La fine delle illusioni

Il Sole 24 Ore di oggi, in una nota della pagina Commenti e inchieste, tocca la situazione del mercato europeo dell’auto:

Bruxelles agisca perché l’auto resti in Europa
Ford chiude la fabbrica belga di Genk, 4.300 posti di lavoro vanno perduti. Posti di lavoro che si aggiungono a una lista già molto lunga per il comparto auto in Europa. Le grandi fabbriche da cui escono le automobili sono infatti quelle che ottengono i titoli più grandi e scatenano le proteste, ma sono solo la punta dell’iceberg: contemporaneamente chiudono fabbriche di motori, di componenti, e all’opposto della catena produttiva anche le concessionarie di auto. Quando negli ultimi vent’anni tutti i costruttori aprirono stabilimenti in Europa dell’Est, speravano che la crescita della domanda permettesse di tenere occupate anche le vecchie fabbriche all’Ovest. Il calcolo si è rivelato sbagliato.
La crisi è strutturale: i volumi di vendita non torneranno tanto presto (o forse mai) ai livelli precedenti al 2007. Chiudere le fabbriche in eccesso è una soluzione dolorosa dal punto di vista sociale, e nel breve periodo anche costosa, ma permette di rimettere in sesto i conti. Fare utili è indispensabile perché solo chi è in utile può permettersi di investire in nuovi modelli e nuove tecnologie, e solo chi investe può competere nel lungo periodo; l’unica alternativa è gestire il declino. Il problema di adesso, però, e quello di gestire la crisi. Per ora i costruttori europei si muovono in ordine sparso, e la soluzione europea chiesta da Sergio Marchionne non è alle porte. Ma il rischio di distorsioni alla concorrenza cresce, come dimostra l’intervento del Governo francese nel caso Peugeot. Contro Parigi ha già protestato il Land tedesco della Bassa Sassonia, che è azionista della Volkswagen. Senza un intervento della Ue, si rischia una guerra di tutti contro tutti.

In questo breve testo si possono leggere, alcune arcinote verità (“la crisi è strutturale”, “l’unica alternativa è gestire il declino”) dentro la preoccupazione e richiesta di fondo: “Senza un intervento della Ue, si rischia una guerra di tutti contro tutti.”. O non ho capito proprio niente dell’accenno all’intervento della Ue, oppure, come già con la politica agricola – passata prima attraverso il finanziamento del surplus, poi attraverso le quote, dunque considerando quello dell’auto un settore strategico, come quello agricolo-alimentare – qui si sta pensando ad una politica di piano.

Nello stesso giorno i giornali danno grande spazio alle dichiarazioni dell’uscita di scena dell’ex premier, il grande protagonista di diciotto anni della politica italiana, uno che su questo blog non è mai stato volutamente nominato, se non nelle citazioni, Silvio Berlusconi. (Io penso che la dichiarazione di uscita serva solo a tentare di rimanere politicamente in vita, quindi in scena, ma questo è un altro tema.)

Così per me è fatale tornare ad un articolo dell’attuale premier Mario Monti sul Corriere della Sera del 2 gennaio 2011 , dove scriveva contro gli illusionismi (leggete di chi) e che grazie a “due importanti riforme dovute a Mariastella Gelmini e a Sergio Marchionne” e “alla loro determinazione, verrà un po’ ridotto l’handicap dell’Italia nel formare studenti, nel fare ricerca, nel fabbricare automobili”. Ovviamente, anche in questo breve articolo, il richiamo essenziale era al “vincolo della competitività”.

E così alla fine mi rimane qualche piccola ma tenace certezza: che l’auto sia finita, che serva la politica di piano, lì come in molte altre parti, che gli illusionisti di oggi (Berlusconi), come i controillusionisti (Monti), non valgano granché rispetto ai visionari che scrivevano centocinquant’anni fa che l’esito di una certa dinamica economica sarebbe stato una politica di piano (Marx).

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