Anch’io sono finito in trappola,
ma a differenza del topo
o del coniglio è una trappola
che ho costruito io, con le mie mani.
È a mia misura, della taglia giusta,
dipinta nei miei colori preferiti:
una confortevole gabbietta
dove posso avvitarmi nei pensieri
più alti stolti ignobili squisiti.
Il topo è subdolamente attratto
dal formaggio; il coniglio
ingannato ad arte da una tagliola
nascoste nelle frasche. Cosí
i due senza saperlo si giocano la loro
libertà – quella stessa che io
invece perdo scientemente,
a causa della mia dolosa inerzia.
Come bucare questa bolla
artificiale, se l’orizzonte
intorno implode e si spaura?
Se si ammalano gli amici
e le parole? Se il tessuto comune
cede in ogni sua giuntura?
Chi ci comanda è intento
a far di conto, ma è un conto
che non torna se giorno
dopo giorno arde solitario
un nuovo bonzo indigeno.
E il coro, il coro
di cui anch’io facevo parte? Scomparso
per sempre – e chi l’ha divorato?
In gabbia canta l’uccello
canterino, io invece, senza coristi
al fianco, rimango senza fiato.
Franco Marcoaldi, La trappola (Einaudi, 2012)