazia (8), Europa (8) e libertà (6), ma non “crescita”. Vi si trova tre volte il termine “partecipazione” che parla da solo e che non ha bisogno dell’aggettivo “civile”, come per “rivoluzione”, mai nominata.

Ma tant’è, questa è la situazione. Alle elezioni ci sono due liste che si dichiarano di sinistra, Sel guidata da Nichi Vendola e Rivoluzione Civile guidata da Antonio Ingroia. Hanno due strategie diverse, ma è bene per noi che prendano voti entrambe.

Così voterò Rivoluzione Civile – Ingroia alla Camera, dove questa lista ha buone chances di approdare, mentre voterò Sinistra Ecologia Libertà al Senato, dove ad una lista non in coalizione servirebbe un impossibile 8% su base regionale. Così facendo non penso ad un voto utile al governo autosufficiente del centrosinistra, penso al voto di sinistra più concreto, in attesa di riprendere un cammino di aggiornamento della stessa sulla base della partecipazione e della passione civile.

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Elezioni (-10). La scommessa di Vendola

Alle elezioni del 2008 quattro partiti della sinistra (Prc, Pdc, Verdi e Sd) si presentarono in un’unica lista, la Sinistra Arcobaleno, guidata dal presidente uscente della Camera e leader di Rifondazione Comunista Fausto Bertinotti. Ne rimasero fuori i partitini identitari (Pcl, Sinistra Critica). La coalizione non fu una cosa tanto improvvisata. Fu già da fine maggio 2007 che si intensificò il processo di unificazione nei mesi successivi ci furono eventi e atti all’interno del Governo e del Parlamento in questa direzione. Ma il Governo Prodi cadde il 28 gennaio 2008 e il 13-14 aprile ci furono le elezioni. Il 28 ottobre era nato il Partito Democratico e il suo segretario Walter Veltroni si alleò solo con l’Idv di Di Pietro, più affine sui programmi, e chiese il voto utile.

La Sinistra Arcobaleno alla Camera prese solo 1.100mila voti (il 3,1%) e non entrò in Parlamento. Sono passati solo cinque anni, è storia recente, senza pretendere di ricostruirla in poche righe, questa storia ormai si può trovare ben scritta in poche voci di Wikipedia (Sinistra Arcobaleno, Sinistra Ecologia Libertà, Federazione della Sinistra), con tutti i suoi link interni. Sono qui rintracciabili anche le storie dei pochi protagonisti nazionali, a partire da Nichi Vendola.

Nichi Vendola fu il primo a reagire. Al congresso del Prc del gennaio 2009, propose una costituente e un nuovo partito dalla fusione con Sd e Verdi. La sua mozione è la più forte col 47,3%, ma le altre quattro si alleano e lo sconfiggono. Il 21 gennaio (un giorno fatidico nella storia dei comunisti italiani) Vendola lascia il Prc, annunciando un’altra via. Così alle elezioni europee del giugno 2009 si presenta Sinistra e Libertà che mette insieme Psi, Sd, Mps, Verdi, Uis e Mpa e che prende il 3,1% (Prc-Pdci al 3,4%.) Come accade sempre, l’insuccesso aumenta l’entropia. A luglio un seminario nazionale avvia la discussione sulla costruzione di un nuovo e unico partito pronto per le regionali del 2010. Ma a ottobre, protagonista Angelo Bonelli, i verdi escono. A novembre escono i socialisti.

Ma il 20 dicembre 2009 nasce lo stesso Sinistra Ecologia Libertà (Sel), con Vendola portavoce. Alle elezioni amministrative del marzo 2010, Sel prende il 9,7% in Puglia confermando Vendola governatore ed il 2,7% nelle altre 12 regioni. Non c’è ancora un partito su scala nazionale, ma al 1° congresso di Firenze dell’ottobre 2010 Vendola viene eletto presidente e mette a punto una strategia. Sarà nelle elezioni locali che Sel si deve giocare il suo futuro. La strategia di Vendola punta a consolidare il rapporto con un Pd piuttosto lacerato in correnti e ad usare a fondo l’area delle primarie nel centrosinistra. Così ci saranno le vittorie prime nelle primarie e poi alle elezioni amministrative del 2011 di Pisapia a Milano e Zedda a Cagliari.

