“E’ più furbo di Berlusconi”

Giro un’intervista a Curzio Maltese sull’intervento del premier Matteo Renzi al Parlamento europeo. Vediamo di quanto sbaglia…

A Strasburgo solo uno show
“Preparatevi, a marzo 2015 si vota”
di Chiara Daina
Niente è avvenuto per caso alla cerimonia di apertura del semestre italiano dell’Unione europea a Strasburgo. La bordata di Manfred Weber, capogruppo del Ppe (i conservatori), contro Matteo Renzi fa parte di un sottile gioco delle parti da cui il premier cerca di trarre vantaggio. A dirlo è Curzio Maltese, fresco di elezione al Parlamento europeo nella lista Tsipras.
Come si è comportato Renzi, secondo lei?
Ha fatto due cose molto scorrette: ha consegnato i contenuti del semestre in un documento e si è messo a parlare di altro per evitare domande scomode sull’Italia e spostare il discorso su vaghi principi, come lo slogan della “generazione Telemaco” copiato da Recalcati (che non ha citato). Poi ha saltato la conferenza con la stampa estera, sempre per evitare un confronto.
Renzi ha preferito andare da Vespa. Come l’hanno presa gli altri eurodeputati?
I tedeschi e gli spagnoli della sinistra hanno detto che fa quello che gli pare come Berlusconi. E durante il suo intervento, di circa due ore, tantissimo, in molti si sono annoiati. Non si parlava di nulla di concreto. L’unica cosa seria l’ha detta Weber, cioè di scordarci di cambiare i patti.
Il premier ha risposto che non prende lezioni dall’Ue. Chi vincerà?
È uno scontro fintissimo, una messa in scena. Renzi non vuole rivedere nessun trattato. Sta tentando in tutti i modi di ritardare le manovre di rigore. Gli servono sei mesi di respiro per andare alle elezioni il prossimo febbraio, stravincere e solo dopo fare i tagli di austerity. Mi sembra strano che nessuno se ne sia accorto.
Quindi la flessibilità di cui parla il premier è uno slogan?
La flessibilità non esiste. Renzi chiede solo sei mesi di tregua. Infatti non ha chiesto di rinunciare al fiscal compact.
Non potrebbe andare al voto già a novembre?
No, la nuova legge elettorale per novembre non sarà pronta. Sulle liste bloccate ha l’accordo di Berlusconi, che vuole confermarsi capo di FI e su questo non si discute. Grillo è in crisi e Sel è spaccata. Lui prenderà i voti da destra a sinistra.
E Bruxelles?
La Commissione europea non verrà insediata fino a novembre, quindi Renzi avrà il tempo per posticipare la manovra e fare contentini, come gli 80 euro ai pensionati. La sua strategia è buttare la palla avanti. L’ha fatto anche da sindaco di Firenze: in mille giorni aveva promesso la tranvia ma dopo cinque anni non c’è nulla. Dopo i problemi diventano degli altri.
Però in Italia Renzi ha tutti dalla sua parte per ora?
Non vedo punti di debolezza. Il suo problema è che fa quello che vuole. Si sta scegliendo perfino la minoranza interna: al posto di Cuperlo e Civati vuole Fava e Migliore. È più furbo di Berlusconi, nel senso che è subdolo: passano cose per cui Berlusconi veniva dilaniato. Se Renzi fa una legge incostituzionale è comunque bravo, per l’altro invece si scendeva in piazza. Quello che in Berlusconi faceva scandalo, in Renzi fa simpatia.
Due pesi e due misure…
Sì. Ed è grave perché significa che non esistono piu regole. Se lo fa il nostro lo sdegno non vale, se lo fa il nemico sì? Non significa che loro due sono uguali, ma quando fanno la stessa cosa i giudizi sono diversi.
Alla fine della fiera, il premier la farà franca davanti all’Ue?
Non è sicuro che ottenga la tregua pre-elettorale. Di una cosa sono sicuro però: se va alle elezioni, fa il pieno perchè intorno ha un deserto. Ha vampirizzato tutti. E a Strasburgo ha lanciato la sua campagna elettorale.
(Il Fatto Quotidiano, 4 luglio 2014)
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La foto della situazione in Israele

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Questi sono giovani palestinesi che lanciano pietre e si fanno scudo con un pallet rotto, dall’altra parte ci sono i militari israeliani perfettamente equipaggiati. Per il momento l’equilibrio è questo.

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Credo di aver fatto un viaggio in Israele

Con l’assassinio di tre giovani israeliani a Hebron e le prime immediate reazioni già in atto mentre scrivo, torna di mediatica attualità la questione israeliana/palestinese. Una questione fondamentale del nostro tempo. Unica, ma con molte facce. Internazionale, non regionale. Storica, cioè della storia dell’intero Occidente, non solo attuale. Paradigmatica, della politica e del pensiero strategico. Risolvere questa questione vorrebbe dire passare ad un altro stadio della civiltà umana. In questo blog non è mai stata affrontata, ma presuppongo che i miei quattro lettori ne sappiano almeno quanto me, quindi non la faccio tanto lunga e scrivo in libertà.

Nel cuore dello scorso mese di giugno ho fatto un viaggio di dieci giorni in Israele/Palestina. Un viaggio autonomo, fatto in quattro, preparato da me stesso e qualche dritta d’agenzia, perché interessato da sempre a quel paese. Un viaggio in un posto ricco, di paesaggio e storia, di bellezze e di brutture, di contraddizioni. Essendo senza altra guida umana, oltre agli aspetti paesaggistici ed archeologici, abbiamo avuto modo di cogliere solo con leggerezza, in superfice, alcuni aspetti antropologici e politico-sociali. Però mi è capitato di colloquiare a lungo con un giovane francescano italiano della Custodia di Terra Santa, da cui ho avuto soprattutto conferma delle divisioni profonde, assolute, non solo tra le popolazioni, ma anche tra i numerosi gruppi intellettuali.

D’altronde, anche volendo, sarebbe impossibile non vedere la separazione tra Israele e Cisgiordania, con i check-point stradali, le pattuglie militari nei posti cruciali, i metal detector per visitare aree e musei, il muro divisorio per centinaia di chilometri, il comportamento degli ortodossi ebrei. Mi è capitato perfino di sgridare alcuni bambini palestinesi (non avevano neanche dieci anni), che lanciavano grossi sassi contro automobili parcheggiate sulla Via Dolorosa (la Via Crucis), ben dentro le mura di Gerusalemme. Ho avuto l’impressione netta che l’intifada non sia mai finita o sia già ricominciata.

