Sono ore drammatiche quelle che viviamo seguendo le notizie che ci arrivano sulla crisi greca. Purtroppo solo una ricostruzione storica ci farà forse capire cosa c’è stato e come si sono comportati i vari protagonisti, ma noi ci siamo ancora dentro e dobbiamo far di tutto per capire ora. Nella stampa e su internet sono pochissimi gli articoli che danno un buon contributo e soprattutto un contributo di verità. Ci sono anche personaggi che danno giudizi senza conoscere niente o quasi della situazione reale. E’ perfino normale trovare sulla stessa pagina articoli di parere opposto, come oggi su la Repubblica, a p. 28, quella dei commenti.
C’è infatti un articolo notevole di Mariana Mazzuccato, che ripropongo qui sotto, e c’è un disinvolto commento di Corrado Augias (“Atene tra nostalgia e incoscienza”) che con rara superficialità, rispondendo alla lettera di un lettore convinto che i greci (ovviamente tutti) hanno finora vissuto a sbaffo, ignorando “le più banali regole del convivere civile”, arriva a scrivere:
“(…) il duo Tsipras-Varoufakis ha ingannato gli elettori promettendo due cose inconciliabili: finirla con l’austerità dettata da Berlino, tenere l’euro senza rispettarne i requisiti fondativi. (…) Se, come personalmente spero, vincessero i sì, il capo del governo avrà un mandato per decidersi a fare il necessario. E finalmente Yanis Varoufakis potrà tornare ad insegnare.”
Parole per me miserabili, a dir poco.
Sul tema del referendum segnalo anche un articolo di Nadia Urbinati su Huffington Post, “Perché il referendum ‘eccezionale’ di Tsipras ha impresso una svolta nelle trattative”.
Quando l’errore è nella diagnosi
di Nadia Urbinati
IL MOTIVO per cui non si è riusciti a raggiungere un accordo con la Grecia è che la diagnosi era sbagliata fin dal principio: questo ha finito per far ammalare il paziente ancora di più, e oggi il paziente vuole interrompere la cura. Questa triste storia rappresenta un fallimento di immani proporzioni per la Ue.
Come Yanis Varoufakis ripete fin dall’inizio, la Grecia non aveva una crisi di liquidità, ma una crisi di solvibilità, originata a sua volta da una crisi di “competitività”, aggravata dalla crisi finanziaria. E una crisi di questo tipo non può essere risolta con tagli e ancora tagli, ma solo con una strategia di investimento seria accompagnata da riforme serie e non pro forma per ripristinare la competitività. La vera cura.
Invece, fingendo che la Grecia avesse solo una crisi di liquidità ci si è concentrati troppo su pagamenti del debito a breve termine e condizioni di austerity sfiancanti imposte per poter ricevere altri prestiti, che sarà impossibile rimborsare in futuro se non torneranno crescita e competitività. E non torneranno se la Grecia non potrà investire. Un circolo vizioso senza fine.
La realtà è che è impossibile avere un’unione monetaria con competitività tanto differenti. E finora non c’è stata una comprensione chiara di come e perché queste differenze di competitività siano nate. Se da un lato è corretto mettere l’accento sulle riforme fiscali e sulle modifiche all’età pensionabile per riportarle in linea con il resto d’Europa, dall’altro lato si è parlato molto di quello che bisognava buttare non si è parlato per nulla di quello che bisognava costruire. Come in Italia, si è puntato solo a ridurre le pensioni, gli stipendi dei dipendenti pubblici, le rigidità del mercato del lavoro ( eufemismo che sta per diritti dei lavoratori!), partendo dal presupposto che sbarazzandosi delle inefficienze sarebbe arrivata la crescita. Ma nulla è più lontano dalla verità. C’è molto da costruire, non solo da eliminare, e fin quando non si farà questo la Grecia non arriverà a nulla. E il rapporto debito/Pil aumenterà perché il denominatore (il Pil) rimarrà al palo, anche se il numeratore (il deficit) resterà basso.
La Grecia deve fare quello che la Germania fa (investire), non quello che la Germania dice (tagliare)! Molti criticano la Germania perché investe poco, ma la verità è che negli ultimi decenni la Germania ha investito in tutte le aree decisive non solo per aumentare la produttività, ma anche per creare una crescita trainata dall’innovazione. Aziende come la Siemens, che vince appalti pubblici nel Regno Unito, sono il risultato del dinamismo dell’ecosistema pubblico/privato in Germania, con forti investimenti pubblici sui collegamenti fra scienza e industria; la presenza di una banca pubblica grossa e strategica (la KfW), che offre alle imprese tedesche capitali “pazienti”, impegnati sul lungo termine; un modello di governo d’impresa incentrato sugli stakeholders (i portatori di interesse) e focalizzato sul lungo periodo, invece del modello anglosassone incentrato sugli shareholders (gli azionisti) e focalizzato sul breve periodo, che l’Europa meridionale ha copiato; un rapporto ricerca e sviluppo/Pil superiore alla media; investimenti sulla formazione professionale e il capitale umano; una strategia mission-oriented che punta a rendere “verde” l’intera economia.
Immaginate che risultato diverso (“compromesso”) avremmo avuto se le trattative avessero puntato a far digerire alla Grecia una strategia di investimenti, invece che altri tagli: va bene, noi vi salviamo, ma voi riformate il vostro Paese e mettete in moto investimenti pubblici (del tipo su elencato) per essere pronti per la sfida dell’innovazione del 2020!
Invece, insistere sul proseguimento dello status quo, con abbondanza di altre misure di austerity, ha prodotto una Grecia sempre più debole, più disoccupazione e più perdita di competitività. Alla Grecia bisognava sì somministrare la medicina tedesca, ma quella vera, non quella ideologica. E non dimentichiamo ciò che tanti hanno ripetuto: dopo la seconda guerra mondiale il 60 per cento dei debiti tedeschi fu cancellato. È un altro esempio di come la Germania abbia beneficiato di una medicina, ma ne prescriva una diversa per tutti gli altri.
Tra l’altro è anche vero che questa medicina la Grecia l’ha ingoiata in questi ultimi, dolorosi mesi, ma pochissimi glielo hanno riconosciuto: ha ridotto il disavanzo, tagliato il numero di dipendenti pubblici e alzato l’età pensionabile. Se gli avessero dato maggior respiro, avrebbe potuto fare di più.
Se la Grecia dovesse uscire, l’unica speranza è che l’insistenza di Varoufakis per un programma di investimenti a livello europeo possa almeno trovare una soluzione nazionale. Forse si potrebbe partire dalla creazione di una banca per lo sviluppo come la KfW e usarla per mettere in moto una strategia di investimenti a lungo termine.
L’Italia deve trarre gli insegnamenti giusti da questa tragedia greca. La competitività dell’Italia è scadente quasi quanto quella della Grecia, e fino a questo momento la strategia di investimenti è stata alquanto deficitaria: qualche misura pro forma sull’istruzione, tagli al settore pubblico e tanta attenzione a quello a cui i lavoratori devono rinunciare. Perciò, se ci sarà la Grexit – e l’Europa non si deciderà a portare nella stanza un vero dottore – preparatevi per l’exItalia il prossimo anno.