Il 22 settembre sono cinque anni che è morto André Gorz, che è senz’altro diventato un po’ più famoso per le circostanze della morte che per la sua vita e le sue opere e che viene presentato su Wikipedia come “filosofo e giornalista francese, fondatore dell’ecologia politica”, una sintesi forse necessaria ma piuttosto forzata.
Come molti intellettuali di origine mitteleuropea vissuti tra le due guerre mondiali, Gorz non ha infatti una nazionalità esclusiva, ha cambiato nome almeno tre volte: nato Gerhart Hirsch a Vienna nel 1923, per occultare l’origine ebraica è stato battezzato come Gerhard Horst nel 1930, diventa poi Gérard per lo stato civile francese e il giornalista francese Michel Bosquet alla fine degli anni Cinquanta, quando aveva già pubblicato i suoi primi libri come André Gorz. Con questo cognome finale torna almeno un po’ alle sue origini, poiché Gorz è Gorizia in tedesco, il luogo in cui il padre produceva e commerciava legname.
Ma Gorz non ha neanche fatto un solo mestiere intellettuale e non ha fondato alcuna scuola, lasciando comunque un’eredità non facilmente valutabile. Io credo che nel suo caso si debba parlare piuttosto di un profeta, nel senso di un pensatore troppo in anticipo sui suoi tempi e che l’impone l’uso del suo linguaggio e delle sue tesi più di una generazione dopo.
Ha avuto anche dei maestri riconosciuti o comunque dei fari luminosi importanti. Prima Jean Paul Sartre, dal 1946, poi Ivan Illich, a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta. E un mondo enorme di contatti e confronti. Ma la sua vera e totale convivenza, fisica, intellettuale e morale è stata quella con Dorine, la ragazza inglese (Doreen Kahn si chiamava) conosciuta a Losanna nel 1947. Lui odiava il tedesco e tra loro parlarono sempre inglese e soprattutto in quella lingua lavorarono insieme, lei nella ricerca, lui nella stesura dei testi francesi che firmava da solo.
Il racconto della loro vita, del loro rapporto, che anticipa di poco la loro fine, è però prodotto solo da André nella Lettre à D. Histoire d’un amour, pubblicata nell’ottobre del 2006 (tradotta in Italia da Sellerio nel 2008). Dorine è malata da molti anni. Finita l’età feconda aveva scampato un cancro, ma un’analisi clinica con mezzo di contrasto l’aveva avvelenata e subiva così la “nemesi medica” di una malattia degenerativa e irrimediabile. Nella lettera André scrisse chiaramente che non l’avrebbe mai accompagnata da morta. E infatti, a Vosnon, un villaggio di 200 abitanti, a venti chilometri da Troyes, che è a 150 da Parigi, dove si erano ritirati da vent’anni, li trovarono morti insieme, con un cartello sulla porta e il lascito inatteso all’associazione di carità protestante che non li aveva mai visti prima.
Dorine e André Gorz, nel sistema gaudioso dei mass media, sono già stati dimenticati, ma non da me. E alla prima occasione vi propinerò anche qualche stilla profetica. E’ una promessa.
Oggi, 26 settembre è l’anniversario della morte di un altro intellettuale di origine ebraica, Walter Benjamin morto nel 1940 a Port Bou in circostanze assolutamente drammatiche.
Se avete mezz’ora di tempo potete ascoltare in podcast la Wikiradio odierna su Rai Tre.