Mi ero preparato il viaggio per andare in piena autonomia automobilistica e così abbiamo fatto. Prima a Tel Aviv, quindi a Jaffa, Cesarea, Akko (Acri). Poi a Tiberiade, quindi a Cafarnao, tra i resti di Betsaida, il corso alto del Giordano affluente del lago, solo avvistata Gamala (da riprendere) e solo sfiorata Gerico (perché in Cisgiordania, dove ci vuole più calma). Evitato accuratamente Nazaret e visitato invece Betlemme. Quindi lungo il Mar Morto, anche dentro le sue acque inospitali, su e giù a Masada, dentro il suo mito vivente. Per finire gli ultimi giorni dentro le mura di Gerusalemme, nei luoghi sacri ai tre monoteismi, e fuori le mura, nei musei ebraici e tra i quartieri (veramente impressionante Mea Shearim, quello degli ultraortodossi ebraici).

Il viaggio è andato bene. Personalmente ho apprezzato molto anche la cucina palestinese. Ma accendendo la tv in hotel c’erano sempre le facce dei tre giovani studenti, figli di coloni, di cui si aspettava ora per ora il ritorno. Ieri invece ne hanno fatto il funerale.

Ero preparato ad un viaggio particolare, non rischioso, questo non lo pensavo, ma difficile perché in un ambiente con tutte le contraddizioni possibili. Alla fine è stato un viaggio fortemente mentale, un viaggio che non mi pare mai finito, un viaggio che forse ho solo sognato.

Quello che mi è più certo, vero, è che nei prossimi giorni e mesi e anni, Israele/Palestina (non vedo come separarli/distinguerli) saranno al centro di tante cronache internazionali. Speriamo – perché la speranza è di tutti, anche e soprattutto di quelli come me che pensano a programmi positivi e di cambiamento – che in quella zona arrivi qualche nuova illuminazione.

Non servono nuovi profeti, mistici o visionari, servono o bastano uomini di buona volontà, come Yitzhak Rabin (1922-1995) e Yasser Arafat (1929-2004). Sono morti un po’ “forzatamente”? Tutti dobbiamo morire. Quello che non possiamo fare è vivere senza speranza di giustizia e di libertà, non solo per se stessi, ma per tutti.

PS. Segnalo un’ottima guida storica e all’attualità politica nel libro di Ari Shavit, La mia terra promessa (sottotitolo molto parlante: Israele: la storia e le contraddizioni di un paese in guerra per la sopravvivenza), Sperling & Kupfer, Milano 2014 (ed. or. 2013). L’autore è un giornalista di Haaretz.
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Il Mose tra il Piave ed il Lemene

Riproduco integralmente un articolo pubblicato oggi sugli affari ormai consolidati nella sanità regionale veneta. E’ chiaro che il pensiero va anche al nostro benedetto ospedale unico… Il meccanismo (si fa per dire) del Mose pare lo stesso o perlomeno molto simile a quello della sanità pubblica (si fa per dire). Un’altra buona ragione per non fare ora nel Nordest altri, nuovi, unici, comunque ulteriori ospedali.

