Decrescita, la parolina difficile ma giusta

Anche sotto Ferragosto c’è qualcuno che riflette seriamente sui massimi sistemi partendo dalle notizie quotidiane. Propongo quindi l’articolo di Tonino Perna che prende lo spunto dalle nuove stime del Pil nazionale.

Per inciso, sia sul giornale cartaceo che sul digitale online, la parola decrescita non c’era… Tant’è che l’ho messa io tra parentesi quadra. Un atto mancato piuttosto chiaro. Perfino per un giornale come il Manifesto resta ancora una parola che non esiste sul dizionario giornalistico e scartata dal correttore, automatico o meno.

Vivere al tempo della «cre­scita zero»
di Tonino Perna
Come vole­vasi dimo­strare! L’Istat ha cer­ti­fi­cato quello che con­su­ma­tori, lavo­ra­tori e impren­di­tori spe­ri­men­tano nella vita mate­riale: siamo ancora in reces­sione ed al più pos­siamo aspi­rare ad una «cre­scita zero».
Dal 2007 l’abbiamo detto e scritto in tanti su que­sto gior­nale: la cre­scita eco­no­mica, la ripresa della nostra eco­no­mia, è una pura illu­sione. Spec­chietto per i giornalisti-allodole che, incre­di­bil­mente, ci cascano ogni anno.
Dopo la dura reces­sione del 2009, 2011–2013, il mas­simo che ci pos­siamo aspet­tare è una cre­scita zero per quest’anno e per il pros­simo. Ma, par­titi e sin­da­cati, dei lavo­ra­tori e degli indu­striali, insi­stono: ci vogliono misure per la cre­scita. Nes­suno vuole pren­derne atto, per­ché la «cre­scita zero», peg­gio ancora la reces­sione, ha un effetto dirom­pente, fa sal­tare equi­li­bri sociali e visioni del mondo che hanno fatto da col­lant per tutto il Nove­cento. Il capi­ta­li­smo senza la cre­scita eco­no­mica avrebbe perso il con­senso della popo­la­zione, il suo mastice sociale. È, infatti, sul piano quan­ti­ta­tivo dello svi­luppo eco­no­mico che il capi­ta­li­smo ha vinto la sua gara con il socia­li­smo reale, è gra­zie alla cre­scita eco­no­mica che si è rag­giunta, in pas­sato, una pax tra le classi sociali in base all’ideologia, forte e vin­cente, che solo l’allargamento della torta avrebbe per­messo il benes­sere per tutti. Chi par­lava di ridi­stri­buire «hic et nunc» la ric­chezza esi­stente, veniva accu­sato di essere un ideo­logo e di volere impo­ve­rire tutti!
Secondo il noto geografo-economista David Har­vey il sistema capi­ta­li­stico, a livello glo­bale, abbi­so­gna di un tasso di cre­scita, nel medio-lungo periodo, di almeno il 3 per cento per ripro­dursi. Finora que­sto tasso è stato assi­cu­rato dalla cre­scita soste­nuta dei Brics e di alcuni paesi «emer­genti» del sud del mondo (Africa sub-sahariana, sudest asia­tico ed Ame­rica Latina). In Occi­dente, solo gli Usa hanno avuto un tasso medio di cre­scita poco al di sotto del 3 per cento , gra­zie alla «droga» della liqui­dità in dol­lari immessa nel sistema dalla Fed negli ultimi tre anni. Così anche il Giap­pone, dopo quasi vent’anni di cre­scita zero, ha visto una ripresa della sua eco­no­mia gra­zie ad un incre­mento abnorme del suo debito pub­blico, che per scelta poli­tica intel­li­gente rimane nelle mani dei giap­po­nesi. In estrema sin­tesi: l’analisi dell’ultimo ven­ten­nio ci dice che le società occi­den­tali a capi­ta­li­smo maturo sono entrate nel grande lago della sta­gna­zione. Pos­sono cer­care di venirne fuori ricor­rendo alla droga finan­zia­ria, ma in que­sto modo creano nuove bolle spe­cu­la­tive che prima o poi esplo­dono e por­tano alla reces­sione. Non se ne esce e biso­gna pren­derne atto.
