Venezia

Pubblico un articolo integrale di Edoardo Salzano perché è semplicemente fondamentale. Metto in evidenza solo il finale, la denuncia del nuovo grande rischio che incombe sulla città più fragile e sulla sua laguna.

Cartoline da Venezia, città «vetrina»
di Edoardo Salzano   

Vene­zia, que­sta parola è l’etichetta di molte realtà. La più ristretta è costi­tuita dalla città antica, cir­con­date dalle acque sal­ma­stre della Laguna, cele­brata in tutto il mondo da interi archivi di car­to­line illu­strate e da milioni di imma­gini scat­tate da turi­sti d’ogni con­ti­nente. La più ampia è quella di un’area metro­po­li­tana i cui con­fini variano, a seconda delle ten­denze degli stu­diosi e dei tempi della poli­tica, dalle dimen­sioni di una ven­tina di comuni a quelle di qual­che pro­vin­cia. In que­ste note mi rife­ri­sco al noc­ciolo essen­ziale del più vasto con­te­sto: l’intima unione tra la città insu­lare, edi­fi­cata nel corso del mil­len­nio che è alle nostre spalle, e quel par­ti­co­la­ris­simo ambiente sal­ma­stro da cui ha tratto la sua vita e la sua forma, la sua Laguna.

Immo­bile e mutevole

La forma fisica, la strut­tura mate­riale della città insu­lare è cam­biata pochis­simo nell’ultimo tren­ten­nio, ma sono cam­biate pro­fon­da­mente la sua strut­tura sociale, il modo in cui viene vis­suta dai suoi abi­ta­tori per­ma­nenti o tem­po­ra­nei o flut­tuanti, i poteri che ne orien­tano le tra­sfor­ma­zioni e i con­flitti che li divi­dono. È soprat­tutto su que­sto aspetto che vor­rei sof­fer­marmi, per­ché è all’esito di que­sti con­flitti che è legato il futuro: il pre­va­lere dei rischi che il trend pre­an­nun­cia o delle spe­ranze che l’ottimismo della volontà con­sente di intravedere.

Trent’anni fa la sede delle deci­sioni era nelle isti­tu­zioni: nei con­si­gli del Comune, della pro­vin­cia e della regione, e nelle parti poli­ti­che (nei par­titi) che in quelle sedi tro­va­vano gli accordi neces­sari per gover­nare. Era attra­verso i par­titi che gli inte­ressi sociali, eco­no­mici, ideali eser­ci­ta­vano le loro influenze sulle scelte, ed era attra­verso i par­titi che si espri­me­vano le visioni sul futuro della città e le regole del suo funzionamento.

Il cam­bia­mento ini­ziò nel corso degli anni Ottanta. L’evento più rile­vante fu l’affidamento da parte dello Stato a un con­sor­zio di imprese pri­vate, in larga pre­va­lenza del set­tore dell’edilizia, il Con­sor­zio Vene­zia Nuova, del com­plesso di inter­venti più con­si­stente sulla strut­tura fisica ed eco­no­mica della città: gli inter­venti per la sal­va­guar­dia della Laguna e la rea­liz­za­zione del pro­getto MoSE), con la legge Nico­lazzi del 1984). Nello stesso anno Gianni De Miche­lis, potente e lucido espo­nente del Psi di Craxi, lan­ciava la pro­po­sta di rea­liz­zare a Vene­zia l’Esposizione mon­diale del 2000. La pro­po­sta vedeva con­ver­gere sulle «magni­fi­che sorti e pro­gres­sive» di una Vene­zia lan­ciata sui mer­cati inter­na­zio­nali l’universo delle grandi imprese ita­liane Men­tre il Con­sor­zio Vene­zia Nuova diven­tava uno dei prin­ci­pali attori della vita eco­no­mica della città con il potere che gli deri­vava dal ruolo di con­ces­sio­na­rio unico dello Stato e dalle ingenti risorse finan­zia­rie pub­bli­che di cui dispo­neva, in città si mani­fe­stava e via via si esten­deva una forte cam­pa­gna di con­tra­sto alla pro­po­sta di Expo.

L’opposizione vinse e scon­fisse, allora, il dise­gno di De Miche­lis. È utile riflet­tere oggi sulle ragioni che allora pre­val­sero. Si era riu­sciti a far com­pren­dere (ai vene­ziani, ai par­la­men­tari ita­liani e a quelli euro­pei) che gli effetti di un’Expo a Vene­zia «sareb­bero stati dirom­penti: non tanto sulle “pie­tre” della città, quanto sul deli­cato equi­li­brio tra strut­tura fisica e strut­tura sociale, tra le pre­ziose forme della città e la società che le abita» (l’Unità, 13 giu­gno 1990). Que­sto equi­li­brio, si osser­vava allora, «è già minac­ciato da un non gover­nato turi­smo di massa, che modi­fica giorno per giorno l’assetto sociale ed eco­no­mico delle città: influi­sce sul mer­cato immo­bi­liare, sulla qua­lità del com­mer­cio, sui prezzi delle merci, sui modi di frui­zione della città e dei suoi servizi».