Il “sistema Venezia” nel campo sanitario
Un business miliardario con nomi noti
Il ramo ospedaliero del Mose
di Sebastiano Canetta e Ernesto Milanesi
Due Mose ogni anno. La Regione gesti­sce 8,5 miliardi di euro del ser­vi­zio sani­ta­rio nazio­nale nel bilan­cio di ordi­na­ria ammi­ni­stra­zione. Ospe­dali, per­so­nale, ser­vizi, con­ven­zioni: un «giro d’affari» che ha fatto gola, eccome, alla sus­si­dia­rietà bipar­ti­san.
Grandi opere come i nuovi «poli» di cura, ghiotte ester­na­liz­za­zioni (dai pasti alle puli­zie, dalla gestione calore alle manu­ten­zioni), logi­stica ben­data, call-center e par­cheggi alle coop su misura, inte­gra­zione con Uni­ver­sità pub­bli­che e labo­ra­tori pri­vati. Con l’inchiesta della Pro­cura di Vene­zia affiora anche il filone della sanità non solo con il con­tratto di «con­su­lenza» pagato dal Con­sor­zio veneto coop a Gian­carlo Ruscitti, ex segre­ta­rio gene­rale della sanità in Regione e poi ammi­ni­stra­tore di Ihfl Srl.
È il com­parto di palazzo Ferro Fini fuori con­trollo. Prima con il «sistema Galan» e quindi con la dit­ta­tura di Dome­nico Man­toan. Fino al 2010 la sanità veneta era curata da poli­tica & affari con i fede­lis­simi dg delle sette pro­vince, ma almeno era ancora vigi­lata dal Crite: la com­mis­sione regio­nale per l’investimento in tec­no­lo­gia ed edi­li­zia riat­ti­vata dalla deli­bera numero 1.455 del 6 giu­gno 2008. Poi Man­toan col­le­ziona inca­ri­chi a raf­fica: com­mis­sa­rio Usl 12, liqui­da­tore dell’Agenzia regio­nale, com­mis­sa­rio dell’Istituto onco­lo­gico veneto, mem­bro del CdA dell’Agenas (l’agenzia nazio­nale dei ser­vizi sani­tari regio­nali). E soprat­tutto si «libera» da ogni gab­bia: la deli­bera 18 del 9 gen­naio 2013 scio­glie l’Arss e insieme azzera le valu­ta­zioni tec­ni­che e con­ta­bili sulla gestione di ospe­dali vec­chi e nuovi.
Il 19 marzo 2013 il con­si­gliere comu­nale di Vene­zia Gian­luigi Pla­cella (M5S) scrive a tutte le auto­rità com­pe­tenti. Segnala il deva­stante impatto del pro­ject finan­cing del nuovo ospe­dale all’Angelo in via don Gius­sani sui conti dell’Usl 12. E si è già rivolto alla Corte dei Conti per il danno era­riale. È il busi­ness del labo­ra­to­rio ana­lisi e della dia­gno­stica per imma­gini, con l’ingegner Pier­gior­gio Baita della Man­to­vani pron­tis­simo a rinun­ciare «per 250–300 milioni cash», forte del con­tratto che sca­rica comun­que gli oneri com­ples­sivi sulle casse pubbliche.
Sem­pre nel 2013 alla Corte dei Conti arriva anche il det­ta­glia­tis­simo espo­sto con tanto di tabelle rias­sun­tive che «radio­grafa» il nuovo ospe­dale di San­torso (Vicenza). Altro pro­ject da 157 milioni affi­dato a Sum­mano sanità scarl di Arcu­gnano nell’area di 184.744 metri qua­dri di Campo Romano. Un nuovo «polo» al posto delle strut­ture di Thiene e Schio. Un vero affare per Man­to­vani, Pal­la­dio Finan­zia­ria, Gemmo, CMB di Carpi, Coop­ser­vice, Sere­nis­sima Risto­ra­zione, Con­sor­zio Coo­pe­ra­tive e stu­dio Altieri che prov­ve­dono al «pac­chetto com­pleto»: dal pro­getto ai can­tieri fino alla gestione di ser­vizi e par­cheggi. Con­tratto blin­dato per 24 anni. L’investimento pri­vato da 79 milioni è desti­nato a gene­rare un busi­ness di oltre un miliardo. L’Usl 4, invece, si ritrova a pagare nel 2020 una rata di 19.459.556 euro: con un sem­plice mutuo ban­ca­rio al tasso del 6% sareb­bero sol­tanto 6.251.440…
La sus­si­dia­rietà sani­ta­ria in Veneto fun­ziona a pieno regime. La coop ciel­lina Giotto ha ottie­nuto da Adriano Cestrone, dg dell’Azienda ospe­da­liera di Padova, il call-center delle pre­no­ta­zioni. Per l’archivio delle car­telle cli­ni­che da digi­ta­liz­zare sono pronti i capan­noni degli ex Magaz­zini gene­rali, men­tre la logi­stica ospe­da­liera è nelle mani della Log’s di Parma che cer­ti­fica di nuovo il legame fra Com­pa­gnia delle Opere e Lega­coop. E intanto sull’ospedale al mare del Lido di Vene­zia si con­suma l’investimento di Est Capital.
Oggi si capi­sce molto meglio la trama ordita nel «modello veneto» del Due­mila. Lo spec­chio del Mose si riflette nella sanità ane­ste­tiz­zata con la stessa ricetta.
È di appena quat­tro mesi fa la vera gara per le assi­cu­ra­zioni di respon­sa­bi­lità civile nelle Usl venete: ha vinto la com­pa­gnia ame­ri­cana Wil­lis insieme alla vero­nese Arena Bro­ker Srl con l’1% di prov­vi­gione. In pre­ce­denza (e per 15 anni) la super-polizza da 80 milioni all’anno era un’esclusiva di Assi­doge di Mirano che spon­so­riz­zava volen­tieri le «gite» degli amici di Galan al Pre­mio Brioni in Croazia.
Poi c’è il «car­tello» che mono­po­liz­zava i ser­vizi all’interno degli ospe­dali del Veneto, come denun­ciato dall’ingegner Pie­tro Auletta (ammi­ni­stra­tore dele­gato di Duss­mann Ita­lia) nella let­tera spe­dita al gover­na­tore leghi­sta Luca Zaia appena eletto nel 2010: «In nessun’altra regione ita­liana si sono con­so­li­date posi­zioni tanto rile­vanti in capo a ope­ra­tori eco­no­mici dei set­tori, siano essi società sin­gole, come accade nella risto­ra­zione ospe­da­liera, o affe­renti al modello socie­ta­rio coo­pe­ra­ti­vi­stico nella sani­fi­ca­zione sani­ta­ria».
Punta l’indice su Sere­nis­sima Risto­ra­zione che vanta il 61% dei pasti ospe­da­lieri (31,7 milioni di fat­tu­rato) e sulle coop delle puli­zie: Manu­ten­coop, Coop ser­vice, Cns, Copma e Minerva che arri­vano al 71% degli appalti della sani­fi­ca­zione per 48,5 milioni all’anno.
Il sistema bipar­ti­san di poli­tica & cemento ospe­da­liero è spia­nato dagli atti di pub­blico domi­nio. Fin dal pro­getto dell’Angelo di Mestre, la sus­si­dia­rietà rin­via ai «can­ni­bali» del Mose: il pro­ject da 254 milioni è affi­dato ad Astaldi, Gemmo e Man­to­vani. E nel 2009 c’è il bando del nuovo ospe­dale della Bassa pado­vana (142,8 milioni di cui 84 pub­blici) con ana­logo pro­ce­di­mento. Pro­getto dello stu­dio Altieri con la società Net Engi­nee­ring: il primo è sino­nimo dell’eurodeputata for­zi­sta Lia Sar­tori; l’altra con­tri­bui­sce alle cam­pa­gne elet­to­rali del pre­si­dente del con­si­glio regio­nale Clo­do­valdo Ruf­fato e del pre­si­dente della Com­mis­sione Sanità Leo­nardo Padrin con 20 mila euro cia­scuno. I can­tieri in via di ulti­ma­zione sono gestiti, invece, dalle imprese Gemmo (orbita Galan), Car­ron (in con­tatto con l’assessore Chisso) e Sacaim (sal­vata dal gruppo friu­lano Riz­zani De Eccher che si accolla 166 milioni di debiti).
Com­ple­tato nel 2008, il nuovo ospe­dale di Castel­franco (Tre­viso) è tar­gato Gruppo Guer­rato di Rovigo. Pec­cato che nel secondo e decimo piano si spa­lan­chino 1.600 metri qua­dri deso­la­ta­mente vuoti. In com­penso, al piano 12 l’accoglienza è garan­tita dall’hotel Gior­gione della fami­glia Fior.
È andata per­fino peg­gio al mega-ospedale miliar­da­rio di Padova su cui erano tutti d’accordo: il gover­na­tore Galan e il sin­daco Pd Fla­vio Zano­nato, i mana­ger sani­tari Ruscitti e Cestrone, il ret­tore Vin­cenzo Mila­nesi e il suo suc­ces­sore Giu­seppe Zaccaria. Imma­gi­nato come «appen­dice» del Mose da Maz­za­cu­rati, aveva mobi­li­tato fidu­ciari e con­su­lenti in un puzzle rico­struito nei ver­bali della Pro­cura della Repub­blica di Vene­zia. Già dra­sti­ca­mente ridi­men­sio­nata dalla giunta Zaia, l’operazione immo­bi­liare e finan­zia­ria di fatto viene ora archi­viata con l’elezione del sin­daco leghi­sta Mas­simo Bitonci.
il Manifesto, 25 giugno 2014
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Marc Bloch (1886-1944)

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Marc Bloch, di cui oggi ricorre il 70° anniversario della morte è stato un grande maestro, soprattutto come storico, ma anche come leader morale e patriota francese. E’ morto infatti torturato e fucilato dai tedeschi che erano riusciti a metter le mani su un intellettuale ebreo e partigiano.

La sua lezione intellettuale non è facile da sintetizzare e quindi faccio uso spudoratamente del miglior articolo che ho letto di recente, pubblicato il 1° giugno sul Domenicale de Il Sole 24 Ore.

