“Entro quarant’anni la popolazione mondiale aumenterà di due miliardi e le risorse idriche scarseggeranno. Secondo un team di studiosi svedesi, per evitare carestie dovremo mangiare frutta e verdura anziché bistecche”, così Enrico Franceschini su la Repubblica di oggi (p. 32 e online).
Nei miei primi dieci anni di vita, diciamo negli anni Cinquanta, mangiavo e crescevo quasi senza carne. La dieta contadina prevedeva riso e fagioli a mezzogiorno, la cosa che ricordo più volentieri. La pasta con ragù era per la domenica. Così come la carne, perlopiù di pollo o altri animali da cortile, ma sempre bianca. La bistecca di vacca o manzo era solo per chi stava male.
Naturalmente c’erano le stagioni, allora, e la carne forse si mangiava più d’inverno che d’estate. L’oca si metteva sotto grasso ed il maiale si mangiava in progressione, a partire dalla luganega per finire con l’ossocollo e la pancetta. Così come c’era la regola che prevedeva pesce tutti i venerdì, soprattutto sardine, ma fresche, oltre al baccalà.
Si mangiavano più prodotti animali, uova e latte, quindi il formaggio. Si andava a scuola con il panino con la frittata. Ma si faceva merenda con un panino al formaggio fresco o al burro (qualche volta con lo zucchero), se non c’era il salame o le sardine fritte.
Sono passati (solo) cinquant’anni, credo che la specie non sia ancora cambiata al punto di non poter tornare (non andare) a quella dieta, o simili. Se lo ha fatto Bill Clinton, potremo farlo bene anche noi.