Era già ini­ziata la tra­sfor­ma­zione del com­plesso indu­striale di Porto Mar­ghera: prima il pas­sag­gio del capi­tale dai mono­poli pri­vati alle Par­te­ci­pa­zioni sta­tali, poi la chiu­sura delle fab­bri­che più anti­che, il pen­sio­na­mento anti­ci­pato dei lavo­ra­tori, men­tre diven­tava via via più acuta la con­sa­pe­vo­lezza del pesante danno alla salute del ter­ri­to­rio, dei lavo­ra­tori e degli abi­tanti, deri­vante dall’inquinamento pro­dotto dalle indu­strie chi­mi­che. A livello nazio­nale erano gli anni del cra­xi­smo ram­pante, della scon­fitta della classe ope­raia con il fal­li­mento del refe­ren­dum per la scala mobile, della dere­gu­la­tion e del trionfo di slo­gan dive­nuti senso comune («meno Stato e più mer­cato», «via lacci e lac­ciuoli», «pri­vato è bello»), ormai vin­centi anche nella gestione poli­tica della sini­stra comunista.

A par­tire da que­gli anni è ini­ziato anche a Vene­zia un pas­sag­gio che ha carat­te­riz­zato tutta l’economia ita­liana (e con essa la società e il sistema dei poteri e dei valori).

La ren­dita turistica

Men­tre nella fase del capi­ta­li­smo for­di­sta la cen­tra­lità del mec­ca­ni­smo eco­no­mico era nella cre­scita del pro­fitto e del sala­rio, in quella del finan­z­ca­pi­ta­li­smo (Gal­lino) essa è stata assunta da quella forma di red­dito che i libe­rali clas­sici defi­ni­vano «paras­si­ta­ria» la ren­dita. In Ita­lia, un peso pre­pon­de­rante ha assunto, accanto a quella finan­zia­ria, la ren­dita urbana, nelle sue diverse forme legate ai van­taggi pri­vati accu­mu­la­bili dalle tra­sfor­ma­zioni nell’uso del suolo (Tocci). Men­tre in gene­rale in Ita­lia (nei grandi cen­tri sem­pre più den­si­fi­cati come nelle cam­pa­gne deva­state dallo sprawl) è cre­sciuta in modo abnorme la ren­dita immo­bi­liare: quella cioè deri­vante dall’incremento di valore deri­vante dal pas­sag­gio dall’utilizzazione agri­cola dei suoli a quella edi­li­zia. A Vene­zia, invece, l’interesse degli ope­ra­tori eco­no­mici si è rivolto soprat­tutto ai van­taggi che pote­vano otte­nere dalle ren­dite deri­vanti da gigan­te­schi incre­menti degli flussi turi­stici. Anzi­ché ado­pe­rarsi nel com­pito, dif­fi­cile ma indi­spen­sa­bile, di gover­nare i flussi turi­stici, ci si è impe­gnati ad aumen­tarli senza tre­gua, con­si­de­rando un grave danno per la città ogni ridu­zione quan­ti­ta­tiva delle pre­senze turistiche.

Ogni cosa è in vendita

Sem­pre più i poteri pub­blici hanno pri­vi­le­giato l’uso della città come «vetrina» capace di attrarre com­pra­tori di qual­cosa che della città fosse un emblema o un bran­dello: per i più poveri di denaro e di tempo, una coca-cola e uno scatto foto­gra­fico, per i più ric­chi e potenti un palazzo antico o una torre moder­ni­stica. Tra i com­pra­tori più ambiti, quelli che pote­vano a loro volta accre­scere il valore della «merce Vene­zia» pro­muo­vendo a sua volta l’attrattiva che la città eser­ci­tava verso i poten­ziali com­pra­tori. E sem­pre più i poteri pub­blici si sono asser­viti ai com­pra­tori della città.

