Sabato 25 ottobre 2014, nella scena politica italiana potrebbe essere una data storica, da ricordare a lungo.
Potrebbe infatti essere stato il giorno in cui una manifestazione “ostinata e contraria” all’eliminazione dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori e alla manovra della legge di stabilità già venduta, anche nella Ue, come una grande svolta, fa in realtà cambiare verso al governo Renzi, quello guidato dal segretario del Pd, partito a cui buona parte dei partecipanti guarda elettoralmente da sempre.
Nell’intervento finale il segretario della Cgil Susanna Camusso, oltre a rivendicare con precisione le ragioni e l’importanza non solo simbolica dell’art. 18, è stata infatti molto chiara nel giudizio sulla legge finanziaria in discussione in Parlamento: è inadeguata a far cambiare il trend delle cose, prevede l’utilizzo di scarse risorse a favore delle imprese per incentivarle ad assumere, ma prevede anche che a pagare siano poi sempre gli stessi, aumentando i costo dei servizi che verranno tagliati. Non c’è nessuna redistribuzione del reddito, mentre servirebbe proprio una anche piccola patrimoniale, sull’uno per cento della popolazione che detiene il 10% del patrimonio nazionale (mentre un 10% ne detiene il 50% e un 50% solo il 10%).
Oppure potrebbe essere stato il giorno in cui la Cgil inizia a cambiare effettivamente una linea e una prassi sindacale che dura ormai da un trentennio – non certo da sola – e che ci ha portato sul baratro dell’assoluta svalutazione del lavoro.
Ma potrebbe succedere anche qualcos’altro, un po’ di tutto e di più. Come un nuovo scontro di tipo thatcheriano, come la nascita di un nuovo soggetto politico che riempia lo spazio lasciato vuoto dal Pd renziano, oppure una dura reazione di quest’ultimo alle posizioni conseguenti di alcuni parlamentari pd in sede di votazione sul Jobs Act, con conseguenze non facilmente valutabili.
Insomma, forse siamo proprio all’inizio di una nuova fase della politica italiana. Ma la direzione non è certa, dipende anche da noi. Rimbocchiamoci le maniche.