Ognuno ricorda dov’era l’11 settembre 2001, verso le quattro del pomeriggio (dieci di mattina a NY), ma oggi sappiamo dove siamo? Seduti davanti il pc? Bene, cerchiamo di capire meglio non cos’è stata, ma cos’è, che peso ha oggi quella data. Prima vediamo i dati.
Per prima cosa, vediamo la fotografia geopolitica del Medio Oriente fatta da Alberto Negri (Il Sole 24 Ore, 5 settembre 2011). Qui, per comodità, riporto solo un parte del testo:
L’11 settembre e la guerra in Iraq non hanno portato i risultati che si proponevano gli americani. Diventare i guardiani dell’Asia centrale nel punto di raccordo degli interessi di Russia, Cina, India, Pakistan, un quadrilatero atomico, all’incrocio delle risorse strategiche e dei nuovi poli dello sviluppo economico globale. L’Afghanistan resta fuori controllo ma anche il Pakistan, potenza nucleare, che rappresenta il vero nodo dell’Af-Pak, un problema per gli americani forse più intrattabile dei talebani. A questo si aggiunge quanto è avvenuto in Iraq e dintorni: Bush jr. si proponeva di rifare la carta del Medio Oriente e non ci è riuscito. Le transizioni che vediamo nella regione sono state dovute a fenomeni interni dove gli Stati Uniti non hanno avuto un ruolo. Non solo. L’attuale governo iracheno, caratterizzato da una preponderante maggioranza sciita, è fortemente influenzato dall’Iran mentre prima Teheran, sotto la dittatura di Saddam, era fuori dal gioco. Era per mantenere questo obiettivo che le monarchie sunnite del Golfo avevano finanziato otto anni di guerra del rais contro Khomeini: emarginare gli sciiti e l’Iran dal potere a Baghdad. Il prezzo era stato un milione di morti. Quando nel mondo arabo si parla di 11 settembre il collegamento a questi eventi che lo hanno preceduto è immediato mentre da noi appaiono come uno sfondo confuso e ribollente.
Gli Stati Uniti hanno ottenuto il contrario di quello che pensavano: fare dell’Iraq un saldo Paese alleato. Una delle conseguenze più clamorose è che il governo iracheno appoggia l’Iran nel sostegno alla Siria di Bashar Assad. Mentre la Turchia, bastione storico della Nato, sostiene l’opposizione al regime di Damasco ma si scontra pure con Israele per leadership nel Mediterraneo orientale. Tutto questo fuori da ogni decisione presa a Washington.
Come si vede le conseguenze dell’11 settembre vanno ben al di là di una data. In sostanza l’Afghanistan e l’Iraq sono stati due fallimenti: si sono abbattuti dei regimi nemici, ostili all’Occidente, ma non si controlla la situazione. Non solo, gli Stati Uniti pur avendo migliaia di uomini sul terreno, 50mila in Iraq e 130mila in Afghanistan, non sembrano in grado di condizionare quanto avviene nel mondo arabo. Anzi proprio questo logorante impegno militare dal quale il presidente Obama vuole uscire ha incoraggiato i popoli arabi alla ribellione: non c’era più il timore, dopo due disastri, di un nuovo intervento americano.
Per seconda cosa, sempre dallo stesso giornale, leggiamo la ricostruzione di una sequenza cronologica fatta da Mario Platero (4 settembre 2011). E’ un testo fastidioso, pieno di numeri, ma importanti:
Fra il mese di gennaio e il 21 agosto del 2001, in reazione alla debolezza congiunturale, Alan Greenspan porta i tassi sui Fed funds dal 6,5 al 3,5%. Dopo 21 giorni bin Laden attacca. La confusione sui mercati è al massimo. Il 17 settembre la Fed, con tassi già molto bassi, reagisce e li riduce di altri 50 punti base, al 3%, e spiega che «continuerà a fornire inusuali volumi di liquidità ai mercati, fino a che non si tornerà a condizioni di mercato più normali». La riduzione dei tassi continua aggressiva, a ottobre si va al 2,5%. Il 7 di quel mese comincia la guerra in Afghanistan e aumentano le incertezze geopolitiche. La Fed le menziona. George W. Bush promette una guerra anche contro l’Iraq. A novembre 2001 i tassi sono al 2% a dicembre all’1,75%. Fra il 18 marzo del 2002 e il novembre del 2002 si continua a parlare nelle dichiarazioni della Fed di «grandi incertezze geopolitiche». A novembre i tassi scendono all’1,25%. Poi, nel giugno del 2003 all’1%. Ce n’era davvero bisogno a quel punto? In effetti la Fed comincia a prendere atto del rischio che «una necessaria riallocazione delle risorse in termini di politica fiscale possa diminuire a breve le prospettive di produttività».
È fra il 2002 e l’inizio del 2003 che ci si rende conto come la politica fiscale sia cambiata in modo ormai strutturale per garantire la sicurezza nazionale. Greenspan reagisce come può. Punta sul settore immobiliare per un recupero della crescita. Nonostante le critiche che giungono da ogni parte per un accomodamento troppo prolungato, non vuole abbassare la guardia per evitare rischi possibili per la rielezione di George W. Bush nel novembre di quell’anno. Questo per dire che ci furono componenti anche di politica interna nei processi decisionali. Ma è stato con i tassi su quei livelli che hanno cominciato a formarsi la bolla immobiliare, le erogazioni di prestiti subprime, la bolla dei derivati e l’impacchettamento di rischi altissimi in strumenti opachi. La crescita esponenziale di quegli strumenti e di quei rischi proprio tra il 2002 e il 2005. A questo hanno contribuito gli eccessi del mercato, le banche, alla ricerca di profitti sempre più facili, le non banks bank, la mancanza di regole ferree, la deregolamentazione e molti altri fattori. Ma la radice resta da una parte nella decisione della Fed di tenere i tassi bassi troppo a lungo e dall’altra da una politica fiscale che nel momento in cui si andava in guerra concedeva aggressivi riduzioni delle tasse. Politiche figlie entrambe dell’attacco dell’11 settembre.
Infine, per terzo, come indicato da Platero stesso, andiamo a vedere quali sono i costi economici delle guerre in corso: sono stimati da 3,2 a 4,0 billioni (cioè migliaia di miliardi) di dollari, di cui 1,3 vera e propria spesa militare, ma da 1,9 a 2,7 di additional expenses, come dicono gli americani, vale a dire spese per la cura dei reduci, la sicurezza nazionale, gli aiuti di guerra, nonché gli interessi sui debiti contratti per finanziare il tutto. (Consiglio una buona navigazione sul sito linkato.)
Siamo alla conclusione del piccolo viaggio nella storia di questi dieci anni. Oggi dunque abbiamo (1) una situazione geopolitica medio-orientale fuori controllo, (2) una grave crisi economica occidentale legata chiaramente, sottolineo chiaramente, alla politica economica USA conseguente all’11 settembre 2001 e (3) un costo economico della guerra in corso insostenibile.
Ma la vera considerazione finale è un’altra. Anzi è una domanda. Qual è il costo umano di tutto questo?
La cosa più agghiacciante di tutto l’articolo è la foto finale. Dolorosissima ma necessaria a ricordarci che dobbiamo compiere ogni sforzo possibile per ridare il giusto peso all’economia e alla vita. Restiamo umani.