La Storia nelle scienze sociali
di Donald Sassoon
Quando ero al liceo un illuminato insegnante di storia promise un dieci a chiunque avesse letto per intero La société féodale di Marc Bloch (e in grado di dimostrarlo). A sedici anni l’idea di ottenere un tale voto semplicemente leggendo un libro era irresistibile. Il libro era lungo e difficile, ma anche molto diverso dalla storia tradizionale, con la sua serie straordinariamente noiosa di date e storie di grandi uomini che avevano cambiato il mondo e vinto guerre. Guadagnai qualcosa di più di un buon voto: compresi quanto potesse essere eccitante la storia, anche la storia delle strutture, dei cambiamenti lenti, delle credenze, di come si forma e si mantiene la sudditanza, e come le cose cambiano da luogo a luogo. Per di più il tutto era scritto in una prosa elegante e a volte ironica, con un uso parsimonioso ma sottile di metafore. Si parlava perfino degli emiri del Qayrawan e dei califfi Fatimidi, con nomi che sembravano appartenere al mondo incantato delle Mille e una notte.
Bloch, nato nel 1886 a Lione, frequentò la prestigiosa École Normale Supérieure, poi fu ufficiale nella Grande guerra e infine ottenne un incarico universitario a Strasburgo, ora di nuovo territorio francese. Lì, proprio nell’ufficio accanto al suo, Bloch incontrò un altro storico dalle idee originali: Lucien Febvre. Insieme fondarono, nel 1929, la rivista «Annales d’histoire économiques et sociales». E così cambiarono la storia. Poi Bloch si trasferì alla Sorbona e gli Annales diventarono una école senza pari in altri Paesi. I loro seguaci, Fernand Braudel, Georges Duby, Jacques Le Goff ed Ernest Labrousse diventarono anch’essi grandi maestri della storiografia francese.
L’innovazione degli Annales fu di sfidare la forma dominante del racconto storico, vale a dire una narrazione incentrata in gran parte sul periodo breve, su eventi come guerre, rivoluzioni e diplomazia. Bloch e Febvre volevano una storia che esaminasse la longue durée (ma dobbiamo il termine a Braudel). Non si tratta semplicemente di una storia che comprenda un periodo molto lungo, ma che si soffermi su mutamenti lenti come il paesaggio o l’alimentazione, le abitudini, i riti. Questo veniva contrapposto alla storia degli eventi o histoire évènementielle, e cioè la storia dei movimenti improvvisi, come le rivoluzioni e guerre.
L’approccio di Bloch e Febvre aveva avuto precursori illustri. L’Essai sur les moeurs et l’esprit des nations di Voltaire era una storia generale del cristianesimo finalizzato a mettere in luce gli orrori del fanatismo religioso. Il Declino e caduta dell’Impero Romano di Edward Gibbon si soffermava a lungo su aspetti sociali e culturali. Nel XIX secolo Jules Michelet e Jacob Burckhardt produssero storie del Rinascimento con un approccio “totalizzante”. Il concetto di Volksseele (l’anima del popolo) dello storico tedesco Karl Lamprecht (1856-1915) influenzò la storia delle mentalità dei pionieri degli Annales.
Bloch e Febvre, partendo da un’ottica molto più rigorosa di quella dei loro predecessori, abbracciarono con entusiasmo l’idea di mettere la storia al centro delle scienze sociali, quali l’economia, la sociologia (particolarmente quella di Émile Durkheim), l’antropologia e la geografia.
Nel 1940 Bloch, essendo ebreo, perse il suo incarico universitario, la sua casa fu requisita, la sua biblioteca privata confiscata. Trasferito a Clermont-Ferrand, ma privo di accesso ad archivi e biblioteche, Bloch scrisse un testo meraviglioso sul mestiere dello storico: Apologie pour l’histoire. Nel 1942 diventò partigiano. Nel 1944 fu arrestato dalla Gestapo, torturato e poi fucilato.
Il suo capolavoro, Les rois thaumaturges (I re taumaturghi), è uno dei grandi libri di storia del XX secolo. È l’opera fondatrice della storia delle mentalità, la base della storia antropologica. In questo testo Bloch esamina la convinzione che il re avesse il potere di curare la scrofola semplicemente toccando il paziente. Partendo da questa semplice credenza Bloch spiegava il ruolo del “miracolo” nella concezione del potere politico assoluto come potere sacro, concezione che non si limitava al Medio Evo, poiché il rito è sopravvissuto nel Seicento e nel Settecento. In poco più di quattro anni (1660-64) Carlo II d’Inghilterra “toccò” più di 23mila persone e Luigi XIV ebbe più malati di qualsiasi dei suoi predecessori. L’aspettativa del “miracolo” era più importante del “miracolo” stesso in quanto vi erano persone che tornavano per essere toccate un’altra volta, la loro fede per nulla offuscata dall’evidente fallimento.
Centrale in questo studio era il concetto di memoria collettiva. In una società dove la maggior parte delle persone non sanno scrivere e dove poco è scritto, la memoria collettiva è ancora più importante che in epoche successive, non perché la gente “ricordi” di più, ma perché un evento incidentale, se ripetuto più volte sembra essere esistito da lungo tempo. In questo tipo di società un cambiamento può essere rapidamente legittimato sulla base di precedenti e “tradizione”, pur essendo spesso recente ed eccezionale. Così, sotto l’aspetto di un mondo immutabile, il Medio Evo cambiava costantemente anche se in modi diversi dai mutamenti descritti dalla storia évènementielle. Bloch ci offre una molteplicità di esempi come il caso dei monaci di Saint Denis, nel X secolo, ai quali era stato chiesto di donare una determinata quantità di vino in una giornata dove questo mancava nella cantina reale. Una “tradizione” fu rapidamente imposta: ogni anno i monaci dovevano consegnare la stessa quantità di vino nello stesso giorno. Un editto fu poi necessario per abolire questa usanza. Ciò portò alla crescita di accordi contrattuali, per cui se un barone o un vescovo, bisognoso di denaro, avesse voluto fare affidamento sulla “generosità” di uno dei suoi vassalli, questo richiedeva un documento scritto che specificasse che il dono non stabiliva un precedente.
Naturalmente queste trattative si potevano fare solo quando la disparità sociale non era eccessiva; nella maggior parte dei casi anche la violenza giocava la sua parte.
La lezione di Bloch consisteva in questo: non è sufficiente raccogliere il materiale e metterlo in ordine. Occorre interrogarlo, costringerlo a rivelare quello che non si vede, scovare quello che c’è sotto. Insomma lo scetticismo è una delle grandi armi dello storico. E questa lezione valeva più di un buon voto.
(Il Sole 24 Ore, 1 giugno 2014)
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Il sorriso di Berlinguer

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Prima decade di maggio 1981, Enrico Berlinguer tiene a Vicenza un comizio sul referendum indetto dal “Movimento per la vita” per abrogare alcuni articoli della legge 194 del 1978 sull’interruzione di gravidanza (aborto). Io allora, quando potevo, andavo ai suoi comizi. E questo era molto comodo, perché vicino ed in un ambiente accogliente come piazza dei Signori. Era anche un’occasione per trovarci coi nostri amici e compari vicentini. Ancor oggi ogni occasione è buona.

