Cade oggi l’anniversario della nascita di Antonio Gramsci, Nino per i famigliari e gli amici. Nacque infatti ad Ales, nel cuore della Sardegna, il 22 gennaio 1891, centoventicinque anni fa. In realtà ne visse pochi, come sappiamo, perché morì a Roma il 27 aprile 1937, quando ne aveva quarantasei, e dopo dieci anni e mezzo passati tra confino, carceri e cliniche. La sua vicenda umana e politica credo sia nota a chi arriva a questo blog, quindi per ricordarlo – una cosa che faccio con gratitudine – riporterò solo alcune sue parole che mi sembrano, tra le tante, degne di riflessione anche in relazione ai nostri tempi.
E’ opinione molto diffusa in alcuni ambienti (e questa diffusione è un segno della statura politica e culturale di questi ambienti) che sia essenziale nell’arte politica il mentire, il sapere astutamente nascondere le proprie vere opinioni e i veri fini a cui si tende, il saper far credere il contrario di ciò che realmente si vuole ecc. ecc. L’opinione è tanto radicata e diffusa che a dire la verità non si è creduti. Gli italiani in genere sono all’estero ritenuti maestri nell’arte della simulazione e della dissimulazione, ecc. Ricordare l’aneddoto ebreo: «Dove vai?» domanda Isacco a Beniamino. «A Cracovia», risponde Beniamino. «Bugiardo che sei! Tu dici di andare a Cracovia perché io creda invece che tu vada a Lemberg; ma io so benissimo che vai a Cracovia: che bisogno c’è dunque di mentire?». In politica si potrà parlare di riservatezza, non di menzogna nel senso meschino che molti pensano: nella politica di massa dire la verità è una necessità politica, precisamente. (Quaderno 6, § 19)
(Il post ribadisce un testo qui pubblicato il 23 gennaio 2011.)