Una riforma forse troppo semplice

Finalmente anche in Italia si parla del reddito minimo. Riporto dal blog di Alessandro Gilioli, sempre molto chiaro.

Riforme
di Alessandro Gilioli
Dopo essere stato per anni considerato una richiesta da estremisti, il reddito minimo è finalmente entrato nel dibattito politico come un’opzione percorribile, di cui è il caso di occuparsi in fretta. Solo negli ultimi giorni, ad esempio, la sua urgenza è stata notata da dall’economista presidente dell’Inps Tito Boeri e dal fondatore di Repubblica Eugenio Scalfari: due di certo non sospettabili di simpatizzare per il Movimento 5 Stelle o per la sinistra radicale, le uniche aree che finora l’hanno proposto, anche in Parlamento.
Un reddito minimo, in varie forme, esiste in quasi tutta Europa ed è anche una di quelle cose che ci chiede l’Europa: con una raccomandazione del 1992 e con una risoluzione del 2010.
In passato si era detto favorevole a forme di sostegno di questo tipo anche l’ex direttore di Confindustria Innocenzo Cipolletta, come misura per rilanciare i consumi e la crescita.
Il dibattito in merito è approfondito da tempo, la letteratura è vasta e le simulazioni quasi infinite. Nonostante questo, c’è ancora chi vi si oppone di solito per motivi di scarsissimo studio: ancora oggi sentivo alla radio Claudio Velardi sostenere che il reddito minimo “disincentiva al lavoro”, segno che non ha mai letto nemmeno un rigo delle diverse ipotesi di modalità con cui entrerebbe in funzione questa legge, che se scritta decentemente avrebbe esattamente l’effetto opposto a quello temuto.
Altra argomentazione sollevata di frequente è quella delle “coperture”, ma pure qui le proposte in merito sono diverse e spesso serie: anche quella M5S, ad esempio, cita le possibili entrate o minori uscite che sosterrebbero le spese, dai tagli alle forze armate all’azzardo. Tra le altre cose, se ha ragione Cipolletta nel sostenere che il reddito minimo avrebbe effetti espansivi, è evidente che questi avrebbero a loro volta conseguenze positive per il bilancio dello Stato, diminuendo quindi l’impatto di spesa del reddito minimo stesso.
In realtà sia l’alibi delle coperture sia le riserve di tipo culturale sono figlie di scelte politiche a tutto tondo: il reddito minimo sarebbe il primo grande provvedimento che va nel senso opposto a tutti quelli che abbiamo visto negli ultimi anni, il cui scopo ed effetto è stato quello di spostare i rapporti di forza a favore dei più forti e a sfavore dei più deboli. Sarebbe cioè la prima vera inversione di tendenza rispetto alla lotta di classe dall’alto verso il basso che da trent’anni a questa parte ha impoverito il ceto medio riducendo nel contempo i diritti e le condizioni di quelli più bassi.
Sarebbe insomma, una “riforma”. Parola bellissima che da tempo, nella narrazione d’establishment, è stata tristemente e dolosamente rovesciata nel suo contrario.
(Dal blog “Piovono rane” – www.repubblica.it)
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