Alla fine del comizio serale ci siamo orientati in centro, cercando il posto più vicino per cenare. L’abbiamo trovato quasi subito, un ristorante ancora aperto sotto le dieci di sera, anche se non c’era nessun avventore. Prima di sederci a tavola, tutti in toilette. Io andai per ultimo. E quando mi stavo sciacquando le mani, aprì la porta un tizio che mi guardò bene, anche negli occhi e richiuse.

Poco dopo, entrò Berlinguer… Rimasi attonito, ma appena un po’… Mi ripresi subito per dirgli: «Compagno Berlinguer… posso salutarti? Ho le mani pulite.» Lui sorrise come sempre: «Certo» – ed allungò la sua mano. All’uscita i miei compagni si affrettarono di informarmi che c’era Berlinguer… «Già salutato» – risposi.

Questo fu il mio unico incontro ravvicinato con Enrico Berlinguer, un sorriso ed una stretta di mano in una toilette di Vicenza. Nell’occasione dei trent’anni della sua scomparsa (Padova, 11 giugno 1984) non mancheranno gli scritti di tanti autori, ognuno con il suo Berlinguer. Io mi tengo anche il mio piccolo ricordo.

(Nella foto, Berlinguer tra le ragazze comuniste nel 1950)
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Ospedali Nuovi Srl

“Ospedali e appalti stradali – la Procura verso altri blitz”, così titola oggi la Nuova Venezia un articolo di Carlo Mion (p. 9). Il sottotitolo è appena più esteso: “Due nuovi filoni all’orizzonte: opere viarie e ospedali in project-financing – L’ipotesi che il ‘sistema Mazzacurati’ non sia stato applicato solo al Mose”.

Nell’articolo, che linkerò appena sarà disponibile, tra l’altro, si può leggere:

Se il “sistema Mazzacurati”, funzionava per il “Pozzo di San Patrizio”, qual è stato per decenni il Mose in Veneto, difficile immaginare che non abbia funzionato anche per altre opere realizzate nella nostra regione. Del resto le società che lavoravano a si spartivano la “torta”, erano sempre le stesse.

Difficile proprio non pensarlo. E’ il caso di bloccare questa produzione di torte.

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4 giugno 2014

giorgio-orsoni-sindaco-di-venezia

Abbiamo un’altra data da ricordare, il 4 giugno 2014. Mentre ogni commento pare ormai vano. E non ci resta che gestire al meglio il proprio pensiero dominante, ognuno come gli va.

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Franz Kafka (e il suo cane), 90 anni dopo

Quante volte non abbiamo visto questa foto di Franz Kafka (3 luglio 1883 – 3 giugno 1924)? Ma quanti hanno notato o sapevano che nella foto c’è anche un suo cane? Pochi, anche perché il cane è accarezzato ma sfocato e la foto viene perlopiù tagliata.

Eppure la letteratura è piena densa di storie e di rapporti tra gli autori ed i loro cani. Ecco, oggi che ricorrono i novant’anni dalla morte di Franz Kafka, io lo ricordo così, con il suo cane. Ma non senza ricordare anche almeno il suo racconto in cui lui scrive come fosse un cane, “Indagini di un cane“, uno degli ultimi (1922) e quindi fra i più “kafkiani”.

“Probabilmente morirò in silenzio, circondato dal silenzio, quasi pacificato, e a questa attesa vado incontro preparato. Noi cani abbiamo ricevuto quasi per cattiveria un cuore mirabilmente forte e dei polmoni che non si logorano anzitempo, resistiamo a tutte le domande, anche alle nostre, bastioni del silenzio quali siamo.”
(“Indagini di un cane”, tratto da Franz Kafka, Romanzi, trad. di Ervino Pocar, Meridiani Mondadori, Milano 1993)
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Elezioni europee – Diario minimo

Martedì 27 maggio (il secondo giorno dopo)

Da l’analisi differenziale emerge che – finalmente – il Veneto è di nuovo democristiano. Vediamo un po’…
L’analisi dell’Istituto Cattaneo, che è un riferimento costante, conferma la mia prima (modesta) lettura generale. Entrando nelle aree geografiche, è interessante osservare che il Pd nel Veneto, dopo la piccola Valle d’Aosta (+52,4%), è la regione dove ha aumentato di più sul 2013 con il 43,2% (Piemonte +42,3% e Marche +40,7%).
In particolare, le tre province che furono serbatoi prima Dc e poi della Lega, sono tra le prime dieci come scostamento sui voti 2014-2013: 1) Vicenza +61,3%; 2) Cuneo +61,0%; 3) Verona +54,8%; … 10) Treviso +49,5%. Gli scostamenti sul 2009 sono tra l’82% e il 90%.
Così, una volta tanto sono d’accordo con Massimo Cacciari su la Nuova Venezia di oggi (p.10):
Un voto che viene anche da destra?
«Ma certo. Il 10 per cento del voto di Renzi è di destra. Il nostro popolo è disperato. Le ha provate tutte e non è successo niente. Sono alla disperazione e adesso tentano la carta Renzi.»
Cambia anche lo scenario per il Veneto, da sempre in mano al centrodestra.
«Certo. Questo è un voto da partito egemone, da Dc negli anni Cinquanta. Del resto il Veneto ha sempre seguito il vincitore. Stavolta ha capito che Renzi era il vincente.»
Una bella rivoluzione.
«Che stavolta aspetta il risultato. Un voto di scambio: certo il Veneto non è diventato di colpo di sinistra

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Lunedì 26 maggio (il giorno dopo)

