Sprawl

Riporto il testo assolutamente da leggere di un recentissimo intervento di Edoardo Salzano, l’urbanista veneziano che da sempre si distingue per la battaglia in difesa del suolo e del paesaggio. Nell’estrema sintesi, da lui stesso riconosciuta, non mancano precisi riferimenti alle cause e una chiara autocritica rispetto alla gravità dei processi in atto e non sufficientemente contrastati.

Il testo pubblicato oggi su eddyburg, è un intervento in un convegno organizzato dalla Regione Toscana e – ne fosse proprio stato bisogno – assume un’acuta attualità dalle drammatiche notizie che provengono in questi giorni dalla Sardegna. (Ma in queste ore anche qui da noi non siamo così rilassati…).

Il mio titolo fa riferimento al termine tecnico (sprawl) usato anche da Salzano e viene anche usato per descrivere lo stravaccamento, p. es. su un divano. Mi sembra l’espressione più sintetica e chiara.

(Per facilitare la lettura, ho leggermente modificato la spaziatura, i caratteri e la punteggiatura originali, naturalmente senza toccare il testo vero e proprio.)

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Perché e come contrastare il consumo del suolo
di Edoardo Salzano

Il tempo che è stato concesso ai nostri interventi mi obbliga a essere sintetico, perciò in buona parte apodittico. Spero che questo non nuoccia alla chiarezza.

Il suolo è un bene prezioso, oggetto di utilizzazioni molteplici

Perché è necessario contrastare il consumo di suolo? Credo che in primo luogo occorra assumere piene consapevolezza del fatto che il suolo è un bene prezioso per ciò che esso è, per le sue caratteristiche proprie:
– è la pelle del pianeta, il substrato delle comunità biologiche, l’infrastruttura materiale della vita;
– è il palinsesto della storia delle civiltà umane;
– è l’habitat della società umana, il suo sistema insediativo.

Da queste sue caratteristiche discendono le molteplici potenziali utilizzazioni del suolo per la razza umana:
– il ciclo della biosfera,
– il deposito di risorse naturali utili all’uomo,
– la produzione degli alimenti,
– l’habitat dell’uomo,
– la testimonianza e l’insegnamento della storia delle civiltà.

Le trasformazioni della civiltà umana hanno prodotto, soprattutto negli ultimi secoli, un pesante processo di trasformazione che ha privilegiato, rispetto alle altre utilizzazione, quella finalizzata all’uso del suolo come habitat dell’uomo nella forma dell’urbanizzazione: abbiamo inventato e progressivamente esteso la città, che è divenuta al tempo stesso gloria e dannazione della civiltà umana.

Oggi constatiamo che il suolo si sta gradatamente ma velocemente trasformando in quella che Antonio Cederna definiva la “repellente crosta di cemento e asfalto”.

Il ruolo della rendita

Decisivo in questo mortifero processo sono stati due elementi:
– la mancata consapevolezza di consapevolezza del valore del suolo come bene (come patrimonio da gestire con parsimonia), e non come merce;
– il ruolo che ha via via assunto la rendita urbana: più precisamente, la sua appropriazione privata.

La potenzialità economica della rendita nell’economia capitalistica borghese, e soprattutto in quella post-borghese, ha escluso, ed esclude via via più decisamente, gradualmente le altre possibili utilizzazioni (oltre a cancellare quella che io definisco la “città dei cittadini”: quella cioè finalizzata al ben-essere e ben-vivere dei suoi abitanti).

Come contrastare

Per contrastare il consumo di suolo dobbiamo tener conto che esso ha molte forme:
– il land grabbing, cioè l’accaparramento dei terreni e del loro uso da parte di poteri esterni alle comunità locali;
– l’asservimento della produzione agricola al ciclo energivoro dell’economia opulenta, mediante la produzione esclusiva di biomasse;
– la distruzione materiale della naturalità, della bellezza e della storia mediante, cioè la sostituzione della pelle del pianeta con la “repellente crosta di cemento e asfalto”.

E’ su quest’ultimo aspetto che vorrei soffermarmi, tenendo conto che non è l’unico, che tutti vanno combattuti e che solo una visione complessiva può consentire il formarsi le alleanze necessarie per vincere.

