E’ la diciannovesima volta che i Ventisette si ritrovano a Bruxelles dall’inizio della crisi greca. E questa pare decisiva. Perché? Perché 19 volte… e non 20 o 21 o molte altre ancora? Perché ora, non solo la Grecia, ma anche altri paesi appaiono molto inguaiati, anzi sull’orlo del fallimento. Ed è dunque chiaro che con la politica di questi anni non si può più andare avanti. Una politica che non dipende solo dalla disciplina economica interna ad ogni singolo paese o stato, ma è frutto del più complesso rapporto dentro l’Unione Europea (27 paesi membri), la zona euro (la valuta comune di 17 paesi) e la finanza mondiale.
Certo, siamo in presenza di istituzioni relativamente recenti ma con un grande potenziale. Per rendere bene l’idea bastano pochi numeri. Il pil mondiale vale circa 70mila miliardi di dollari, l’Ue ne è un quarto con 17,5mila miliardi e 502 milioni di abitanti. Gli Usa sono a 15mila miliardi (314 milioni di ab.), la Cina a 7,3mila miliardi (1.340 milioni di ab.), il Giappone a 5,9mila miliardi (128 milioni di ab.).
Ebbene, nella situazione drammatica attuale, con paesi sull’orlo del fallimento e oggetto della speculazione finanziaria, pur in presenza di incontri ai massimi livelli istituzionali tra governi nazionali, commissione dell’Ue e Bce, si sente parlare di eurobonds a difesa della speculazione e di supercontrolli sui conti, perfino di unione fiscale e di unione politica, ma non si sente parlare di azioni “contro” la speculazione finanziaria.
I “mercati” stanno lì, come totem, e saranno loro a giudicare. Con una certa attenzione si può sentire che si sussurra appena qualcosa sulla Tobin tax (la tassa sulle transazioni finanziarie che era stata concepita anche come tassa di scopo per interventi internazionali su situazioni critiche), una tassa ben accetta anche a speculatori come George Soros, ma non sventolata troppo soprattutto dal nostro ineffabile premier.
Aspettiamo dunque, con molta ansia, anche se non ci sono certo le premesse perché nasca qualcosa di buono per il 99% delle popolazioni. Servirebbe ben altro che le solite rimasticature sul “vincolo competitivo”, sulla “disciplina di bilancio” e sulla “necessità della crescita”. Servono altri pensieri. Perché, come disse Albert Einstein: “non puoi risolvere un problema con lo stesso tipo di pensiero che hai usato per crearlo”.