Mariana Mazzuccato è un’italiana che insegna in un’università inglese. Ha pubblicato di recente un libro che ha avuto u successo internazionale ed è stato pubblicato anche in Italia: Lo stato innovatore (Laterza, Roma-Bari 2014). L’intervista qui sotto riportata ne sintetizza già il senso. (Le evidenziazioni sono mie.)
Mariana Mazzuccato: «E’ l’idea di pubblico che va ripensata»
Intervista a cura di m.fr.
In Italia non sappiamo più parlare di pubblico. Dire che serve un “new Deal” è scontato. Ma oltre agli investimenti pubblici e privati mancano anche buoni “deal” fra pubblico e privato, dove si sono messi assieme, le partnership, non funzionano per lo stesso motivo: il pubblico è visto come negativo. Nel resto del mondo non è così».
Mariana Mazzucato usa il «noi» perché è italiana di nascita («sono stata qui fino ai 5 anni») ma lavora alla Sussex University di Brighton (Inghilterra) ed ha studiato negli Stati Uniti, dove il padre è emigrato per insegnare fisica a Princeton (New Jersey). Proprio dall’America parte l’analisi del libro (“Lo Stato innovatore”) con cui ha avuto notorietà internazionale sfatando il mito del privato: la Silicon Valley (Google, Apple e via dicendo) sono nate per un finanziamento statale.
Professoressa Mazzucato, perché l’Italia non ha più politica industriale?
Il problema viene da lontano. C’era già prima dell’Euro e prima della crisi. In Italia il settore pubblico è visto come totalmente e senza innovazione non succederà niente di buono. Una delle sfide è ricreare il concetto di pubblico. Poi bisogna capire che l’intervento dello Stato non è solo socilizzazione del rischio, ma anche possibilità di ricavi per le casse pubbliche.
Renzi riuscirà ad invertire una tendenza così consolidata?
Renzi è tornato dalla Silicon Valley, ha detto: «Ho capito tutto” e ha fatto il Jobs act. Quindi non ha capito niente. In America il governo ha orientato una incredibile catena di innovazione perché rispetto al cosidetto “venture capitalism” che finanzia le start up più innovative, ma vuole ottenere profitti entro tre anni, non ha scadenze. Lo dimostra il fatto che esistono star up finanziate dallo Stato che sono fallite — come Solyndra — ma in generale sono stati dati finanziamenti da centinaia di milioni di dollari a idee che non li avrebbero avuti dai privati. Qui in Italia lo Stato sussidia, incentiva, si limita a questo. E sbaglia. Perché non è vero che il privato investe solo se si abbassano le tasse.
Tutto è legato però ai vincoli di bilancio imposti dall’Europa.
Obama nel 2009 andò in deficit del 10 per cento e costrinse Marchionne ad investire sui motori ibridi: gli effetti si vedono ora con crescita al 5 per cento e disoccupazione al minimo. Il vincolo del 3 per cento deficit/Pil è stupido, va eliminato subito. In più vanno usati tutti e bene i 16 miliardi di fondi strutturali europei.
Quali campi industriali in Italia potrebbero essere i primi in cui proporre investimenti statali?
Tutti. Nessun escluso. Se la Danimarca che ha 4 milioni di abitanti è il paese più avanzato in fatto di provider, perché l’Italia non lo può essere?
Ma se toccasse a lei decidere, da quale piano partirebbe? La Fiom propone di fare dell’Italia la piattaforma logistica del mediterraneo, legandola alla costruzione di navi, auto, autobus ecocompatibili…
È un ottimo esempio, fattibile mettendo tutti gli attori in gioco attorno ad un tavolo e studiano un piano. La suburubanizzazione negli anni ’40 ha aiutato l’industrializzazione. Oppure il cibo e l’industria agro alimentare: Carlin Petrini mi ha chiamato a parlare alla sua università su questo. Ma poi io non penso solo all’industria: l’Italia è unica per disseminazione dell’arte. E invece attrae pochissimi studenti dal resto del mondo in questo campo dove potrebbe seguire l’esempio dell’Inghilterra nella scienza. Io proporrei poi un “piano verde” che leghi l’informatica, l’elettricità, dove l’Italia è ferma da 15 anni.
(il manifesto, 15 gennaio 2015)