L’importanza di un bel film

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Da qualche settimana è nelle sale cinematografiche il film di Mario Martone “Il giovane favoloso“, il primo sulla figura di Giacomo Leopardi (1798-1837). E sta facendo incassi notevoli.

La pellicola fu proiettata all’ultima mostra del cinema di Venezia, ricevendo l’applauso del pubblico, ma non premi o segnalazioni. E’ frutto di un lavoro di ricerca lungo sia del regista napoletano che dell’attore interprete principale, Elio Germano, molto convincente nel ruolo, non semplice, del protagonista principale.

La sceneggiatura è essenziale, come biografia e come rappresentazione del pensiero e della poesia leopardiani. Anticipando il giudizio, direi che entrambe sono assai selettive, ma forse non è possibile fare di più in 137 minuti. La proiezione comunque trasmette allo spettatore una forte emozione (dopo l’ultima scena, gli spettatori perlopiù restano immobili sulla sedia ed escono silenziosi come non mai) e probabilmente il desiderio di tornare a leggere il grande protagonista come fosse uno di noi, un nostro compagno. Qualcuno pensa che questa sia un’impostazione troppo didattica? Forse dimentichiamo in che tempi viviamo. Far tornare l’interesse su Leopardi è un po’ poco per un film? A me pare invece che questa sia la cosa più difficile ed importante che ci lascia questo bel film.

La storia si svolge in tre luoghi, anche se in realtà il poeta ha avuto quattro grandi momenti spazio-temporali nella sua pur breve e tribolata vita. E’ quasi normale semplificare dicendo che visse a Recanati fino al 1830, poi tre anni a Firenze (1830-33) e gli ultimi quattro (1833-37) a Napoli. Ma in realtà tra il 1822 ed il 1830, partendo e rientrando da Recanati, girò un po’ l’Italia, prima Roma, poi Milano, Bologna, Pisa.

In particolare, a Bologna, dove visse quasi due anni tra il 1825 ed il 1827, fece l’unica vera esperienza lavorativa curando per l’editore Stella la “Crestomazia” (cioè antologia) della prosa prima e della poesia italiana poi. Fu questo un periodo unico e forse difficilmente rappresentabile nell’economia del film, ma per alcuni aspetti fondamentale in questa storia di vita. Ne parla chiaramente anche Pietro Citati nel suo Leopardi (2010): “A Bologna avvenne la rivoluzione della vita di Leopardi. (…) A partire dal 1825 diventò un lavoratore della penna” (p. 276). (Il regista sembra giustamente attingere molte notizie da questa biografia letteraria, la più recente e la più completa.)

Come gli ambienti sono ridotti all’osso, così alcuni protagonisti. C’è il giusto spazio alla famiglia, il mitico padre Monaldo, la terribile madre Adelaide, gli affezionatissimi fratello Carlo e sorella Paolina. L’infanzia e l’adolescenza sono, giustamente, ben rappresentati. Ma quando il mondo di Recanati si apre, alcuni protagonisti vengono un po’ schiacciati, probabilmente dallo stesso linguaggio cinematografico e quasi spariscono i loro profili storici.

Così vengono un po’ ridotte le figure di Pietro Giordani (1774-1848), che fu il primo interlocutore epistolare e che visitò Recanati nel 1818, e Antonio Ranieri (1806-1884), che fu l’amico degli ultimi anni e che lo portò a Napoli, in cerca del miglior clima. Nel film sono tratteggiati come figure di supporto di una biografia, ma in realtà furono, pur nei loro limiti, due notevoli personaggi del loro tempo. Il primo, solo per dare un flash, nell’Italia della Restaurazione “lottò assiduamente per la laicità ed il progresso” (Timpanaro 1969, p. 119) e il meglio del suo insegnamento “fu assimilato a rivissuto originalmente, per vie diverse, da due uomini in dissidio col loro ambiente: Leopardi e Cattaneo” (p. 121-122). Il secondo, che nel film compare come un dongiovanni servito dal Leopardi-leporello, fu un buon intellettuale e un gran patriota sempre in prima fila, anche nei parlamenti, napoletano prima e del Regno d’Italia poi.

