Exit strategy

Stamane sono rientrate le salme dei quattro alpini uccisi in Afghanistan, mentre su la Repubblica leggo: “La situazione reale dell’Afghanistan è di una linearità imbarazzante. Nessun contingente è male armato, la Nato soffre di eccesso di potenza e non di carenza di mezzi. Ci sono già troppi bombardieri e Karzai è perdente proprio perché si bombarda troppo e senza curarsi delle vittime. La Nato e gli Stati Uniti non sanno cosa fare e i nostri soldati ‘non ci capiscono più niente’ perché la strategia è inefficiente: non ci sono idee e nessuno crede più a quelle finora propagandate. In queste condizioni i nostri soldati continueranno a morire senza sapere perché e per chi. In compenso questo lo sa chi, parlando di più aerei, portaerei, carri armati e bombe, manda messaggi incoraggianti a chi su queste cose e sui morti ci specula.” (parole di Fabio Mini, che è un generale della Riserva, come si dice fra i militari – cioè in pensione).

Lo sa anche la mia cagnetta che l’Afghanistan non è un posto governabile con le armi. A Barack Obama hanno dato il Nobel per la pace 2009, quindi il suo obiettivo obiettivo strategico è senz’altro la pace. Penso di scrivere una mail alla Casa Bianca per proporre Billa come capo delle truppe. Lei sa come uscire da questa situazione.

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Una risposta a Exit strategy

  1. Matteo scrive:

    Significativo sentire al GR1 le dichiarazioni dei cittadini italiani in visita alla camera ardente, frasi del tipo “sono morti per difendere i nostri valori”, “se non fossero là il terrorismo arriverebbe anche da noi”. Ho sempre pensato che il miglior modo di risolvere un problema fosse quello di cercare di risalire alle cause, sono cresciuto con la martellante pubblicità di “prevenire è meglio che curare”, che poi è un’ottima definizione di sostenibilità. Ma la politica internazionale, mi pare, abbia da lungo tempo (se mai lo ha fatto) rinunciato di risalire alle vere cause dei problemi.
    La nostra è una società con un pelo sullo stomaco davvero lungo, se accetta di mandare a morire la sua gioventù disoccupata in patria sparando per difendere a migliaia di chilometri di distanza un modo di vivere insostenibile e assetato di risorse.

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