Mentre l’Italia vive gli ultimi mesi di governo della destra, Vendola tiene ferma la barra: alleanza col Pd, che il suo segretario Bersani conferma. Ma il terzo alleato, l’Idv di Di Pietro nel 2012 entra in conflitto pesante con lo stesso, passando nei confronti del governo Monti dall’approvazione all’opposizione. Anche Sel si oppone in linea di principio, ma ha la benedetta fortuna di non essere in Parlamento e di non scontrarsi direttamente con l’alleato Pd su scelte inaccettabili quali le pensioni a fine vita, l’ineffabile riforma del lavoro Fornero, il pareggio di bilancio in Costituzione.

Vendola sa che il Pd non può vincere da solo le elezioni e che senza Idv – ormai considerata nell’area dell’antipolitica e in via di smembramento – non può rinunciare al suo apporto, seppur marginale. Accetta così l’alleanza col Pd, coi socialisti di Nencini e il Centro Democratico di Tabacci e Donadi (ex Idv). Perde alle primarie, ma ottiene un’indubbia esposizione mediatica altrimenti impossibile. Nella coalizione è inattaccabile anche perché ha accettato le regole dell’alleanza: primarie e voto a maggioranza quando non c’è accordo. E si dà finalmente un programma, un programma di sinistra.

Il problema di Vendola però resta tutto davanti, ancora non ha niente in pugno. Il Pd è un partito con tante anime, Bersani è solo il punto di equilibrio attuale. Se l’alleanza vince le elezioni, anche al Senato, non è ancora fatta. E’ un’alleanza sulle regole interne non su un programma, ma dopo le elezioni bisognerà scegliere: come rivedere il fiscal compact, come coprire il disagio sociale acutissimo, come finanziare nuova occupazione.

C’è un residuo di leninismo nella scommessa di Vendola, degno di un grande momento storico: cambiare il destino di un paese facendo leva sul giusto punto d’appoggio più che sul grande consenso, che sarà all’incirca 1/3 dei voti del 70-80% dei votanti, cioè un elettore su quattro. E sa già che potrà vincere la scommessa, in verità piuttosto lunga, solo se prende abbastanza voti per non essere sostituito come alleato da Monti & Co. (sarebbe una vera truffa, avere il premio di maggioranza con un alleato e cambiarlo, ma pare scontato).

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Elezioni (-12). Bersani vuol dire fiducia

A chi andrà il voto degli incerti? Non sono voti di giovani, sono voti di delusi, soprattutto dalla gestione della destra. Vincerà il richiamo della foresta o la protesta, la volontà di liberarsi di un ceto politico indecente? Questo sembra il dubbio centrale, ovvero la possibilità del recupero eccezionale della destra o dello sfondamento di Grillo.

Io sono molto preoccupato perché (1) non mi fido degli italiani che per tanti anni hanno già dato fiducia ad un ceto politico raccapricciante, perché (2) chi doveva offrire una sponda onesta seppur arci liberista, cioè Monti, si è rivelato della stessa pasta, opportunista e narcisista, quindi inaffidabile, perché (3) nel maggior partito del centrosinistra, come si definisce il patto Pd-Sel, non si cercano ulteriori consensi sui punti precisi di programma, ma su prospettive di cambiamento assai vaghe e perché (4) a sinistra, da Rivoluzione Civile di Ingroia, si danno messaggi, se possibile, anche più confusi.

Partiamo dal Pd. C’è una lettera ricevuta a casa proprio ieri e firmata da Pierluigi Bersani: “Il 24 e 25 febbraio vota per L’ITALIA GIUSTA”.

“Cara elettrice, caro elettore, il nostro Paese sta vivendo il suo momento più difficile e incerto. Ad ogni angolo si vedono sofferenza, disagio, sfiducia.” Così comincia Bersani. Vero, mi dico, e poco più avanti: “Ci vorranno riforme per mettere pulizia nella vita pubblica, per far crescere l’occupazione, per garantire i servizi rafforzandoli per le persone e le famiglie più deboli ed esposte.” Giusto, mi confermo. Vediamo quali.

Ma non le leggo, si dice che “noi democratici siamo alternativi alle politiche della destra”, che “crediamo nella partecipazione”, “crediamo in una politica che mantiene la parola”. Verso la fine c’è qualcosa di più concreto: “Noi taglieremo il costo del lavoro, per le imprese e i lavoratori, daremo ai comuni le risorse per garantire a tutti i cittadini una buona amministrazione e investiremo in una scuola di qualità”. Sono tre obiettivi che richiedono nuove entrate, ma come coprirle? Nessun cenno.

