Desidero fare un appello personale al voto di domenica 31 maggio.
Come sempre, anche questo voto regionale è ambivalente, perché sono iscritti al voto circa 23 milioni di cittadini italiani che daranno anche un giudizio sull’operato del governo guidato da quindici mesi da Matteo Renzi. In Italia è successo infatti che queste elezioni di medio termine abbiano segnato in passato la netta conferma del governo in carica, con il cambiamento a lui favorevole della guida di diverse regioni implicate, come crisi di governo e perfino cambiamenti della sua guida. Questa ricorrenza non può essere negata da nessuno, tantomeno dall’attuale premier che – dopo qualche sparata iniziale di sfida (“vinceremo 7 a 0”) – ora sta minimizzando l’impatto politico generale che per lui potrebbe essere tutt’altro che trionfale. Si teme molto un ulteriore calo degli elettori, sulla scia delle regionali emiliane del novembre scorso quando votò solo il 37,7% e furono bocciati tutti.
Tra le sette regioni che vanno al voto – Veneto, Liguria, Toscana, Umbria, Marche, Campania e Puglia – ci sono situazioni molto diverse dal punto di vista politico, economico e sociale, con casi peculiari in Liguria, dove in Pd si presenta spaccato, e in Campania, dove si sa già che il voto è destinato ad esser rovinato da troppe candidature impresentabili secondo la legge Severino e quindi destinate ad essere invalidate. Una situazione paradossale a cui il premier e il Pd non hanno saputo dare una risposta di difesa della legalità ma puramente propagandistica, tipica di un regime non democratico.
Il voto nel Veneto è il primo dopo lo scandalo del Mose che ha scoperchiato decenni di malaffare e di corruzione ai vertici della Regione e non può non esser valutato come giudizio sul ceto politico regionale. Che la grande maggioranza della Regione accetti tutto quanto è successo senza rigetto alcuno sarebbe assai triste per i veneti.
Per chi come me ha sempre dato il voto a sinistra, da alcuni anni anche in chiave ambientalista, la situazione è particolarmente dura, in assenza di una lista votabile sia dentro che fuori l’alleanza col Pd. Dentro c’è una lista – Il Ven(e)to Nuovo – che è già una mini coalizione tra Sel, Verdi (ma “Europei”) e la nuova Sinistra Veneta, ovvero qualche fuoriuscito da Rc. Fuori c’è L’altro Veneto, ovvero quello che resta di Rc e qualche altro verde/ambientalista, col nome ereditato dall’esperienza dell’Alta Europa con Tsipras – che però comprendeva tutti, dal Sel a Rc ai verdi e anche molti protagonisti della società civile. Adesso però basta. Questo è un gioco dell’oca a cui non si può più partecipare. Un’alleanza su lavoro, beni comuni e ambiente rimane la base necessaria, ma deve partire dal progetto e non dalle sigle o da qualche nome, ormai tutti penosi fantasmi.
Votare alle regionali per le liste cosiddette rossoverdi mi è dunque impossibile, quanto votare la renziana Alessandra Moretti, su cui non voglio sprecare nessun aggettivo. Nonostante l’accoppiata Salvini/Zaja mi faccia leggermente più schifo di quella Renzi/Moretti, ho deciso di non farmi più violenza e di non votare più per qualcosa di meno schifoso.
Alle regionali quindi credo che il non-voto sia una scelta con un chiaro valore morale e politico e non ritirerò la scheda. Non so cosa produrrà nel governo della Regione, ma penso e spero che una forte astensione servirà a tutti, partiti, partitini e fantasmi.