Ieri il discorso più applaudito alla cerimonia per salutare Nelson Mandela è stato naturalmente quello di Barack Obama che in molti passaggi non ha nascosto di parlare di un grande lottatore, anzi, ma ad un certo punto ha sostanzialmente spostato l’attenzione affermando che “Mandela ci ha insegnato il potere dell’azione, ma anche delle idee”.
In realtà la biografia di Mandela è la biografia del Novecento, almeno nella sua seconda parte. Occultare la sua formazione marxista, la sua attività come organizzatore della lotta armata, il suo schierarsi con personaggi come Fidel Castro o Gheddafi, etc., non ci aiuta certamente a capire né lui né il mondo attuale. Trasformare un combattente in un idealista non sarebbe certo una novità storica, ci sono passati di lì quasi tutti i personaggi che rimangono un mito, ma con Mandela – che non è né morto in carcere né stato assassinato – sarebbe un’operazione veramente difficile.
Certo da questo africano ci torna ancora rinnovato un messaggio sul fondamento dell’individuo e della società: si è liberi – anche in carcere – se si è legati alla propria comunità, alla propria gente, al proprio paese, non se si è a piede libero ma si accettano le ingiustizie, il dominio, la schiavitù, né di pochi né di tanti. (Poi anche per questi, se vinci sarai un eroe, se perdi sarai un martire della libertà.) Si è liberi e non schiavi se si è liberi dentro.