Il segretario Bersani ha concluso con la sua replica l’assemblea nazionale del Pd. L’ho letta tre-quattro volte per capire dove vuole andare. Ho letto che “dalla crisi si esce con una democrazia e una politica nuova, questo è il compito che ci tocca”.
Una democrazia e una politica nuova, ma quale? Allora sono andato indietro, alla relazione, dove ad un certo punto si legge:
Diremo del lavoro. Il lavoro come cuore del progetto. Il lavoro dei produttori, delle persone che creano, pensano, operano, fanno impresa. Il lavoro che oltre all’antagonismo classico fra operai e impresa sta subendo una nuova forma di sfruttamento per garantire i guadagni e i lussi vergognosi della rendita finanziaria. E allora l’alleggerimento fiscale a carico di rendite di gradi patrimoni finanziari e immobiliari. E allora il contrasto alla precarietà ed alla competizione al ribasso. E allora la rottura della spirale perversa fra bassa produttività e compressione dei salari e dei diritti e la promozione di una migliore democrazia del lavoro. E l’occupazione femminile e giovanile, in particolare nel Sud, come misuratore dell’efficacia di tutte le politiche. Arriveremo a tutto questo recuperando competitività, lavorando su tutti i fattori di innovazione e modernizzazione favorendo una ripresa degli investimenti delle imprese.
Mi è chiaro il finale. Tutti i buoni propositi (“E allora”) passano attraverso la “ripresa degli investimenti delle imprese”, quindi il programma di Monti. E allora, è cambiato qualcosa con questa assemblea? E’ servita veramente a qualcosa, se non a dimostrare l’assoluta mancanza di nuove idee e di autonomia culturale?
Dentro un’analisi che riguarda anche la sinistra radicale, il più lucido scritto che ho letto recentemente sul Pd è questo di Piero Bevilacqua (pubblicato anche da Eddyburg e da il manifesto).
Tra l’altro si può leggere: “Oggi questo partito comincia a rappresentare una agente attivo di arretramento della democrazia italiana. Culturalmente subalterno alle ideologie neoliberiste, esso tende ad accettare gli ‘stati di necessità’ imposti dall’avversario e dunque manipolazioni gravi della nostra Costituzione. (…) La paura di assumere responsabilità di governo, di affrontare una competizione elettorale che nella primavera scorsa dava questo partito come vittorioso, conferma tale dato preoccupante della situazione italiana. Da anni la vita vegetativa del Partito Democratico corrisponde alla paralisi di ogni iniziativa politica dell’opposizione nel nostro Paese. Uno stallo che neutralizza tante energie riformatrici, che pure esistono al suo interno, e che genera frustrazione nel vasto popolo dei suoi elettori: una variegata platea di cittadini che non ha cessato di manifestare una fedeltà meritevole di ben altro ascolto.”