Su la Repubblica di oggi un articolo di Federico Rampini, “La crescita. L’Europa non sta agganciando la ripresa schiacciata tra austerità e moneta forte”, ci racconta cosa sta accadendo ai vertici dei massimi protagonisti della politica economica mondiale.
Ci racconta delle manovre americane, in atto da un bel po’, attraverso la Federal Reserve, uno strumento fondamentale della Casa Bianca (“è evidente la convergenza tra la strategia della Fed e l’agenda politica di Barack Obama”). Ci racconta delle manovre, più recenti, della Banca del Giappone, che sta comprando molti euro aumentandone così il valore e deprezzando lo yen. Insomma è il classico tentativo di favorire la competitività delle merci interne e quindi confermare la crescita economica, spostando così e finalmente anche gli interessi finanziari dai bond alle azioni.
L’autore, un’autorità come cronista economico, sottolinea che queste manovre monetarie sono anche accompagnate da politiche keynesiane, cioè spesa pubblica in grandi opere. Dunque, niente di nuovo sotto il sole, salvo il recupero del diabolico aggettivo “keynesiano”, usato sempre più di nascosto.
Alla fine Rampini confronta queste mosse con la “perma-austerity“, citando Wolfgang Munchau del Financial Times, cioè l’austerity permanente già messa in programma dalla Germania per il 2014 (!), “per rispettare l’obbligo costituzionale di pareggio strutturale del bilancio pubblico”. Le conseguenze per l’Eurozona sono intuibili.
Se non ci fermiamo dunque alle schermaglie verbali della campagna elettorale italiana, dove tutti sono certamente per la crescita, possiamo vedere che è in atto a livello mondiale un partita che noi non giochiamo neppure. Siamo come il giocatore spedito dall’allenatore in tribuna. Se è della squadra vincente, se ha qualche buona rendita, ci guadagnerà comunque qualcosa, altrimenti si dividerà con i suoi compagni solo l’ennesima umiliazione.
Ma forse è giunto il momento di cambiare gioco e non solo di partecipare o assistere alla solita partita.