Infine un’annotazione sulla scelta fatta tra i versi ed i pensieri leopardiani. Tra quest’ultimi sembrerebbe mancare il pensiero più propriamente politico, quello dei primi canti, del Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’Italiani (1824) e dei Paralipomeni della batracomiomachia (secondo il Ranieri dettati a lui anche sul letto finale). E questa potrebbe essere una scelta coerente con il basso profilo civile e politico dato a Giordani e Ranieri. In realtà è proprio con la scelta decisiva dei canti recitati nel film che s’intende dare il messaggio più profondo e più attuale. C’è infatti L’Infinito (1919), mentre non ci sono gli idilli che si studiano a scuola (A Silvia, Il passero solitario, etc) e neppure “la poesia leopardiana più alta”, come vuole la critica letteraria anche più recente, secondo cui questa “va cercata nella linea che porta dall’Infinito al Canto notturno di un pastore e qui sostanzialmente si esaurisce” (Asor Rosa 2009, p. 579). Ci sono invece La ginestra ed Il tramonto della luna, gli ultimi canti scritti sotto il Vesuvio. E a questi è lasciato il compito di trasmettere il messaggio fondamentale di Leopardi.

A me, la scelta, pur coraggiosa, è piaciuta, perché nell’Infinito è data “l’ardua aspirazione della sua poetica: quella di fondere il tono ingenuo con il tono filosofico” (Guglielmi 2000, p. 64), come negli ultimi canti “Leopardi si misura con i suoi contemporanei sui temi dell’uomo, e della sua collocazione nell’universo” (ivi, p. 139). E mentre i versi di questi si odono in sala, sullo schermo è sempre presente la luna, che è “per il poeta, di volta in volta, confidente e sfinge, compagna ed enigma” (Prete 1996, p. 191) e che “resta il culmine del mondo di Leopardi” (Citati 2010, p. 114). Ma, come diceva Italo Calvino, “la contemplazione del cielo notturno che ispirerà a Leopardi i suoi versi più belli non era solo un motivo lirico; quando parlava della luna Leopardi sapeva esattamente di cosa parlava” (1988, p. 26), perché l’aveva studiata e aveva pure scritto di astronomia. E così era anche la sua poesia, un grande momento di conoscenza della realtà. Per questo lo sentiamo ancora così vicino.

Bibliografia citata:
Asor Rosa A., Storia europea della letteratura italiana. II. Dalla decadenza al Risorgimento, Einaudi, Torino 2009.
Calvino I., Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio, Garzanti, Milano 1988.
Citati P., Leopardi, Mondadori, Milano 2010.
Guglielmi G., L’infinito terreno. Saggio su Leopardi, Manni, Lecce 2000.
Prete A., Il pensiero poetante. Saggio su Leopardi, Feltrinelli, Milano 1996.
Timpanaro S., Classicismo e illuminismo nell’Ottocento italiano, seconda ed. accresciuta, Nistri-Lischi, Pisa (1a ed. 1969) 1988.
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Una risposta a L’importanza di un bel film

  1. Adriano Zanon scrive:

    Segnalo l’uscita in edicola del primo di cinque dvd su Giacomo Leopardi. Il poeta infinito per i tipi de La Repubblica-L’Espresso (9,90 euro). Il primo dvd è sull’infanzia del poeta, ripercorsa con le interviste ai Leopardi viventi ed a pochi esperti. Interessante la nota a parte sull’uso attuale, museo e abitazione, della vecchia casa Leopardi a Recanati. Sono tutte cose note agli studiosi, ma quest’edizione può essere molto ben usata soprattutto nelle scuole. Sarà utile a insegnanti e studenti.

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