Perché l’Unità è in crisi

staino-31-luglio-2014

Ecco di nuovo la notizia che l’Unità è in crisi. Questo giornale fu voluto e fondato in tempi molto pesanti da Antonio Gramsci, nel febbraio del 1924, tirando subito 20mila copie giornaliere. Cinquant’anni dopo, nel pieno dell’era Berlinguer, le copie sarebbero state più di dieci volte tanto (media 1974 a 239mila). Oggi è tornato alle cifre iniziali (20mila) e non può più reggere. Perché? Io mi son fatto qualche idea e la propongo qui.

Un breve sguardo retrospettivo. L’Unità in realtà è in crisi da almeno quindici anni, da quando nel 1997 si avviò la prima privatizzazione, cioè la dipendenza del giornale da uno o più imprenditori privati. Certo non fu un caso. Nel 1991 con la morte del vecchio Pci, cambiò sottotitolo, già non era più “organo”, ma da “Giornale del Partito comunista italiano” divenne “Giornale fondato da Antonio Gramsci”. Però negli anni della direzione di Walter Veltroni, tra il 1992 ed il 1996, anche grazie all’invenzione dei cosiddetti gadget (fu il primo quotidiano a vendere film in vhs in edicola), stava andando bene, tanto da essere – appunto – venduto ai privati. D’altronde Veltroni nel maggio 1996 andò al governo, vice di Prodi, e da lì cominciò il declino del giornale.
Ma il giornale che fu del Pci (1921-1991) e poi del Pds (1991-1997), non poteva più essere anche il giornale dei Democratici di Sinistra (Ds, 1998-2007), primo allargamento dell’inizio 1998 verso forze che non fossero solo quelle già dentro il Pci. In poco tempo, passando la direzione da Mino Fuccillo a Giuseppe Caldarola, le tirature scesero velocemente fino a 50 mila copie. Tutto ciò nonostante al governo ci fosse un suo ex direttore, Massimo D’Alema. E così questo segmento di storia finì col fallimento giudiziario del luglio 2000.
L’Unità tornò in edicola a fine marzo 2001, in tempo per assistere alla vittoria di Berlusconi su Rutelli, leader (si fa per dire) del residuo Ulivo. Lo rilanciò una cordata attorno all’editore Dalai e visse discretamente grazie al mestiere prima del direttore Furio Colombo (2001-2004) e poi del suo già vice Antonio Padellaro (2004-2008). Le copie calano anche con loro, ma lentamente, passando da 73mila (2001) a 66mila (2004), poi a circa 60mila (2005-2006) e infine a 50mila (2007-2008).
Nel frattempo, il 14 ottobre 2007 viene fondato il Pd. E nel maggio 2008 il giornale cambia anche padrone, la compra Renato Soru, governatore sardo e fondatore di Tiscali. Con un altro grande direttore, Concita De Gregorio (agosto 2008-luglio 2011), la tiratura tiene sulle 50mila copie, ma poi c’è il crollo progressivo, fino alle attuali 20mila copie. L’Unità ha così finito la sua corsa.

Le cause di questa crisi in sede storica possono essere individuate in tre punti,  che vedremo essere riducibili ad una sola dal punto di vista giornalistico.

La prima causa è stato il cambiamento del rapporto con il partito. Prima organo, poi giornale, ma sempre lo strumento più importante per la comunicazione di massa, l’Unità ha vissuto male l’allentamento del legame col partito, che fu evidente fino alla direzione di Veltroni. Se mai fosse stato possibile, non si è mai trasformata in qualcos’altro.

La seconda causa è l’avvento di internet. C’è perfino una grande coincidenza: nel 1991 muore il Pci e nasce il www (World Wide Web, la “ragnatela grande quanto il mondo”). E negli ultimi anni il web esplode. I terminali passano dal personal computer (pc) agli smartphone ed ai tablet. Le notizie e i giornali già stampati si possono leggere senza passare in edicola, questa è la seconda causa. E molti giornali sono solo online. Qui, se si è  curiosi e pazienti non servono neanche abbonamenti, la rete prima o dopo rimbalza tutto.