Siamo entrati, infatti, nell’era della Lunga Stagnazione/Recessione, per ora a livello di paesi occi­den­tali. Sta­gna­zione eco­no­mica che non può che pro­durre i suoi effetti sul piano sociale e poli­tico. Se lo svi­luppo eco­no­mico poteva ane­ste­tiz­zare i con­flitti sociali, con­durli nell’alveo della con­cer­ta­zione tra le parti sociali, la stagnazione/recessione li fa esplo­dere in forme e tempi impre­ve­di­bili. Allo stesso tempo sul piano isti­tu­zio­nale, le vec­chie forme della demo­cra­zia rap­pre­sen­ta­tiva non reg­gono più in que­sta fase, soprat­tutto nei paesi come il nostro con una mon­ta­gna di debito pub­blico da sca­lare. Per soprav­vi­vere alla Lunga Reces­sione il capi­ta­li­smo finan­zia­rio abbi­so­gna di appro­fon­dire lo sfrut­ta­mento di risorse natu­rali e spazi vitali, deve ten­tare di mer­ci­fi­care ciò che finora è sfug­gito al suo con­trollo. Le isti­tu­zioni demo­cra­ti­che sono diven­tate un osta­colo, la demo­cra­zia un lusso dei bei tempi pas­sati, della fase dello svi­luppo economico.
Pren­dere coscienza che siamo entrati nella fase della «cre­scita zero» signi­fica che per dare un futuro ai disoc­cu­pati, agli impo­ve­riti, agli eterni pre­cari, biso­gna con­di­vi­dere la torta che c’è, miglio­rarne la qua­lità, ma non pen­sare più che si possa ancora pun­tare ad una sua cre­scita. La poli­tica eco­no­mica ade­guata a que­sta fase è una sola: Ridi­stri­bu­zione. Dei red­diti, del lavoro, delle oppor­tu­nità. Una poli­tica fiscale vera­mente pro­gres­siva che riduca i gra­vami fiscali alla base della pira­mide sociale, una poli­tica di ridu­zione pro­gres­siva dell’orario di lavoro, una poli­tica che valo­rizzi le capa­cità ed i talenti all’interno di un grande pro­getto di innal­za­mento cul­tu­rale del nostro paese. Que­sto non signi­fica che non dob­biamo più aspi­rare ad avere un piano indu­striale, legato ad una stra­te­gia di ricon­ver­sione eco­lo­gica, che ci porti a for­mu­lare un qua­dro di inter­venti mirati. Signi­fica che non pos­siamo più pen­sare di risol­vere i nostri più assil­lanti pro­blemi aspet­tando Godot , cioè pun­tando solo sulla Crescita.
Ma, prima di tutto, abbiamo biso­gno di uscire dal pen­siero unico dello Svi­luppo Eco­no­mico come alfa ed omega della società, unico scopo dell’agire sociale. In breve: essere capaci di vivere meglio con meno. È lo slo­gan da anni soste­nuto dai teo­rici e dai mili­tanti della [decrescita], che finora poteva essere visto come un bel giar­dino dell’utopia per pochi eletti.
La dura realtà della Lunga Reces­sione ci pone di fare i conti con que­sto obiet­tivo, sia a livello macro che micro, di tra­durlo in atti con­creti. Sia nelle scelte di poli­tica nazio­nale ed euro­pea, che nelle ammi­ni­stra­zioni locali, quanto a livello di vita quo­ti­diana. I segni di que­sto cam­bia­mento radi­cale di pro­spet­tiva sono dif­fusi in tanti ter­ri­tori – dalle «imprese recu­pe­rate» ai «distretti dell’economia soli­dale» — ma si tratta di fare un salto di qua­lità , che coin­volga l’intera società.

(il manifesto, 9 agosto 2014)

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