Renzi batte Grillo. Sparisce Monti, forse il centro. La destra si frantuma in tanti pezzi. La sinistra con Tsipras tiene la testimonianza pura. I risultati italiani non sono stati senza sorpresa, anzi. Il vento delle piazze tirava più per Grillo che per Renzi, quello delle urne è proprio opposto.
Vediamo prima le percentuali, i dati che si usano di più, in ordine di risultato (il secondo decimale è arrotondato, non come fa il sito del Ministero dell’Interno):
Pd 40,82% – M5S 21,16% – Fi 16,83% – Lega 6,16% – Ncd-Udc 4,38% – Tsipras 4,03%
Frat. d’I. 3,67% – Verdi 0,90% – Montiani 0,72% – Idv 0,66% – Altri 0,68%
Passano i primi sei gruppi con il 93,4% dei voti validi, esclusi dunque il 6,6% dei voti. Mentre le schede bianche sono state il 2,0% (578mila) e le nulle il 3,3% (ben 955mila).
Il dati sintetici più interessanti, in prima e macro lettura sono questi:
(0) l’affluenza è stata del 58,7%, contro il 66,5% del 2009 (-3,2 milioni) e il 72,2% del 2013 (-6,6 milioni, quasi il 19%): questo è un dato di fondo da non dimenticare nell’analisi differenziale;
(1) dal 2009 ad oggi le destre, che allora erano al governo; hanno perso il 21,0% (dal 47,7 al 26,7), ma solo l’1% sull’anno scorso (supponendo qui il Ncd-Udc che di centro hanno solo il nome);
(2) il M5S è al 21,2% (strana somiglianza!) e perde (solo, ma vedremo meglio) 4,4 punti;
(3) il centro ha polverizzato il dato tra il 6,5% del 2009 (Udc) e l’8,3% del 2013 (montiani, ora al 0,72%);
(4) le cosiddette sinistre, dall’Idv del 2009 a Ingroia del 2013, verdi e Sel compresi, hanno  mantenuto il dato 2013 (5,6% in totale), ma perso quasi il 9% dal 2009;
(5) senza pensare ancora a tutti i travasi interni, il Pd (+15% circa sia sul 2009 che sul 2013) oltre al dato alla sua sinistra, ha prosciugato il centro (il cui elettore stavolta non ha svoltato a destra, o poco).
Ma è utile vedere anche il numero reale dei voti espressi, dove si possono trarre ulteriori considerazioni:
(6) i voti utili sono quest’anno solo 27,4 milioni, -20% sul 2013 (34,0 milioni) e -10,4% sul 2009 (30,5 milioni);
(7) il Pd con 11,2 milioni è aumentato di +3,2 ml sul 2009 (+40%) e + 2,5 ml sul 2013 (+29%): un’enormità, ma non come indicherebbero le percentuali (dal 25% al 40% sarebbe +60% se i voti fossero costanti);
(8) le destre con 7,3 milioni di voti, senza considerare le liste civetta del 2013, hanno perso il 50% sul 2009 (14,6 ml) e anche il 19% sul 2013 (8,9 ml);
(9) il M5S con 5,8 milioni di voti ha perso 1/3 dei voti (-2,9 ml) di un solo anno fa (8,7 ml);
(10) le sinistre, con i loro miseri 1,5 milioni di voti, sono ridotte ad 1/3 dei voti del 2009 (4,4 ml, con Idv compresa nel conto) e hanno perso un altro 20% sul 2013 (1,9 ml).
Una prima conclusione è che anche con queste elezioni si è confermata una caratteristica ben marcata lo scorso anno: l’enorme fluidità del voto italiano, si potrebbe anche dire “volatilità”, considerando la facilità con cui molti elettori entrano ed escono dall’area del non-voto. Credo che ciò sia frutto della duplice crisi, sociale-economica da un lato, dell’offerta politica dall’altro. L’incapacità di dare una risposta strategica e strutturale ai problemi, invita l’elettorato a saggiare opzioni che una volta non sarebbero state prese in considerazione perché troppo distanti o troppo rischiose. Che si passi da personaggi come Berlusconi a Monti a Grillo a Renzi, indipendentemente dallo stile e dall’orientamento iniziale di questi, dimostra anche che si cerca l’uomo forte, indipendentemente dalle sue idee.
Alla prossima cronaca elettorale. Credo molto presto.

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Venerdì 23 maggio 2014 (-2)

Il fantasma di Berlinguer è in piazza.
Ultime piazze per Grillo e Renzi, ma il primo le riempie, il secondo (ieri a Piazza del Popolo) solo a metà. Gli altri vanno al cinema o in tv.
Comunque si è disposti a tutto. Si tirano Enrico Berlinguer! Renzi ha addirittura detto: “Giù le mani da Berlinguer da parte di chi non può neppure pronunciarne il nome. Sciacquatevi la bocca.” E oggi “a piazza della Signoria ha voluto sistemare il palco nello stesso modo di Berlinguer l’ultima volta che venne a Firenze.” (il Fatto Quotidiano di oggi, p.4)
Le ultime battute saranno naturalmente sull’utilità del voto. Chi andrà senza essersi fatto un’idea prima di cosa significhi questo voto europeo, verrà colpito da un frase, forse da una parola. Questo è il programma.

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Mercoledì 21 maggio 2014 (-4)

In Italia si vota non per una politica europea, ma contro qualcuno.
La situazione, in mezzo al grande guado televisivo, è piuttosto chiara, in Italia si chiede un voto contro qualcun altro, non su un programma, magari alternativo e fortemente contrario alle scelte di chi ha governato l’Ue in questi anni. No, si vota sostanzialmente per ragioni interne e si chiede il voto per modificare gli attuali equilibri nazionali.
I protagonisti sono quelli e non è il caso di ripetere cosa si dicono addosso. Solo tra i due alleati sulle riforme c’è un apparente fair play. Gli altri sono ai margini, in tv ma anche sui giornali, cartacei e online.
Un paio di aspetti vanno rimarcati. Mancano i manifesti elettorali, per due motivi. Perché mancano i soldi e perché mancano le facce. Una volta si usavano i simboli, ma con Berlusconi tutto è cambiato, è diventato protagonista il volto del personaggio. Ma nessuno dei tre ha un volto tanto rassicurante. E’ paradossale, ma col suo volto prenderebbe più voti Berlinguer.
Eppoi mancano le manifestazioni, soprattutto quelle capillari. Questo perché le circoscrizioni sono poche e grandi ed i candidati si muovono soprattutto nelle maggiori città. Ma pochi sono anche quelli in grado di mobilitare una piazza. Tra questi, non male quanto è riuscito a fare Tsipras, soprattutto a Bologna.
Insomma, abbiamo davanti ancora tre giorni di sparate televisive, dove le accuse saranno di fuoco. Poi gli italiani andranno a votare. Pochi, sempre meno, meno del 50%. Alla fine, tutti valuteranno l’esito sulla base di qualche punto percentuale.
Una nota particolare. Su il Fatto Quotidiano di oggi c’è un’intervista di Marco Travaglio a Gianroberto Casaleggio, due pagine piene. Mi ha colpito una risposta:
Perché il programma M5S non parla di Cultura?
“Il programma è ancora incompleto. Via via cercheremo di coprire, coinvolgendo tutto il Movimento, tutti i settori ancora scoperti.”

