Chi gioca col terrorismo

naji-el-ali

Aggiungere qualcosa d’interessante al dibattito in corso dopo il 7 gennaio di Parigi non è facile. Personalmente avrei qualche idea poco standard su quanto sta accadendo, sarei portato ad andare alle radici profonde dello stato in cui ci troviamo, ma non posso partire dal fondo, dalla sintesi. Sarebbe anche un esercizio pesante e pretenzioso. Cercherò quindi di raccogliere qualche dato effettuale e di mettere in mostra alcuni elementi meno evidenti nella più ricorrente messa a fuoco.

Primo dato. Proprio la scorsa settimana sul miglior settimanale italiano si pubblicava un articolo di Noam Chomsky, “Il terrorismo globale degli Stati Uniti”, non ancora online, ma di cui esiste un’altra versione in rete. In estrema sintesi e alla fine Chomsky scrive (Internazionale, n. 1084, 9 gennaio 2015, p. 38):

“Con i loro interventi in Medio Oriente e la guerra in Iraq, gli Stati Uniti sono stati i principali responsabili della nascita del gruppo Stato islamico”, spiega l’ex analista della Cia Graham Fuller.

Secondo dato. A Londra a fine agosto 1987 fu assassinato Naji al-Ali. Era un vignettista palestinese e fu colpito alla testa, ma il caso non fu mai risolto giudiziariamente anche se tutti gli indizi e le ricostruzioni storiche arrivano al Mossad, i servizi segreti israeliani. Maji al-Ali era anche il creatore di Handala, un bambino diventato un simbolo della libertà e della resistenza. E anche lui usava nei suoi disegni figure della religione, p. es. Gesù sulla croce che lancia un sasso nell’intifada anticipata (vedi sopra).

Terzo dato. Oggi ho letto un cenno di analisi sociologica e culturale sull’attuale terrorismo jihadista. E’ un articolo su Il Sole 24 Ore che pubblico senza commenti.

Il jihadista che non sapeva l’arabo
di Karima Moual
Coulibaly era analfabeta della lingua “sacra” del suo Dio. È impressionante seguire quei pochi minuti del suo ultimo video, per metà in lingua francese e per l’altra, in arabo. Un francese impeccabile. E come pensare il contrario, Coulibaly è francese. L’arabo classico, la lingua del suo credo, con il quale giura fedeltà al Califfo, e ricorda qualche formula islamica, viene invece balbettato con errori grammaticali e di pronuncia, che il carnefice cerca come un bambino alle sue prime letture, di correggere.
Un’immagine triste ma chiara, di chi abbiamo di fronte. Persone fragili psicologicamente, ma anche prive di strumenti fondamentali per una presa di coscienza libera sui temi religiosi. Uno su tutti la lingua araba, la lingua della loro fede, la lingua sacra del Corano, attraverso la quale poter attingere loro stessi ai testi sacri. Insomma, non dotti di Sharia islamica, ma gente che si vota all’Islam del califfo sulla “parola” del Califfo. Il quale ovviamente si proclama conoscitore della parola di Allah, della sua volontà e del jihad contro gli infedeli.
Il Corano è un testo che da alcuni viene letto come un messaggio di pace e amore e da altri come una minaccia di violenza e terrore. Invece di dibattere su chi abbia ragione o meno, è il caso di domandarsi il perché. Al fondo della questione c’è la “parola”, l’arabo classico, la chiave della conoscenza del testo. Quanti davvero sanno leggere e conoscono la parola di Allah nel mondo musulmano?
Gli ultimi dati dell’Organizzazione araba per l’Educazione, la Scienza e la Cultura (Alecso) hanno stabilito che il tasso di analfabetismo nei paesi arabi ha superato il 19% e riguarda circa 97 milioni di persone. I seguaci dell’Isis e dei movimenti fondamentalisti come Boko Haram combattono dunque in nome di Allah ma sono spesso analfabeti della lingua di Allah. E non solo perché c’è una grande presenza di foreign fighters che arrivano al di fuori della dar al islam (casa dell’Islam) ma proprio per l’alto analfabetismo.
Una questione fondamentale per spiegare anche la crisi stessa dell’Islam nel mondo: l’impossibilità per ragioni culturali di poter avviare un dibattito reale e senza equivoci su cosa significhi essere musulmani nel ventunesimo secolo. La fotografia nitida dei movimenti barbari e fondamentalisti che stanno prendendo piede dalla Nigeria alla Siria è quella dell’anarchia della parola di Allah, che si basa di fondo sull’ignoranza. La crisi d’identità la sta vivendo più di tutti il mondo musulmano, altro che l’Occidente. E l’analfabetismo è un tassello fondamentale. Il mondo musulmano ha perso di vivacità quando ha iniziato a rinunciare alle sue forze critiche .
Michel Houellebecq, lo scrittore che in questi giorni viene criticato o applaudito per il suo romanzo provocatorio nella sua ultima intervista ha detto che «il Corano è decisamente meglio di quello che pensavo, di lettura in rilettura. La conclusione più evidente è che i jihadisti sono cattivi musulmani» . Ecco, forse la chiave del problema è proprio la lettura. Saper leggere e capire un testo.

Quarto dato. A proposito del libro Sottomissione di Michel Houellebecq, in uscita anche in Italia in questi giorni, il 5 gennaio, quindi prima della strage al Charlie Ebdo, il Corriere della Sera ha pubblicato un’intervista a Michel Onfray dove proprio alla fine si può leggere:

Evocando l’islam, Houellebecq agita un fantasma molto presente nella Francia di oggi, come dimostrano i libri di Alain Finkielkraut e Éric Zemmour. È giustificata, questa preoccupazione dell’identità?
«Ricorrere alla parola fantasma è già un modo di prendere una posizione ideologica. Esiste una realtà che non è un fantasma e che coloro che ci governano nascondono: divieto di statistiche etniche sotto pena di farsi trattare da razzisti ancor prima di avere detto alcunché su queste cifre, divieto di rendere note le percentuali di musulmani in carcere sotto pena di farsi trattare da islamofobi al di fuori di qualsiasi interpretazione di queste famose cifre, eccetera. Non appena si nasconde qualcosa, si attira l’attenzione su quel che è nascosto: se non esiste che un fantasma, allora che si diano le cifre, saranno loro a parlare…».

Insomma, per fermarci a questi primi quattro dati, pare proprio che (1) il terrorismo e (2) l’assassinio dei disegnatori non sia un’invenzione jihadista, che (3) il legame culturale dei terroristi jihadisti con il Corano sia piuttosto labile (ci torneremo) e che (4) forse in Francia hanno qualche ragione speciale, più interna, per preoccuparsi dei musulmani. Perciò anche lì non credo che tutto si risolverà con la grande manifestazione di domenica 11 gennaio, dove c’erano quasi tutti i grandi del mondo in testa al corteo, forse troppi. Ma non c’erano gli Usa.

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