Oggi si fa politica, e molta, anche attraverso i social network, come Facebook e Twitter. Un “partito” come il M5S (che anche se si chiama movimento è il più tradizionale dei partiti) è nato sul web, le battaglie sui referendum del 2011 sono passate sul web. Il web è il luogo di discussione, ma anche di canalizzazione e controllo del dibattito. Una bestia che comunque ha già quasi mangiato e digerito tutta la carta stampata.

La terza causa mette insieme le prime due e le sublima. Il Pd non ha più bisogno di un giornale, fosse neanche online. E’ un partito che s’identifica con la società italiana così com’è, non è uno strumento di critica radicale degli assetti e dei comportamenti sociali. Anche le cosiddette riforme renziane, messe in cantiere con tanta determinazione, sono un modo per riorganizzare il potere storico in chiara difficoltà, non qualcosa per riequilibrare redditi e destini di vita.

Però qualsiasi giornale, cartaceo o online, è fatto per coltivare un pubblico, uno, non diversi, e non variabili. Si può essere locali (vedi il “nostro” Il Gazzettino), speciali (vedi Tuttosport), di destra (vedi Libero) o di sinistra (vedi Il Fatto Quotidiano), importante è dare al lettore un’informazione coerente con la propria impostazione. Ma un giornale deve anche dare battaglia, fare informazione vera, combattere i propri nemici strutturali in base alla propria impostazione, mai rinunciare, neanche un momento, alla ricerca ed alla critica per cambiare lo stato di cose che si ritiene inaccettabile.

Ora, come può sopravvivere anche solo vicino al Pd il giornale fondato da Antonio Gramsci, uscito dal 1924 al 1927, poi clandestino, quindi “organo” del Pci per quasi cinquant’anni (1944-1991)? Servendo il suo pubblico, abbiamo detto. Ma quale pubblico? Le attuali 20mila copie forse sono anche troppe rispetto al vecchio pubblico già comunista, comunque di sinistra. Un gruppo sociale e politico in estinzione per ragioni generazionali. Non ci sono tanti, forse punto, giovani ventenni e trentenni vicini al Pd attuale che leggono l’Unità, neanche online.

Come vedete non affronto neppure i temi economici della questione. Perché se è vero che gran parte della stampa italiana è in crisi come lo è l’intera società, qualcuno maschera meglio, come i grandi gruppi editoriali o quei giornali che appartengono a gruppi industriali e finanziari, ma qualcuno resiste con i propri scarsi mezzi e c’è anche chi riesce a crescere.

Ma, infine, c’è proprio bisogno di un grande giornale a sinistra, cartaceo e online? C’è la Repubblica che è un contenitore d’area, sempre aperto ai commenti più radicali, ma nella linea editoriale liberista e finanzcapitalista, atlantista e giustificazionista, di fatto piuttosto amorale. C’è il manifesto, libero e coraggioso più di tutti, ma sempre vincolato ad una missione limitata, forse irrinunciabile senza un’area di riferimento più vasta ed organizzata. C’è Il Fatto Quotidiano, nato nell’era di Grillo e fatalmente oscillante tra le ragioni più radicali di certa sinistra e quelle generazionali di certa società italiana.

Io questi giornali li leggo regolarmente per avere dai tre messi insieme uno scandaglio minimamente più profondo del vergognoso livello televisivo. Ma sono certo che anche senza tanti soldi in tasca molti italiani comprerebbero volentieri un quotidiano bello e forte, riflesso di una sinistra bella e forte, forse di un partito (come si chiamava una volta) simile. Insomma, a molti italiani manca quest’ultimo, non solo un buon giornale, come fu anche l’Unità per molti anni. Per cui non vedo proprio come possa essere Renzi quello che lo resuscita.

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Una risposta a Perché l’Unità è in crisi

  1. Adriano Zanon scrive:

    “La festa de l’Unità si è chiusa senza una parola su l’Unità. E’ passato nel silenzio il 38esimo giorno fuori dalle edicole per il nostro giornale. Un silenzio inquietante, che mette una pesante ipoteca sul futuro della testata e dei suoi dipendenti.” – Così sul sito gestito volontariamente dai giornalisti. Sembrano un po’ disperati, eppure sanno benissimo che tra 1.000 (mille) giorni tutto cambierà.

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