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Lunedì 19 maggio 2014 (-6)

Da Auschwitz, oltre Hitler, senza ragionamenti (poi vedremo).
Oltre un mese fa, eravamo a -40, scrivevo che sarebbe stata una campagna elettorale spettacolare, ma potevo essere frainteso. Spettacolare non significa necessariamente bella, tutto dipende dai giocatori in campo. Purtroppo, all’ultima settimana, ne abbiamo una chiara conferma: sarà una chiusura penosa, un’elezione europea segnata dai problemi nazionali e dei singoli leader, protagonisti in rapporto al loro partito e al potenziale elettorato.
Innanzitutto Renzi che – in carica dal 22 febbraio – ha praticamente governato solo in funzione del voto europeo. E lo si capisce anche. Arrivato al governo grazie a meschine lotte interne ad un partito che si chiama democratico, cioè elezioni interne (primarie) a ridosso di una sconfitta (o non vittoria) elettorale, mentre il paese arranca in uno stato di gravissima crisi, deve essere omologato o meno dall’elettorato. Per lui il passaggio è decisivo. E’ decisivo vincere anche relativamente sul principale avversario, Grillo. Se questi dovesse ripetere o migliorare la performance delle elezioni nazionali di un anno fa sarebbero cazzi amari, soprattutto per lui personalmente, poiché si sarebbe dimostrato incapace di spostare l’asse degli interessi elettorali.
Grillo infatti punta tutto su questo aspetto: l’Europa non è un suo problema, almeno oggi. Se vincesse in Italia, il problema diventerebbe lui per gli altri paesi europei. Il suo linguaggio, nonostante quello che dicono e scrivono su di lui, si è comunque elevato, assumendo metafore e simboli più generali e storici. Dopo Auschwitz, ha risposto su Hitler (a cui alcuni lo accostano, ignorando che costui aveva inizialmente assai meno mezzi e che viene valutato oggi per cosa ha fatto alla fine, non all’inizio della sua carriera). Così siamo arrivati al massimo. Oltre Auschwitz e Hitler, come rileva oggi Stefano Bartezzaghi su la Repubblica, “non c’è nulla”: cosa si può evocare ancora e di più? Il linguaggio di Grillo si è dunque elevato, ma sempre e solo come invettiva. Guai a ragionare, tantomeno con i propri elettori. Di questi, intuisco le ragioni della grande massa che lo seguono, meno si pensa meglio si sta. Ma credevo che qualcuno che conosco personalmente avesse un’idea un po’ più elaborata della cultura, della politica, della società. Peggio per tutti noi.
Di quest’ultimo Berlusconi avevo già predetto tutto (già!). Si sa che ha fiuto per le migliori marginalità elettorali e gli anziani sono tanti e vanno quasi sempre a votare. Ma francamente credo che adesso e oramai non tenga più il suo vecchio legame elettorale, destinato a sciogliersi a favore del suo alleato fiorentino.
L’unica lista europea che punta ancora al ragionamento è L’Altra Europa con Tsipras. Non sarà facile salvarsi in un simile campo di battaglia, ma tutti i voti presi da questi candidati varranno almeno il doppio, in Italia ed in Europa.

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Giovedì 15 maggio 2014 (-10)

Caro Guccini ti scrivo: siamo noi l’unica Sinistra alle Europee
Caro Guccini,
ho letto la tua intervista all’Huffington Post. Mi è venuta una fitta di nostalgia anche a me. Delle cose perdute. Perfino di quelle mai vissute ma esistite prima di me. Ricordi la poesia di Raffaello Baldini “1938” “mèlnovzèntrentòt”, in dialetto romagnolo, una delle più belle poesie di Baldini in assoluto. Lei, stesa sul letto, con una lacrima agli occhi, fuma una Giubèk, Le Giubèck erano sigarette che andavano, appunto, nel 1938. E mi pare di vederla, senza filtro, scura e pessima di sapore. E lei in effetti non fuma, l’ha accesa anche lei solo per nostalgia del suo uomo, che le fumava, ormai perduto, solo per sentirne l’odore.
Nel 1938 mio babbo era a Ventotene condannato a 8 anni al confino politico dal fascismo. Con lui c’era Altiero Spinelli. Chissà cosa penserebbero mio babbo e Spinelli della nostra Italia dopo quasi 70 anni dalla liberazione del ’45. Penso che avrebbero nostalgia del confino e non solo perché allora erano giovanotti. Nostalgia delle speranze, degli entusiasmi, delle prospettive radiose del futuro.Hai un’età che sicuramente ricorderai un’altra cosa perduta e dimenticata, io lo gridavo con orgoglio: “abbiamo il Partito Comunista più forte dell’occidente capitalistico, abbiamo il sindacato più forte del mondo” ricordi? garanzia di pace, di democrazia, di difesa dei diritti e per conquistarne di nuovi. Abbiamo cominciato a dimenticarli con Craxi alla fine degli anni 80 e poi cancellati definitivamente con l’avvento del ventennio berlusconiano.
Facci caso, quando i partigiani e i loro coetanei sono andati in pensione (o purtroppo morti, per ragioni anagrafiche) togliendosi di mezzo, attorno alla fine degli 80 (Spinelli nell’87, mio babbo nel 93), si sono portati dietro anche i valori politici, etici, morali che rappresentavano. La classe politica che li ha sostituiti è degenerata a livelli inimmaginabili. Al punto che un Presidente della Repubblica (che pure è antico quanto i partigiani) e poi il giovanotto Presidente del Consiglio nonché capo del partito di maggioranza relativa, il PD, accolgono, per programmare la politica italiana, fare le riforme, cambiare la Costituzione, un pregiudicato, un delinquente comune, anzi un “delinquente abituale”, come è scritto nella sentenza che lo ha condannato a 4 anni di carcere per frode fiscale.
Pensa che Berlusconi, condannato, non ha neanche il diritto al voto, cioè lo Stato gli impedisce, anche con il suo semplice voto individuale, di influire nella politica italiana. E ora, col patto Berlusconi-Renzi (“ah ma – dicono loro – non lo facciamo mica di nascosto, lo facciamo alla luce del sole” pensando di dire una cosa intelligente) il fondo è toccato. Siamo nella merda totale. Hai voglia avere nostalgia del vecchio PCI, figurati che io ho perfino nostalgia del primo PD di cui sono fondatore nel 2007 (ci’ho la targa firmata!), nonché eletto nella Assemblea Nazionale. Leggendo la tua intervista mi è venuta nostalgia anche della “locomotiva”, non solo perché ero un giovanotto. Perché immaginavo di esserci sopra e mi illudevo che quella locomotiva che andava e andava, ci avrebbe portato avanti, e non si schiantasse affatto, non proprio che credessimo fino in fondo che trionfasse la “giustizia proletaria” ma che ci fosse una giustizia, un avvenire.
Non era anarchica la mia locomotiva, ho attraversato tutti quei i suoi vagoni: era comunista, FGCI poi PCI, poi PDS, DS, poi PD. Io c’ero sopra, seguendone tutti i risvolti e gli obbiettivi. Finché ho potuto. Ora essa non si è schiantata contro la destra più becere e schifosa dal dopoguerra in qua. No, s’è, invece, incanalata sui suoi binari e ha preso il loro posto.
Una cosa non l’ho capita bene della tua intervista: come sarebbe che taci perché sei un cantante e qualcuno ti ha rimproverato di parlare di politica? I cantanti, come te e Piero Pelù “devono stare zitti e cantare e basta che è il loro mestiere”…?! Però non hai taciuto affatto e hai dichiarato che il tuo voto andrà lì, cioè al PD. Neanch’io, attore, taccio. Prima sono un cittadino, un politico, poi faccio anche un mestiere come tutti (tutti i fortunati che un mestiere ce l’hanno) e parlo, e dico che il PD non c’è più, al suo posto c’è un fantasma impostore e infido, traditore di se stesso (e non sono solo per i famosi 101 capaci di abbattere Prodi). Un PD che riesce in ciò che il berlusconismo non è mai riuscito ad ottenere: abbattimento dei diritti dei lavoratori, dell’articolo 18 (col Job Act non serve più) e, quindi, del sindacato (Renzi non è andato al congresso della CGIL, così come fece solo Berlusconi). Propone una legge elettorale che la nostalgica e dimenticata “legge truffa” del 1953 (ricordi? Che nostalgia…) era uno zuccherino democratico in confronto a quella proposta da costoro e il porcellum, dichiarato incostituzionale, ne era solo un timido assaggio.
Un patto Berlusconi-Renzi che modificherà la Costituzione senza neanche concederci il referendum e avvierà le riforme che considerano il lavoratore non una persona ma una merce, un bullone, un macchinario in mano all’impresa che lo usa come gli pare. Un partito che è utilizzato per servire il capitalismo più pericoloso e antidemocratico che la storia del dopoguerra abbia mai conosciuto, una svolta epocale di cui il PD è primo responsabile. E questo lo poteva fare solo un partito un tempo di sinistra, il PD. E il Job Act lo poteve proporre solo un ex comunista, già Presidente della Lega coop rossa.
Io, attore, parlo e come, e dico che il Pd ha tradito, ferocemente tradito, gli ideali di giustizia, le conquiste fatte, i valori etici e gli obbiettivi per cui era nato e aveva ereditato dal PCI e perfino dall’ala democratica della DC. Il PD è un partito di centrodestra con la quale governa da tre anni e la prospettiva di continuare per altri anni a venire. La lista L’altra Europa con Tsipras è l’unica lista di sinistra alle elezioni europee. E, purtroppo, non è neanche una opinione. Tsipras ha già vinto in Europa, sarà il terzo in quel parlamento, manca solo l’Italia e noi gli manderemo un pugno di deputati. E con il tuo voto, come di tutti coloro che capiscono il pericolo che stiamo vivendo, supereremo di gran lunga il 4%, soglia messa per salvaguardare il potere di chi il potere ce l’ha. E il voto al PD, magari fosse solo inutile, esso è dannoso e metterebbe una pietra tombale alla sinistra in Italia.
Temo che i deflettori nelle auto non torneranno più, ed erano così comodi e utili. Ma tutto cambia e la nostalgia canaglia non ci impedirà di parlare forte, di urlare, anche in dialetto: adès bàsta!
Ciao e vota bene con la sinistra.
Ivano Marescotti
(13 maggio 2014)

