“Riprendiamoci la terra di nessuno”

A solo venti giorni dal voto europeo, il dibattito è talmente povero da annichilire anche uno già pazzo come me, che cerca ancora e sempre di portare il discorso sugli aspetti chiave. Oggi infatti il ragionamento non premia, tantomeno la lettura lunga. Funziona meglio lo slogan o la battuta di cui – non a caso – sono sempre dotati i tre principali protagonisti della scena politica attuale.

Ma c’è qualcuno che sa veramente che programma hanno Berlusconi, Grillo o Renzi ed i loro relativi partiti sui temi europei? Al massimo si può dire che producono slogan contro qualcun altro. Il primo è contro tutti, compreso se stesso. L’importante è sopravvivere grazie ad uno spirito pubblico spappolato, come il cervello di troppi, dai media. Il secondo è già da un po’ che minaccia di andarsene. E’ l’ennesimo salvatore. Dopo di lui il diluvio, è il concetto fatto proprio soprattutto dal suo partito, che è l’ennesimo stadio di una larva in evoluzione perpetua. Il terzo aspetta di raccogliere il frutti di tanto scempio, distribuendo insulti e catastrofismo, una concimaia buona a tutte le coltivazioni.

Eppure resta qualche voce in questo deserto. Chi volesse tentare anche qui è linkato qualcosa (tag: Ue, austerity, Luciano Gallino). Mentre una voce che si sente solo ora chiaramente in Italia è quella di un ancor giovane economista francese Thomas Piketty. Costui è quindici anni che studia e pubblica sull’impatto dell’eguaglianza/ ineguaglianza economica, ma è diventato un nuovo fenomeno con il suo ultimo libro, Le capital au XXIe siècle, appena tradotto in inglese e diventato così “a modern Marx“.

Piketty ha firmato insieme ad altri intellettuali francesi un nuovo manifesto, pubblicato il 6 maggio da la Repubblica e qui copiato e linkato da Micromega. (Grassetto ed evidenziazioni sono miei.)
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Riprendiamoci la terra di nessuno della moneta unica
L’Unione europea sta vivendo una crisi esistenziale, come le elezioni europee presto ci ricorderanno in modo brusco. Ciò per lo più riguarda i paesi della zona euro, impantanati in un clima di sfiducia e di crisi del debito che è lungi dall’essere conclusa: la disoccupazione persiste, la deflazione è una minaccia che incombe. Niente potrebbe essere più lontano dalla verità che immaginare che il peggio sia alle nostre spalle.
È per questi motivi che accogliamo con grande interesse le proposte volte a rafforzare l’unione politica e fiscale dei paesi della zona euro. Da soli, i nostri paesi molto presto non avranno granché peso nell’economia mondiale. Se non ci uniamo in tempo, per portare il nostro modello di società nel processo della globalizzazione, la tentazione di ritirarsi all’interno dei nostri confini nazionali alla fine avrà la meglio e sfocerà in tensioni che faranno impallidire al confronto le difficoltà contingenti dell’Unione. Attraverso il presente manifesto vorremmo dare il nostro contributo al dibattito sul futuro democratico dell’Europa.
È giunto il momento di riconoscere che le istituzioni europee esistenti sono disfunzionali e devono essere ricostruite.

