(Segue da Cosa ci lascia il 2013)
Ho usato un’espressione molto semplice per definire il 2013. Ma dopo un anno simile cosa ci può dare l’anno seguente?
Vediamo solo alcuni tra i principali aspetti politici:
(1) Il vecchio mondo (Ue, Bce, Napolitano, Letta) ha fatto di tutto per peggiorare la situazione, facendo salire un’altra volta anche la destra sociale (quella economica non ha niente da lamentarsi);
(2) Un nuovo münchhausen (Grillo) aspetta il momento opportuno per tirarsi su usando sempre il proprio codino;
(3) Il nuovo che avanza (Renzi) ha idee standard – liberismo e leaderismo – e appoggi strepitosi, quindi vincerà tranquillamente e non cambierà nulla.
Dunque, cosa ci possiamo aspettare dal nuovo anno? Personalmente, nessun cambiamento importante. Non resta che uscire dagli schemi, o tornare all’antico. Per esempio il classico Friedrich Hölderlin (1770-1843) che scriveva: “Ma dove è il periodo, cresce/ Anche ciò che dà salvezza.” (“Wo aber Gefahr ist, wächst/ Das Rettende auch.” – in Almanacco delle muse per l’anno 1808).
Così, aspetto il periodo. Potrebbe essere la prossima primavera. Il 25 maggio si rinnoverà il Parlamento Europeo, lì potrebbe esserci un piccolo, ancora debole, segnale di cambiamento. Tutto nasce piccolo in natura e nella storia dell’uomo, poi può crescere. Io punto lì, su questo segnale debole e su questa crescita.
Certo non sono solo, anzi, la cosa è ormai più che matura. Cito da un fonte tanto poco estremista:
L’evidente e urgente necessità è quella che l’Europa abbandoni la sua politica legata alle disuguaglianze e alle avventure del capitalismo finanziario, dei pareggi di bilancio e delle politiche di austerità e che riprenda la strada della difesa dei diritti fondamentali, rovesciando la priorità da un Leviatano tecno-amministrativo per puntare su un’Unione europea democratica.
Si potrà così liberare dai populismi e dai tentativi autocratici che stanno emergendo nei vari Paesi e giungere a un’autentica sovranità democratica europea, non impostata sull’economia e sulla difesa della ricchezza del capitale finanziario a svantaggio dei diritti dei cittadini, come avrebbe voluto il giudice della Corte Suprema americana Louis Brandeis, che un secolo fa ricordava: «Si può avere la democrazia oppure un’enorme ricchezza concentrata nelle mani di pochi, ma non si può avere le due cose insieme».
(Guido Rossi, “La scommessa vincente della democrazia contro la crisi“, Il Sole 24 Ore del 29-12-2013.)
Guido Rossi, con altri intellettuali ha firmato anche questo appello:
Al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano
Al Presidente del Consiglio dei Ministri, Enrico Letta
Al Presidente della Commissione Europea, José Manuel Barroso
Al Governatore della Banca Centrale Europea, Mario Draghi
La crisi dura ormai da sei anni. Innescata dalla povertà di massa figlia di trent’anni di neoliberismo, esaspera a sua volta povertà e disuguaglianza. Moltiplica l’esercito dei senza-lavoro. Distrugge lo Stato sociale e smantella i diritti dei lavoratori. Compromette il futuro delle giovani generazioni. Produce una generale regressione intellettuale e morale. Mina alle fondamenta le Costituzioni democratiche nate nel dopoguerra. Alimenta rigurgiti nazionalistici e neofascisti.
Concepita nel segno della speranza, l’Europa unita arbitra della scena politica continentale rappresenta oggi, agli occhi dei più, un potere ostile e minaccioso. E la stessa democrazia rischia di apparire un mero simulacro o, peggio, un pericoloso inganno.
Perché? È la crisi come si suole ripetere la causa immediata di tale stato di cose? O a determinarlo sono le politiche di bilancio che, su indicazione delle istituzioni europee, i paesi dell’eurozona applicano per affrontarla, in osservanza ai principi neoliberisti?
Noi crediamo che quest’ultima sia la verità. Siamo convinti che le ricette di politica economica adottate dai governi europei, lungi dal contrastare la crisi e favorire la ripresa, rafforzino le cause della prima e impediscano la seconda. I Trattati europei prescrivono un rigore finanziario incompatibile con lo sviluppo economico, oltre che con qualsiasi politica redistributiva, di equità e di progresso civile. I sacrifici imposti a milioni di cittadini non soltanto si traducono in indigenza e disagio, ma, deprimendo la domanda, fanno anche venir meno un fattore essenziale alla crescita economica. Di questo passo l’Europa la regione potenzialmente più avanzata e fiorente del mondo rischia di avvitarsi in una tragica spirale distruttiva.
Tutto ciò non può continuare. È urgente un’inversione di tendenza, che affidi alle istituzioni politiche, nazionali e comunitarie il compito di realizzare politiche espansive e alla Banca centrale europea una funzione prioritaria di stimolo alla crescita.
Ammesso che considerare il pareggio di bilancio un vincolo indiscutibile sia potuto apparire sin qui una scelta obbligata, mantenere tale atteggiamento costituirebbe d’ora in avanti un errore imperdonabile e la responsabilità più grave che una classe dirigente possa assumersi al cospetto della società che ha il dovere di tutelare.
*** Étienne Balibar, Alberto Burgio, Luciano Canfora, Enzo Collotti, Marcello De Cecco, Luigi Ferrajoli, Gianni Ferrara, Giorgio Lunghini, Alfio Mastropaolo, Adriano Prosperi, Stefano Rodotà, Guido Rossi, Salvatore Settis, Giacomo Todeschini, Edoardo Vesentini
(il manifesto, 22 dicembre 2013)