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Sabato 10 maggio 2014 (-15)

La rivoluzione passiva. Le tangenti all’Expo possono decidere il voto europeo (per restare al breve).
Sono costretto a smentirmi. Finora non solo non è una campagna elettorale spettacolare, ma non c’è ancora stata una vera campagna, solo una sempre più frequente presenza televisiva da parte di due protagonisti e qualche sparata sempre più greve da parte del terzo. Spettacolo, zero.
Però dopo gli arresti di giovedì 8, legati all’Expo di Milano, forse le acque si agiteranno un po’ di più. In Italia sembra infatti che la campagna non si faccia per eleggere i deputati al parlamento europeo, discutendo finalmente di cosa vogliamo fare in quelle istituzioni, ma che lo scontro sia a tre, come dicono, ma in realtà a due, tra Grillo e Renzi.
L’ultimo sondaggio  (Lorien Consulting) dà sempre quest’ultimo sopra di almeno dieci punti: Pd 34%, M5S 23%. Con le destre al 29% (FI 19%, Ncd+Udc 6,5%, Fratelli d’Italia 3,5%). Gli altri sono: Tsipras 4%, Scelta Europea 2,5% e rimanenti al 2.0%. Ma a questo sondaggio ha risposto solo il 58% degli interpellati. E stiamo parlando di sondaggi con un migliaio di risposte. Le percentuali si possono muovere solo per ragioni statistiche di tre punti, su o giù.
“Si parla del possibile successo del Movimento 5 stelle ovviamente. Lo spettro che mette i brividi è quello del sorpasso. Una cosa impensabile fino  a pochi giorni, con i grillini quotati dieci punti dietro il Pd.” – Così scriveva ieri Francesco Bei su la Repubblica, in margine alle cronache giudiziarie.
C’è da scommetterci che si parlerà poco anche di questo, soprattutto in tv.

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Martedì 15 aprile 2014 (-40)

Sarà una campagna elettorale spettacolare, non c’è dubbio.
Renzi sta completando il materiale per le slides europee. Dopo le liste Pd con tutti i capolista donne e le nuove nomine delle maggiori società pubbliche (Eni, Enel, Finmeccanica, Poste Italiane) con ben tre donne su quattro alla presidenza (ma nessuna ad), deve incassare ancora qualche certezza tecnica (p.es. sugli 80 euro in busta paga a fine maggio e sulla riforma del Senato), poi tornerà in tv tutti i giorni (ci scommetto che andrà anche da Santoro).
Berlusconi sa finalmente che si occuperà di anziani a Cesano Boscone, quattro ore la settimana. Ma potrà stare nella sua abitazione di Roma anche tre giorni su sette. Diamo per certo che cercherà di trasformare anche questa merda in un bignè (scusate l’espressione, ma mi torna in mente L’Aquila terremotata, un bignè per pochi). Punterà sul voto degli anziani, piuttosto abbondanti.
Grillo invece ha deciso di vestire i vecchi panni del pagliaccio, quello che può dire qualsiasi cosa perché ne ha l’abito. E sul suo blog ha avviato la campagna elettorale taroccando la portineria di Auschwitz e parodiando Se questo è un uomo di Primo Levi. Ma ha fatto sapere che è una maniera per onorarlo, sono gli ebrei italiani che non hanno capito il gesto. E su internet i simpatizzanti grillini si sdegnano di tanto sdegno. Insomma, siamo alle manovre per fare fronte, con tutti mezzi: “l’unica alternativa siamo noi”.
Prepariamoci dunque alla campagna elettorale più spettacolare della storia. No? Ve ne vengono in mente tante altre? Be’ accontentiamoci dei pagliacci. In fondo, basta non votarli.

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Sabato 5 aprile 2014 (-50)

Tsipras ma un’altra Europa è possibile?
«La storia dell’umanità è piena di sogni che sono diventati realtà. Queste elezioni sono un inizio potente per rifondare l’Europa.»
(Intervista di Alessandra Longo su la Repubblica del 3 aprile 2014)

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