Chi si affaccia alla pagina principale di questo sito vede subito che tra le parole chiave una di quelle segnate più in grosso è referendum 2011 che permette di rivisitare gli interventi ed i documenti in occasione della battaglia referendarie del giugno 2011. L’ultimo è un commento di Ivo Simonella che cominciava così:
Adesso l’acqua che scorre dai nostri rubinetti è sicuramente più pulita. Non mi riferisco tanto all’aspetto della qualità che sappiamo già essere superiore a molte acque minerali tanto pubblicizzate: è più pulita perché la sua gestione è stata sottratta agli interessi dei privati. I rischi che avremmo corso in caso di sconfitta dei referendum sono noti a tutti, sembra proprio che solo il nostro governo non li conoscesse (logicamente li conosceva benissimo): dovunque si è privatizzato i costi sono aumentati a dismisura e gli investimenti diminuiti, esattamente l’effetto contrario rispetto agli obiettivi che s’intendeva raggiungere.
Dopo neanche cinque anni ci risiamo. In sede parlamentare è partito dal governo Renzi, quindi dal Pd, il nuovo attacco al voto referendario, all’acqua come bene comune, alla democrazia. E’ infatti una manovra in atto da tempo e prevista del decreto Sblocca Italia, ma che va contro la chiara volontà popolare espressa nel referendum. E tutto sommato si tratta proprio di un favore – quello di poter aumentare i prezzi dell’acqua – a poche e grosse imprese già esistenti, non certo di particolari innovazioni e riforme di cui premier e ministri si riempiono quotidianamente la bocca.
Riporto per esteso un commento odierno pubblicato su il manifesto (il grassetto è mio).
Democrazia scippata
di Marco Bersani
Quello che i parlamentari del Pd da una parte, e il Governo Renzi-Madia dall’altra, stanno portando avanti in questi giorni sulla questione dell’acqua, è di una gravità estrema.
Partiamo dai fatti. Nel 2007 il movimento per l’acqua aveva presentato, corredata da 406.000 firme, una legge d’iniziativa popolare per la ripubblicizzazione dell’acqua e la sua gestione partecipativa. Quella legge, mai portata in discussione nelle istituzioni fino alla decadenza, è stata ripresentata in questa legislatura da un intergruppo di parlamentari (M5S, Sel e alcuni Pd), in diretto accordo con il Forum italiano dei movimenti per l’acqua. La legge è finalmente approdata alle Camere, ma, all’ultima curva prima del traguardo, con la sorpresa di emendamenti Pd – votati anche dai parlamentari proponenti della legge (!)- che, abrogando l’articolo che prevedeva modi e tempi per il ritorno alla gestione pubblica di ogni situazione territoriale oggi in mano ai privati, ne stravolge il cuore e il senso.
Con questo atto, il Pd pone una cesura irreversibile non solo con il movimento per l’acqua, ma con l’idea stessa di democrazia diretta, come iniziativa legislativa posta in essere direttamente da centinaia di migliaia di cittadini.
Nel contempo, oltre 26 milioni di donne e di uomini di questo Paese si sono pronunciati, nel referendum del giugno 2011, per l’uscita dell’acqua dal mercato e dei profitti dall’acqua, attraverso un’esperienza di straordinaria partecipazione dal basso e un percorso di alfabetizzazione sociale senza precedenti.
Anche quel pronunciamento è oggi sotto attacco diretto: è stato diffuso, sempre in questi giorni, il Testo Unico sui servizi pubblici locali, decreto attuativo della Legge Madia n. 124/2015, che si prefigge – letteralmente – gli obiettivi di «ridurre la gestione pubblica dei servizi ai soli casi di stretta necessità» e di «garantire la razionalizzazione delle modalità di gestione dei servizi pubblici locali, in un’ottica di rafforzamento del ruolo dei soggetti privati».
In quel testo, è contenuto l’obbligo di gestione dei servizi pubblici locali a rete attraverso società per azioni (art. 7, comma 1); nonché l’obbligo, laddove la società per azioni sia a totale capitale pubblico, di rendere conto delle ragioni del mancato ricorso al mercato (comma 3), di presentare un piano economico-finanziario relativo a tutta la durata dell’affidamento, sottoscritto da un istituto di credito (comma 4), di acquisire il parere dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (comma 5).
E, affinché sia chiaro a tutti come l’anomalia referendaria vada definitivamente consegnata agli archivi, ecco ricomparire, dopo anni con cui si era tentato di nasconderla dentro la dicitura «oneri finanziari», l’”adeguatezza della remunerazione del capitale investito” (art. 25, comma 1) nella composizione della tariffa, nell’esatta dicitura che 26 milioni di cittadini avevano democraticamente abrogato.
Il disprezzo della volontà popolare e della democrazia non poteva essere meglio esternato.
Dopo aver annichilito il paese con la trappola-shock del debito pubblico ed averlo rinchiuso nella gabbia del pareggio di bilancio, del patto di stabilità e dei vincoli monetaristi, le grandi lobby finanziarie, grazie ai provvedimenti del governo Renzi, si apprestano ora ad espropriarlo dell’acqua, dei beni comuni e di tutto ciò che a tutti appartiene.
Alle donne e agli uomini che, in tutti questi anni, hanno detto chiaramente come l’acqua e i beni comuni siano garanzia di diritti universali, da sottrarre al mercato e da restituire alla gestione partecipativa delle comunità territoriali, il compito di fermarli.
Perché, oggi più che mai, si scrive acqua, si legge democrazia.
(il manifesto, 16 marzo 2016)