Il pro­cesso è ini­ziato con la giunta gui­data da Mas­simo Cac­ciari nel 1990, quando sono state can­cel­late le regole che avreb­bero con­sen­tito di osta­co­lare i cambi di desti­na­zione d’uso dalla resi­denza alle altre uti­liz­za­zioni. Esso è pro­se­guito con rin­no­vata lena negli anni suc­ces­sivi, non solo rin­cor­rendo quei «mece­nati» che appa­ri­vano già dispo­ni­bili a com­prare (i Benet­ton e i Car­din, i Trus­sardi e i Vuit­ton), ma anche cedendo a essi — e ai loro agenti — quote cre­scenti di potere. Stelle fisse più splen­denti nella costel­la­zione dei poteri extrai­sti­tu­zio­nali che gui­dano le tra­sfor­ma­zioni della città sono il Con­sor­zio Vene­zia Nuova, l’Autorità por­tuale, la Save, pro­prie­ta­ria pri­vata degli aero­porti di Vene­zia e Tre­viso, la poten­tis­sima Fon­da­zione Vene­zia della Cassa di rispar­mio, e l’associazione Vene­zia 2000, erede uffi­ciale della stra­te­gia avviata dai pro­mo­tori dell’Expo 2000.

Gli effetti di que­sta gestione della città non hanno tar­dato a mani­fe­starsi. Essi sono avver­ti­bili nella vita quo­ti­diana: l’impossibilità di tro­vare alloggi in affitto a un prezzo ragio­ne­vole, la scom­parsa dei ser­vizi per la vita quo­ti­diana, il degrado fisico della città pro­vo­cato dalle orde di turi­sti che la inva­dono per poche ore, la ridu­zione degli spazi e dei ser­vizi pub­blici deri­vante sia dall’aumento di quelli occu­pati dal turi­smo sia dalla pro­gres­siva sven­dita degli immo­bili di pro­prietà pub­blica per favo­rire ulte­rior­mente la «voca­zione turi­stica» della città.

Ma altret­tanto gravi sono gli effetti visti da quanti, vene­ziani o non vene­ziani, con­si­de­rano Vene­zia e la sua Laguna un patri­mo­nio dell’umanità e hanno com­preso pie­na­mente in che cosa que­sto par­ti­co­lare patri­mo­nio con­si­ste: nella piena siner­gia tra lo spon­ta­neo e l’artificiale, tra la natura e la sto­ria, tra gli spazi e gli edi­fici che ne costi­tui­scono la parte più com­piu­ta­mente arte­fatta e la mute­vole comu­nità che la abita e vi lavora. È sin­go­lare il fatto che così pochi, nel mondo e in Ita­lia (e per­fino a Vene­zia) abbiano com­preso l’assoluta sin­go­la­rità di quella laguna: l’unica al mondo restata tale dopo un mil­len­nio di tra­sfor­ma­zioni ope­rate dall’uomo. Se lo si fosse com­preso nes­suno avrebbe tol­le­rato il carat­tere distrut­tivo dell’ingresso in Laguna di quei mostruosi edi­fici semo­venti, causa non solo di un danno este­tico, né solo di un rischio di cata­strofe, ma attori di un quo­ti­diana degra­da­zione dei pre­cari equi­li­bri tra terra e acqua, argilla e limo, vege­ta­zioni e fauna in assenza dei quali ogni laguna si tra­sforma in uno sta­gno o in un brac­cio di mare.

Le Grandi navi un effetto posi­tivo tut­ta­via l’hanno avuto. Hanno pro­vo­cato il nascere di un’opposizione popo­lare che è riu­scita a coa­gu­lare in un unico fronte, ancora varie­gato e ricco di con­trad­di­zioni, quanti si bat­tono per un futuro diverso da quello minac­ciato dai nuovi padroni della città, age­vo­lati dalla com­pli­cità delle isti­tu­zioni cit­ta­dine. Allo stato degli atti, nello sfal­da­mento delle isti­tu­zioni e del sistema dei par­titi, l’unica spe­ranza risiede nei movi­menti di pro­te­sta che il disfa­ci­mento della città e della società provoca.

Ma non c’è molto tempo. Già si annun­cia un nuovo evento: la pro­po­sta di fare di Vene­zia la Porta dell’Expo 2015, che si svol­gerà a Milano. Il cer­chio si chiude. Il tren­ten­nio vene­ziano si con­clude come era ini­ziato. Scon­giu­rato trent’anni fa il rischio di una expo tutta vene­ziana, oggi Vene­zia diventa la luc­ci­cante vetrina e la sere­nis­sima hall dell’expo mila­nese. E tutto si tiene. Le masse di turi­sti sca­ri­cati con le Grandi Navi in quello che fu la Laguna riem­pi­ranno di dol­lari, yuan e rubli le aziende con sede in Vene­zia che sapranno inter­cet­tarli, e andranno a Milano, aumen­te­ranno i treni veloci tra Vene­zia e Milano e dimi­nui­ranno (la coperta è stretta) quelli per i pen­do­lari. L’occasione sarà pro­pi­zia per rilan­ciare il pro­getto della metro­po­li­tana Lagu­nare dal Lido all’Arsenale a Tes­sera, per pri­va­tiz­zare il com­plesso dema­niale dell’Arsenale, e ven­dere altri pezzi di città al migliore offerente.

(il manifesto, 19 febbraio 2014)

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