Seconda puntata breve sulle tasse. (Anche se il nuovo premier incaricato ha già comunicato una scaletta dove la riforma fiscale viene messa in fondo.)
Pubblico un articolo di due vecchie conoscenze, che ripetono cose vecchie (p.es. la distinzione tra fisco e previdenza) e ne ribadisce due vecchissime ma attualissime: (1) solo un miglioramento dei redditi bassi può migliorare tutto il sistema, (2) servono grandi investimenti pubblici.
Da quando è scoppiata la crisi si è messa in moto una spirale perversa: il divario nella distribuzione del reddito è aumentato, i consumi non hanno fatto che diminuire, gli investimenti privati sono crollati, le fosche prospettive di crescita hanno spinto le banche a ridurre drasticamente i prestiti alle famiglie e alle imprese (60 miliardi di euro in meno nel 2013). La caduta delle vendite e dei finanziamenti bancari ha determinato il fallimento di decine di migliaia di piccole imprese e ha spinto le imprese più grandi a trasferire la produzione in paesi a bassi salari e minore pressione fiscale. Di conseguenza, l’attenzione si è concentrata sull’insostenibilità del prelievo fiscale, sebbene le tasse fossero già alte da anni. In questo quadro la ricetta che viene riproposta si basa sulla flessibilità del lavoro, sui tagli alla spesa pubblica e sulle privatizzazioni.
Eppure un economista come Innocenzo Cipolletta, da sempre vicino agli ambienti industriali e finanziari, ha da poco pubblicato un libro dal titolo emblematico: “In Italia paghiamo troppe tasse? Falso!”. Secondo l’Eurostat, infatti, la spesa pubblica italiana al netto degli interessi è inferiore dell’1,6% rispetto alla media dell’Eurozona e se è vero che il totale delle entrate pubbliche raggiunge il picco di 684 miliardi di euro, è altrettanto vero che le tasse effettive sono pari a 472 miliardi di euro. Il resto rappresenta contributi sociali, cioè accantonamenti obbligatori che poi vengono restituiti sotto forma di pensioni. Corretta in questo modo la pressione fiscale italiana è inferiore persino a quella della Gran Bretagna e prossima alla media europea. Il problema del prelievo fiscale è la sua iniquità: troppo alto sui redditi da lavoro, sulle pensioni, sull’energia e sulle imprese, basso sulle rendite finanziarie, sui patrimoni e sui consumi voluttuari e inquinanti.
Per contrastare il divario tra ricchi e poveri, Barack Obama ha annunciato che, scavalcando il Congresso, emetterà un decreto per alzare dal prossimo anno il salario orario minimo per i nuovi contratti dei lavoratori federali a 10 dollari dal valore attuale di 7 dollari. Si tratta di un intervento che, seppure circoscritto a una piccola parte di lavoratori, rappresenta un segnale significativo per invertire una tendenza che dura ormai da troppi anni.
Sono dunque necessarie misure di grande portata per bloccare la spirale che ci sta trascinando a fondo. Ovviamente l’Europa può costituire il motore della ripresa economica e per questo bisognerà sfruttare al meglio il semestre di presidenza europea che parte a luglio del 2014. Ma nel frattempo dobbiamo prendere iniziative qui in Italia.
Uno dei punti critici è rappresentato dal sistema bancario che, diversamente dalla fase precedente alla crisi del 2008, non sta più finanziando in modo adeguato l’economia reale. In questo ambito c’è un errore strategico delle autorità europee: il vano sforzo di far ricapitalizzare le banche attraverso l’immissione di nuove risorse finanziarie. Questi interventi non saranno mai sufficienti se non riparte il ciclo economico: solo la ripresa della domanda, infatti, renderà gli attivi bancari più liquidi e farà aumentare la capitalizzazione delle banche. Pertanto, è cruciale che le risorse finanziarie siano impiegate per sostenere i consumi e i redditi bassi e per creare nuova occupazione anche nel settore pubblico.
E qui si ricollega la questione del decreto sulla rivalutazione delle quote bancarie di Bankitalia che ha sollevato un gran polverone. Mentre il Governo incasserà nell’immediato un extra-gettito fiscale e le banche conseguiranno un rafforzamento patrimoniale, le imprese e le famiglie non avranno nessuna garanzia di avere maggiore credito se la crescita dell’economia non riparte. Per contrastare la carenza di moneta nell’economia reale sarebbe opportuno ricorrere anche alle monete complementari: i titoli di Stato come i Bot potrebbero avere un ruolo importante in tale strategia.
Per concludere, se è vero che il destino del nostro Paese dipende dalle future politiche europee, è altrettanto vero che in Italia è giunto il momento di mettere all’opera delle politiche dei redditi, fiscali e creditizie all’altezza della gravità della situazione. Ed è necessario promuovere grandi investimenti pubblici attivando sia le imprese sotto il controllo dello Stato che la Cassa Depositi e Prestiti. I margini di manovra, seppure esigui, esistono e vanno sfruttati nel migliore dei modi.
la Repubblica, 18 febbraio 2014
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