Insomma, nessun cenno alle cause della crisi, nessun cenno alla finanza, nessun cenno alla difesa del welfare, nessun cenno al riequilibrio dei redditi, nessun cenno all’ambiente, nessun cenno neppure alla battaglia fondamentale per riomologare lo Stato italiano dopo decenni di erosione della corruzione, della criminalità, politica ed organizzata. Non si usano mai certe parole o espressioni che da sole possano indicare un programma… La battaglia fondamentale sembra quella contro una persona strapotente, mai nominata (come faccio io che mi rivolgo alle solite dieci persone!) , contro “l’idea dell’uomo solo al comando”, che così sembra essere la causa di tutto…

E in questa maniera si pensa di conquistare qualche incerto? Chiedendo “sostegno e fiducia verso il Partito Democratico e verso la mia persona” (cioè Bersani)? Ma forse ci sono altri obiettivi. Vedremo.

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Elezioni (-13). Una partita aperta

Dicevo ieri che i giochi non son già fatti, ma con ciò non intendo che resta il noto problema del Senato, ma che è in bilico anche la Camera. Si dà infatti per scontato che grazie al Porcellum, la legge elettorale che premia col 55% dei seggi la prima coalizione qualsiasi sia la sua percentuale, l’alleanza Pd-Sel non sia raggiungibile da Pdl-Lega.

Cerchiamo di capire. Secondo SWG, queste sono le ultime stime (pubblicate da l’Unità):

Pd 29,5 + Sel 3,6 + altri 0,7 = 33,8%
Pdl 19,5 + Lega 5,0 + altri 3,3 = 27,8%
Monti 9,0 + Udc 2,7 + Fli 1,7 = 13,4%
M5S = 18,8%
Rc = 4,1%
Altri = 2,1%

Vanno ricordate due cose. La prima è che tutti ragioniamo su sondaggi, non su voti reali. La seconda è appunto il voto del 2008, quando, con l’80,5% di affluenza, il Pd da solo prese il 33,2 %, Pdl (37,4) e Lega (8,3) insieme il 46,8%, Udc il 5,6%, Idv il 4,4% e la Sinistra Arcobaleno il 3,1%. Oltre a questi nomi c’era un altro 6,9% di partitini vari.

Il dato critico è quello del Movimento 5 Stelle (M5S) e va capito bene. Io non credo siano avvenute grandi migrazioni da destra a sinistra e viceversa. Semplificando, ma non troppo, diciamo che destra (27,8) e centro (13,4) pescano nello stesso bacino e stanno perdendo circa 11 punti sul 2008 (52,4). Sembrerebbe così che quasi i 2/3 dei consensi di Grillo vengano da quell’area, ma – a parte certi pentiti della Lega – la cosa sarebbe assai strana sul piano delle idee. Grillo ha consensi da tutti gli angoli, soprattutto da quelli che ultimamente non votavano. E allora rimane una sola spiegazione, ed è matematica: le indicazioni dei sondaggi sono relative ad un’affluenza reale, cioè ad un voto dichiarato, ancora più bassa di quanto stimato da SWG (71%), siamo a circa il 65%, contro l’80,5% del 2008.

Ma se questo è vero, almeno un altro elettore su cinque, il 20% del possibile elettorato finale, o non va a votare o non sa ancora cosa votare. E’ una grande massa di voti potenziali che nel 2008 erano andati soprattutto alla destra. Confermo quindi che sarà decisiva la battaglia finale, il corpo a corpo. E sarà dunque utile capire con quali argomenti e strumenti si affrontano i protagonisti in questa fase.

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Elezioni (-14). Corpo a corpo

Si vota tra due settimane per il Parlamento della XVII Legislatura e la sensazione è che – a sondaggi ufficiali finalmente chiusi – succederà ancora molto sul piano della comunicazione, della propaganda. Anche il precedente del 2006, quando l’Unione di Prodi venne quasi del tutto recuperata, è lì a testimoniare che sia per la situazione di grande incertezza economica e sociale che per la novità di alcuni freschi protagonisti (Monti e Grillo in particolare), i giochi non possono essere considerati già per fatti, come sembrava fino a poche settimane fa, subito dopo le primarie del Pd.

Adesso la comunicazione diventerà, se possibile, anche più truculenta, e lo scontro tra i protagonisti non sarà così diretto, perché l’obiettivo principale di alcune forze è quello di recuperare nell’area degli incerti, ben più vasta di quanto si è fatto credere con i sondaggi più recenti.

La battaglia sarà ancor di più televisiva, come si può intuire dall’andazzo di queste settimane, cosicché – per chi come me vota a sinistra – non c’è da essere tanto tranquilli. Sarà un corpo a corpo per niente comico.

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