Luciano Gallino va letto sempre e perciò lo ripropongo sempre anche ai miei quattro lettori. L’articolo pubblicato oggi su la Repubblica (p. 30), mette in luce ancora una volta le responsabilità di alcune istituzioni europee nella crisi greca, ma anche in quella italiana. Se dobbiamo liberarci di una certa politica, oltre alla ghigliottina, dobbiamo pensare a conoscere ed usare bene i trattati e le leggi internazionali sui diritti umani.
La lezione di Atene per l’Italia
di Luciano Gallino
POCHI giorni fa il Parlamento greco ha diffuso un rapporto del Comitato per la Verità sul Debito pubblico. Le conclusioni sono che per il modo in cui la Troika ha influito sul suo andamento, e per i disastrosi effetti che le politiche economiche e sociali da essa imposte hanno avuto sulla popolazione, il debito pubblico della Grecia è illegale, illegittimo e odioso. Pertanto il Paese avrebbe il diritto di non pagarlo. Il rapporto greco è fitto di riferimenti alle leggi e al diritto internazionali. E contiene, in modo abbastanza evidente, una lezione per l’Italia.
Il rapporto distingue con cura tra illegalità, illegittimità e odiosità di un debito pubblico. Un debito è illegale se il prestito contravviene alle appropriate procedure previste dalle leggi esistenti. È illegittimo quando le condizioni sotto le quali viene concesso il prestito includono prescrizioni nei confronti del debitore che violano le leggi nazionali o i diritti umani tutelati da leggi internazionali. Infine è odioso quando il prestatore sapeva o avrebbe dovuto sapere che il prestito era stato concesso senza scrupoli, da cui sarebbe seguita la negazione alla popolazione interessata di fondamentali diritti civili, politici, sociali e culturali. Il Fmi è responsabile di tutt’e tre le infrazioni perché le condizioni imposte alla Grecia in relazione ai suoi prestiti hanno gravemente peggiorato le sue condizioni economiche e il suo sistema di protezione sociale. Da vari documenti interni del Fondo stesso, risalenti al periodo 2010-2012, appare evidente che perfino il suo staff, una parte consistente del consiglio direttivo formato da rappresentanti di vari paesi, e non pochi dirigenti sapevano benissimo quali sarebbero state le conseguenze negative a danno della popolazione greca.
La Bce non è stata da meno, contribuendo ai programmi di aggiustamento macroeconomici della Troika e insistendo in special modo sulla de-regolazione del mercato del lavoro — violando in tal modo anche gli articoli del Trattato Ue che stabiliscono la sua indipendenza dagli stati membri. Con le sue manovre relative al commercio dei titoli sul mercato secondario ha reso possibile alle banche private greche di scaricare dal bilancio gran parte dei titoli di stato, peggiorando le condizioni del bilancio pubblico. Quanto al fondo Efsf, sebbene gestisca fondi pubblici europei, è stato costituito come società privata cui non si applicano le leggi Ue, persegue unicamente obbiettivi finanziari, e sapeva bene di imporre con i suoi prestiti costi abusivi alla Grecia, senza che essi recassero alcun beneficio al paese. Pertanto molte azioni svolte da Bce e Efsf nei confronti della Grecia nel periodo 2010-2015 sono classificabili come illegali, illegittime e odiose. Il testo abbonda di rimandi ad altre violazioni operate dalla troika. Esse vanno dalla falsificazione delle statistiche economiche e sociali della Grecia alla violazione della sovranità fiscale dello stato greco.
Si dirà: ma che c’entra l’Italia con le vicende del debito greco? C’entra eccome, poiché vi sono perentori memoranda e lettere di istruzione inviate al governo italiano dalle medesime istituzioni Ue, e nello stesso periodo, che nello spirito e nei contenuti sembrano delle fotocopie di quelle inviate al governo ellenico. Si veda ad esempio la lettera indirizzata al governo italiano dalla Bce nell’agosto 2011. Essa raccomandava varie misure pressanti, quali «la piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali»; «privatizzazioni su larga scala»; una ulteriore riforma del «sistema di contrattazione salariale collettiva, permettendo accordi al livello di impresa»; l’adozione di «una accurata revisione delle norme che regolano l’assunzione e il licenziamento dei dipendenti»; un ulteriore intervento nel sistema pensionistico; «una riduzione significativa dei costi del pubblico impiego»; infine chiedeva che «tutte le azioni elencate… siano prese il prima possibile per decreto legge, seguito da ratifica parlamentare ». Questi e vari altri interventi peggiorativi delle condizioni di lavoro e di vita dei cittadini italiani sono stati prontamente adottati dai governi italiani, fino all’attuale con il suo scandaloso Jobs Act, non mancando di ripetere ad ogni momento la trita giustificazione «ce lo chiede l’Europa». In realtà non è l’Europa a chiederlo, ma singole istituzioni europee, molto spesso in violazione, come documenta il rapporto greco, degli stessi trattati Ue e di numerosi trattati internazionali. Al punto da far sorgere il dubbio che siano da considerare anch’essi, i dettati inviati all’Italia, illegali, illegittimi e odiosi. In attesa che qualcuno se ne accorga, avvii le procedure necessarie, e si impegni a chiedere alla Ue che rispetti almeno i medesimi trattati da essa sottoscritti. Tutto ciò non soltanto per il rispetto dovuto alle leggi ma perché il prossimo caso greco potremmo essere noi.
(la Repubblica, 26 giugn0 2015)
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