Pier Paolo Pasolini (1922-1975) che saluta il fratello Guido (1925-1945) in partenza per le montagne. Non sarebbe più tornato. Anzi, fu ucciso da altri partigiani, a Porzûs (7-18 febbraio 1945).
La Resistenza fu anche questo. Anzi, per evitare equivoci, faccio proprio il giudizio di Giorgio Bocca: “L’episodio più nero, più amaro del settarismo, è quello di Porzus, ma data la situazione c’è da chiedersi come un fatto del genere sia avvenuto una sola volta.” (Storia dell’Italia partigiana, 1980).
A un ragazzo
Era un mattino in cui sognava ignara
nei ròsi orizzonti una luce di mare:
ogni filo d’erba come cresciuto a stento
era un filo di quello splendore opaco e immenso.
Venivamo in silenzio per il nascosto argine
lungo la ferrovia, leggeri e ancora caldi
del nostro ultimo sonno in comune nel nudo
granaio tra i campi ch’era il nostro rifugio.
In fondo Casarsa biancheggiava esanime
nel terrore dell’ultimo proclama di Graziani;
e, colpita dal sole contro l’ombra dei monti,
la stazione era vuota: oltre i radi tronchi
dei gelsi e gli sterpi, solo sopra l’erba
del binario, attendeva il treno di Spilimbergo…
L’ho visto allontanarsi con la sua valigetta,
dove dentro un libro di Montale era stretta
tra pochi panni, la sua rivoltella,
nel bianco colore dell’aria e della terra.
Le spalle un po’ strette dentro la giacchetta
ch’era stata mia, la nuca giovinetta.
Pier Paolo Pasolini, estratto da La religione del mio tempo (1956-57)
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