“Unioni civili, l’ipocrisia dei politici cattolici”

Riporto il commento odierno di Diego Marani pubblicato su la Nuova Venezia con lo stesso titolo. Inutile dire che ne condivido il contenuto. (Le evidenziazioni sono mie.)

Le polemiche scatenate dalla questione delle unioni civili e in particolare dal capitolo sull’adozione del figliastro rivelano ancora una volta una grande mistificazione che condiziona indiscussa da ormai troppo tempo la società italiana: la presunta esistenza di un’ opinione cattolica e di un partito cattolico trasversale che la rappresenti. I deputati e senatori di ogni partito contrari alla proposta di legge che permetterebbe alle coppie omosessuali l’adozione di figli, si dicono cattolici e sostengono le loro posizioni in nome del loro credo. E qui sta la grande ipocrisia. Perché se i contrari all’adozione del figliastro e quindi ai diritti degli omosessuali fossero davvero cattolici, dovrebbero sostenere nella loro attività politica tutte le altre posizioni della chiesa cattolica e cioè essere contrari all’uso dei contraccettivi, al divorzio, all’eutanasia, all’aborto e ovviamente rifuggire loro stessi queste pratiche come anche i rapporti sessuali al di fuori del matrimonio, l’adulterio e la masturbazione. Dovrebbero poi andare a messa ogni domenica, rispettare la Quaresima e dal 10 febbraio prossimo consumare un solo pasto al giorno astenendosi dal mangiare carne fino alla Pasqua.

Questo dice il catechismo della chiesa cattolica che non è il Manuale delle giovani marmotte e dovrebbe essere il riferimento per chiunque si professi cattolico. Sennò perde ogni senso dichiararsi cattolico. Ora io mi chiedo quanti dei politici che si dicono cattolici sarebbero pronti a dichiarare pubblicamente che osservano le regole del catechismo cattolico. Probabilmente quasi nessuno e allora ecco dissipata la fantomatica opinione cattolica italiana e la sua rappresentanza politica. E altrettanto probabilmente quasi nessuno avrà davvero letto il catechismo della Chiesa cattolica. Perché chi di loro si professerebbe ancora cattolico se sapesse che la sua religione ammette la pena di morte? Il catechismo di Papa Ratzinger alla voce 2266 dice testualmente: «L’insegnamento tradizionale della Chiesa ha riconosciuto fondato il diritto e il dovere della legittima autorità pubblica di infliggere pene proporzionate alla gravità del delitto, senza escludere, in casi di estrema gravità, la pena di morte». La verità è che la maggioranza dei politici che si definiscono cattolici non conoscono la religione che rivendicano e si servono dell’etichetta cattolica per puro opportunismo. Come la maggioranza degli elettori che dicono di rappresentare, si confezionano una religione fai da te, prendendo dal catechismo solo quello che garba loro e lasciando da parte i dettami troppo scomodi. Ma chi fa questo usurpa il nome di cattolico. Una religione non è una dieta che ognuno si possa adattare a proprio piacimento. È una regola di vita. Questo uso della religione non è solo improprio, è anche profondamente immorale. È un’altra delle tante manifestazioni della nostra superficialità e del nostro pressapochismo che alla fine contaminano ogni nostro agire. Perché se ci si può dire cattolici senza esserlo davvero, allora nulla è definito, tutto è negoziabile. , quindi ad un certo momento falso. Non solo nella religione ma in ogni altro campo del vivere, se crollano i canoni della regola non esiste più nessuna autorità riconosciuta, quindi nessuna legittimità. Anche questo è il relativismo che condanna Papa Francesco.

Bisognerà che una volta o l’altra qualcuno dei fantomatici cattolici italiani abbia il coraggio di dire che il re è nudo, che non c’è nessun partito cattolico in Italia perché non c’è nessun vero cattolico o quasi. Un chiarimento che sarebbe salutare anche per la Chiesa cattolica perché così si libererebbe di questa zavorra di ipocrisia e potrebbe ripartire dai suoi fedeli più consapevoli per portare avanti la riflessione che lancia Papa Francesco quando dice «Chi sono io per giudicare gli omosessuali?».

Alla fine il punto è tutto lì. Una questione di dottrina. Una dottrina antiquata e medievale non può andare d’accordo con le leggi di uno Stato moderno che invece ha bisogno di legiferare sulle nuove realtà che investono la nostra società.

 

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