Il punto di svolta

Mi pongo una prima domanda: Quando il consumo di suolo è diventato un problema, un aspetto rilevante dei processi di degrado dell’ecosistema planetario che già la cultura ecologista aveva denunciato?

Il punto di svolta è stato rappresentato dagli orribili anni ’80, le cui prime radici si sono potute vedere in Italia nelle “controriforme” del decennio precedente.

Ecco le cinque parole chiave del degrado:
1. La perequazione, intesa e praticata come spalmatura dell’edificabilità;
2. l’invenzione dei diritti edificatori, termine fino ad allora completamente estraneo sia al linguaggio corrente che al mondo del diritto e a, teorizzata e praticata nel PRG di Roma targato Rutelli e Veltroni;
3. la vocazione edilizia come attributo del suolo;
4. il trionfo della rendita urbana, magistralmente analizzata da Walter Tocci;
5. l’abbandono della pianificazione, il cui emblema è stato costituito dalla legge di Maurizio Lupi.

Il punto di svolta è stato insomma determinato dall’onda globale del neoliberismo aggravata nella sua versione italiana a causa di due elementi nostrani:
– il ruolo della rendita nel nostro paese;
– la debolezza della pubblica amministrazione dello stato unitario.

Abbiamo capito tardi

Mi pongo una seconda domanda: perché la gravità del fenomeno è stata avvertita così tardi?

E’ una domanda che mi pongo da quando, nel 2004, abbiamo cominciato a preparare la prima edizione della Scuola di eddyburg e ci siamo accorti che cultura, politica e amministrazioni non consideravano lo sprawl un grave pericolo da combattere.

Mi sono convinto che questo ritardo sia addebitabile soprattutto a 4 cause:
1. L’egemonia conquistata dall’ideologia della crescita indefinita (lo “sviluppismo”);
2. La decadenza della politica e il suo appiattimento sul giorno per giorno;
3. La distrazione della gran parte dei saperi specialistici dagli aspetti propri della pianificazione delle città e del territorio;
4. Il prevalere nell’accademia della formazione di tecnici per la gestione dei processi in atto (facilitatori); anziché di intellettuali dotati di spirito critico e quindi propositori di strade alternative.

Le cose sono cambiate

Oggi il “No al consumo di suolo” è diventato uno slogan di massa: il peggioramento delle condizioni materiali, i risultati del saccheggio in nome della rendita hanno suscitato reazioni estese di protesta e di puntuale proposta alternativa.

Ma “No al consumo di suolo” è diventato anche una parola passepartout, come è accaduto per le parole sostenibilità, sviluppo, e perfino con la parola democrazia.

Dobbiamo porre la massima attenzione attenti ai falsi profeti, ai lupi mascherati da agnello.

Grande confusione sul “che fare”

Le commissioni parlamentari sono affollate di proposte legislative, alcune chiaramente volte a convalidare le scelte perverse che hanno causato il saccheggio del territorio, altre semplicistiche e velleitarie, altre infine mutuate da esperienze di altri paesi il cui contesto è profondamente diverso dal nostro.

La confusione non è un buon segno, perché allontana dalla buona soluzione. Eppure la situazione è gravissima ed è urgente dire “stop al consumo di territorio” nella pratica.

Molto si può già fare, a tutti i livelli. Ma a tutti i livelli è in primo luogo necessario disporre di:
– una visione strategica, quindi alternativa rispetto alla miopia prevalente oggi;
– un dispositivo che leghi tra loro i diversi livelli di governo: le istituzioni della Repubblica, stato, regioni, province e città metropolitane, comuni;
– l’attivazione di procedure che consentano di dare voce informata e consapevole al “popolo sovrano”, coinvolgendolo nel processo di decisione.

A livello comunale
Molte esperienze di autocontenimento del consumo di suolo con gli strumenti della pianificazione urbanistica: il Prg di Napoli del 2004 e, in Toscana i piani di Lastra a Signa e quello di Sesto Fiorentino nel 2004 e 2005: ma ce ne sono certamente altri.

A livello regionale
Due parole sulla proposta di modifica della legge 1/2005 approvata dalla giunta regionale della Toscana.

