In queste ore sulle piazze, sui media, nelle menti di molti italiani si ricorderà la Resistenza. Con questo 25 aprile sono infatti settant’anni dalla liberazione di gran parte del Nord Italia dall’invasione tedesca che aveva la collaborazione dei fascisti italiani. In qualche caso ci sono stati dei giorni supplementari, come a Marignana di Sesto al Reghena dove esiste una via 30 aprile, memoria di un ultimo terribile momento di paura.
Tutti gli anni – e ormai ne ho abbastanza – riprendo in mano i testi per me più rappresentativi o ne leggo di più recenti. Oggi suggerirei di seguire le ricerche di Sergio Luzzatto e di leggere il ricordo di uno dei maggiori storici della Resistenza, Claudio Pavone nel suo recentissimo “La mia Resistenza“.
C’è sempre qualcosa di nuovo, anche tra il vecchio, perché scoperto o perché ripensato alla luce di una nuova lente storica. Ma su questa nostra fase storica, io resto ancora colpito dalle parole molto semplici con cui Giorgio Bocca finì il suo Storia dell’Italia partigiana. Le riporto senza altri commenti. L’attualità di queste parole mi sembra ancor maggior del tempo in cui furono pubblicate per la prima volta (1966).
Un lavoro da continuare
Evidentemente la Resistenza non ha potuto, da sola, rigenerare un Paese degradato da un malgoverno secolare. E glielo hanno impedito, inoltre, le note ragioni obbiettive: la spartizione del mondo tra i vincitori, la restaurazione frutto della guerra fredda. « Effettivamente », può scrivere venti anni dopo Norberto Bobbio, «l’Italia non è diventato quel Paese moralmente migliore che avevamo sognato: la nuova classe politica, salvo qualche rara eccezione, non assomiglia in nulla a quella che ci era parsa raffigurata in alcuni protagonisti della guerra di liberazione, austeri, severi con se stessi, devoti al pubblico bene, fedeli ai propri ideali, intransigenti, umili e forti insieme; anzi ci appare spesso faziosa, meschina, amante più dell’intrigo che della buona causa, egoista, tendenzialmente sopraffatrice, corrotta politicamente se non moralmente e corruttrice, desiderosa del potere per il potere e peggio del grande potere per il piccolo potere ».
Eppure nonostante la risacca la Resistenza resta come fatto storico positivo, i suoi ideali non sono spenti. « Se proprio vogliamo trovare », dice ancora Bobbio, «una caratterizzazione sintetica, comprensiva, del significato storico della Resistenza e del rapporto fra la Resistenza e il tempo presente, non parliamo di Resistenza esaurita e neppure tradita o fallita, ma di Resisteanza incompiuta. Purché si intenda la incompiutezza propria di un ideale che non si realizza mai interamente, ma ciononostante continua ad alimentare speranze e a suscitare ansie ed energie di rinnovamento ». L’autore non ha altro da aggiungere se non che gli è caro trovare qui, al termine della sua fatica, l’aiuto e il consenso di un maestro conosciuto allora.
(Giorgio Bocca, Storia dell’Italia partigiana, Laterza, Roma-Bari 1980, cap. XXXI, “Resistenza incompiuta”)
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