Trent’anni fa, il 3 settembre 1983, a Cambridge moriva Piero Sraffa. Aveva compiuto da un mese 85 anni. Era infatti nato a Torino il 5 agosto 1898, figlio unico di Angelo e Irma Tivoli, entrambi di origini ebraiche, come si arguisce anche dai cognomi.
Ma chi era Piero Sraffa? Perché si dovrebbe conoscerlo e commemorarlo? Oltre che nella voce Wikipedia indicata è piuttosto arduo trovare sul web un riferimento alla ricorrenza. Io ho scovato con difficoltà, e mi sono fermato lì, una noterella di Antonio Gnoli su la Repubblica di lunedì 14 gennaio, che riporto.
L’ECONOMISTA CRITICO
Sono trascorsi parecchi anni. Ma ricordo bene alcune lezioni che Luigi Spaventa (recentemente scomparso) dedicò a Piero Sraffa all’Università di Roma. L’eloquio, sebbene a tratti brusco, era sorretto da una grande chiarezza: indispensabile, ne converrete, per poter attraversare la boscaglia di concetti che è Produzione di merci a mezzo di merci. Spaventa aveva studiato a Cambridge, nel luogo dove Sraffa – grazie all’invito di Keynes – stabilì col tempo il suo regno. E quest’anno che ricorre il trentennale della morte non sarebbe male se si riuscisse finalmente a fare il punto sul grande economista, amico sia di Wittgenstein che di Gramsci. Anzi, questa doppia presenza dovrebbe suggerire di indagare meglio la sua complessità intellettuale. E una certa misteriosa doppiezza che ne avvolse l’esistenza. Ho letto un’interessante ricerca (di Monica Schweizer per Mimesis) che tiene conto delle lettere (alcune inedite) che l’economista scambiò con Wittgenstein.
È noto quanto egli influì sulle posizioni del filosofo. La critica sraffiana al marginalismo economico è in linea con quella al Tractatus. Tutto si tiene in questo torinese che l’Inghilterra adottò senza riserve fino a farne un mito del pensiero.
Non so in che occasione Gnoli ne scrisse, bisognerebbe vedere tutta l’impaginazione di quel giornale, ma sintetizza che era un grande economista, amico di grandi personaggi del pensiero (Wittgenstein e Gramsci, ma si dimentica almeno il collega economista Keynes). Accenna alla ricerca della mia amica Monica Schweizer, che ha indagato e anticipato l’uscita dell’aggiornamento delle lettere di Wittgenstein a Cambridge. Poi, nessun altro ne ha scritto, né prima né immediatamente dopo il 3 settembre. Perché?
Perché Piero Sraffa ha scritto poco e pubblicato pochissimo, circa 400 pagine a stampa, tutto compreso. Compreso “Produzione di merci a mezzo di merci” (1960), cento pagine che la cui lettura e comprensione esigono la conoscenza di due secoli di pensiero economico. Perché queste poche pagine sono lette da pochi e solo economisti, docenti o ricercatori universitari costretti a farlo. Ma soprattutto perché è il critico più radicale e conseguente dell’ortodossia neoclassica o marginalista, la base anche dell’attuale liberismo dominante, il pensiero unico in cui ci crogioliamo beatamente, la nostra certezza quotidiana, la Verità. Insomma, chi volete che ne scriva, oggi?
Così, in attesa di altre pagine giornalistiche, vi segnalo l’ultimo libro di Giorgio Lunghini, “Conflitto crisi incertezza. La teoria economica dominante e le teorie alternative” (Bollati Boringhieri, Torino 2012). E’ una sintesi magistrale (130 pagine in sedicesimo) del pensiero economico classico (Smith, Ricardo, Marx) e neoclassico, in confronto col pensiero di Keynes e Sraffa. Ma su Sraffa ne riparliamo.