Un testo che mi sembra esemplare soprattutto per tre aspetti:
1. assegna priorità alla tutela e al riconoscimento del valore del patrimonio comune rispetto alle trasformazioni. Voglio sottolineare che questo “riconoscimento” postula un massiccio impiego di lavoro in tutti i settori connessi alla manutenzione del suolo;
2. esprime in termini chiari le buone intenzioni confusamente espresse nella legge precedente e, soprattutto, le traduce in dispositivo efficace e tassativo;
3. pone in termini corretti e produttivi l’integrazione delle competenze dei vari livelli di go-verno: il tema complesso ma decisivo di un’interscalarità nel processo delle decisioni che cor-risponda alle differenti scale di rilevanza degli aspetti del territorio e del loro governo;

E’ un testo normativo che merita di essere indicato come modello per ogni legge regionale in materia e di essere assunto (soprattutto per le sue definizioni) come matrice di una nuova legislazione nazionale.

A livello nazionale
Ma è certamente necessario un intervento normativo a livello nazionale, non solo perché non tutta l’Italia è come la Toscana (lo ha ricordato con efficacia Marco Cammelli) ma anche perché ci sono nodi che solo a livello della Repubblica possono essere risolti.

Per tutelare il territorio non urbanizzato, a livello nazionale si dovrebbe:

1. Stabilire regole valide per tutte le regioni – del centro, del nord e del sud – avvalendosi delle competenze statali in materia di paesaggio. Già lo proponemmo come amici di eddyburg nel 2005, e le nostre proposte furono riprese anche nel testo elaborato dall’on. Raffaella Mariani.

2. Applicare le leggi esistenti, e procedere tempestivamente alla individuazione delle “linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale per quanto riguarda la tutela del paesaggio, con finalità di indirizzo della pianificazione”, come prescrive il Codice del paesaggio.

3. Ribadire il principio che l’edificazione è una facoltà che appartiene alla collettività e alle sue rappresentanze democratiche (ripartendo da Piero Bucalossi) e fare piazza pulita con le teorie e le pratiche dei “diritti edificatori” e delle connesse compensazioni e perequazioni. Tocchiamo qui il nodo del contenuto del diritto proprietario, sul quale altri parleranno con maggiore competenza e autorità.

4. Ultimo ma non marginale impegno, si dovrebbe affrontare la questione della formazione di una pubblica amministrazione competente, motivata, autorevole, in assenza della quale nulla di serio e di durevole si potrà fare nel territorio. Non mancano spese da rivedere in altri settori, come quelli delle rendite immobiliari e finanziarie e della produzione di armi.

Noi e il mondo

Un’ultima considerazione. Nel contrastare o meno il consumo di suolo dobbiamo tener presente che le nostre scelte coinvolgono orizzonti più ampi.

La corsa all’urbanizzazione dei paesi del terzo mondo, promossa e incentivata dalle agenzie internazionali, avviene utilizzando i modelli offerti dalla civiltà dominante. Dobbiamo essere capaci non tanto di proporre modelli alternativi a quelli correnti, ma di fornire l’esempio di logiche e strategie rispettose dei patrimoni e delle identità locali. La legge della Toscana è un prezioso insegnamento a questo proposito. L’augurio e la speranza sono che la proposta divenga subito efficace, e che essa apra la strada a quel nuovo modello di sviluppo di cui il Presidente della Regione ha cosi calorosamente parlato.

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Una risposta a Sprawl

  1. Adriano Zanon scrive:

    Oggi la Repubblica ha pubblicato un commento di Eugenio Scalfari, Salvare il paesaggio da nuove catastrofi, ne riporto una parte finale:

    “Ci vuole un ripensamento dei centri storici nei paesi e nelle città, la ristrutturazione dei beni residenziali esistenti, l’avvio del nuovo eco-sviluppo che si estenda all’Italia intera e comprenda anche la politica delle banche sul territorio e l’impiego differenziato delle tariffe energetiche che incentivino le potenzialità della terra, del paesaggio e dell’occupazione (…).”

    Va bene così, a parte il linguaggio incerto e gli obiettivi improvvisati… Meglio tardi che mai.

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