La questione centrale è semplice: la democrazia e le autorità pubbliche devono essere messe nella condizione di poter riacquistare il controllo del capitalismo finanziario globalizzato del XXI secolo e di regolamentarlo in maniera efficace. Un’unica valuta con 18 debiti pubblici diversi sui quali i mercati possono speculare liberamente, e 18 sistemi fiscali e benefit in competizione incontrollata tra di loro non funziona, e non funzionerà mai. I paesi della zona euro hanno scelto di condividere la loro sovranità monetaria, e quindi di rinunciare all’arma della svalutazione unilaterale, ma senza mettere a punto nuovi strumenti economici, fiscali, e di budget comuni. Questa terra di nessuno è il peggio di tutti i mondi immaginabili.
Troppo spesso l’Europa odierna ha dimostrato di essere stupidamente invadente su questioni secondarie (come il tasso dell’Iva dei parrucchieri e dei club ippici) e pateticamente impotente su quelle davvero importanti (come i paradisi fiscali e la regolamentazione finanziaria). Dobbiamo invertire l’ordine delle priorità: meno Europa per le questioni nelle quali i paesi membri agiscono bene da soli, più Europa quando l’unione è essenziale.
In concreto, la nostra prima proposta è che i paesi della zona euro, a cominciare da Francia e Germania, condividano la Corporate Income Tax (Cit, imposta sul reddito d’impresa). Ogni paese, preso a sé, è raggirato dalle multinazionali di tutti i paesi, che giocano sulle scappatoie e le differenze esistenti tra le legislazioni delle varie nazioni per evitare di pagare le tasse. Per combattere questa “ottimizzazione fiscale”, un’autorità sovrana europea necessita di poteri che le consentano di fissare una base fiscale comune quanto più ampia possibile e quanto più strettamente regolata.
Oltre a ciò è necessario universalizzare lo scambio automatico delle informazioni bancarie all’interno della zona euro e fissare una politica concertata che renda la tassazione del reddito e della ricchezza più progressiva, e al tempo stesso è indispensabile combattere insieme e uniti una battaglia efficace contro i paradisi fiscali esterni alla zona. L’Europa deve contribuire a portare la giustizia tributaria e la volontà politica nel processo di globalizzazione.
La nostra seconda proposta scaturisce direttamente dalla prima. Per approvare la base fiscale della Cit e più in generale per discutere e adottare le decisioni fiscali, finanziarie e politiche su ciò che si dovrà condividere in futuro in modo democratico e sovrano, dobbiamo dare vita a una camera parlamentare per la zona euro. Potrà essere un parlamento dell’eurozona, formato da membri del parlamento europeo dei paesi interessati (una sotto-formazione del parlamento europeo ridotto ai soli paesi della zona euro), oppure una nuova camera basata sul raggruppamento di una parte dei membri dei parlamenti nazionali (per esempio 30 parlamentari francesi dell’Assemblea Nazionale, 40 parlamentari tedeschi del Bundestag, 30 deputati italiani, e così via, in base alla popolazione di ciascun paese). Noi crediamo che questa seconda soluzione, la cui idea si ispira alla “camera Europea” proposta da Joschka Fischer nel 2011, sia l’unica alternativa per dirigerci verso l’unione politica. È impossibile esautorare del tutto i parlamenti nazionali dei loro poteri di stabilire le imposte. Ed è precisamente sulla base di una sovranità parlamentare nazionale che si può forgiare una sovranità parlamentare europea condivisa.
In base a tale proposta, l’Unione europea avrebbe due camere: il parlamento europeo esistente, direttamente eletto dai cittadini dell’Ue dei 28 paesi, e la camera europea, in rappresentanza degli stati tramite i loro stessi parlamenti nazionali. La camera europea in un primo tempo coinvolgerebbe soltanto i paesi della zona euro che vogliono realmente indirizzarsi verso una maggiore unione politica, fiscale e di budget. Questa camera, tuttavia, dovrebbe essere concepita in modo tale da accogliere tutti i paesi dell’Ue che accetteranno di percorrere insieme questa strada. Un ministro delle finanze dell’eurozona, e in definitiva un governo europeo vero e proprio, risponderebbero del loro operato alla camera europea.
Questa nuova architettura democratica per l’Europa renderebbe finalmente possibile superare il mito secondo cui il concilio dei capi di stato può fungere da seconda camera in rappresentanza degli stati. Questa ingannevole concezione riflette l’impotenza politica del nostro continente: è impossibile per una persona sola rappresentare un intero paese, a meno di rassegnarsi all’impasse permanente imposta dall’unanimità. Per dirigersi una volta per tutte verso la regola della maggioranza per le questioni di ordine fiscale e di budget conta che i paesi della zona euro scelgano di condividere, ed è necessario creare un’autentica camera europea, nella quale ogni paese sia rappresentato non dal suo solo capo di stato, ma dai membri che rappresentano tutte le opinioni politiche.
La nostra terza proposta affronta direttamente la crisi del debito. Noi siamo convinti che l’unico modo di lasciarci tutto ciò definitivamente alle spalle sia di mettere in comune i debiti dei paesi della zona euro. In caso contrario, le speculazioni sui tassi di interesse riprenderanno e continueranno. Questo è anche l’unico modo per la Banca Centrale Europea per attuare una politica monetaria efficace e reattiva, come fa la Federal Reserve degli Stati Uniti. Di fatto l’operazione di messa in comune del debito è già iniziata con il Meccanismo Europeo di Stabilità, l’emergente unione bancaria e il programma di transazioni monetarie della Bce. È necessario adesso andare oltre, continuando a chiarire la legittimità democratica di questi meccanismi.
Thomas Piketty, direttore della Scuola di alti studi in scienze sociali e professore presso la Scuola di economia di Parigi
Florence Autret, scrittore e giornalista
Antoine Bozio, direttore dell’Istituto di politica pubblica
Julia Cagé, economista presso l’università di Harvard e la Scuola di economia di Parigi
Daniel Cohen, professore all’École Normale Supérieure e della Scuola di economia di Parigi
Anne-Laure Delatte, economista
Brigitte Dormont, professore, Università Paris Dauphine
Guillaume Duval, direttore di “Alternatives Economiques”
Philippe Frémeaux, presidente dell’Istituto Veblen
Bruno Palier, direttore della ricerca Istituto di studi politici di Parigi
Thierry Pech, direttore generale di Terra Nova
Jean Quatremer, giornalista
Pierre Rosanvallon, professore, Collège de France
Xavier Timbeau, direttore dei dipartimenti di analisi e previsioni, Istituto di studi politici di Parigi
Laurence Tubiana, professore, Istituto di studi politici di Parigi, presidente dell’Istituto per lo sviluppo sostenibile e le relazioni internazionali
(Il testo è un estratto del manifesto pubblicato dal Guardian. Traduzione di Anna Bissanti.)
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