La Fondazione Nord Est, l’istituto di ricerca sociale ed economica degli industriali delle Tre Venezie, ha pubblicato sul suo sito un documento, “Sviluppo e territorio: una nuova reciprocità”, che affronta il tema noto come sindrome Nimby (“Not in My Back Yard”, ossia, non sul mio cortile) rispetto al nostro territorio.
L’intervento più interessante è quello di Luca Marzotto, amministratore delegato di Zignago Holding SpA. Nella parte iniziale scrive anche sulle vicende del nuovo impianto di Villanova, ma conclude così:
“Ma come affrontano all’estero la sindrome Nimby, come viene gestita nel resto del mondo la realizzazione di grandi opere? Ci sono regole chiare, leggi che non consentono poi il boicottaggio da parte di sparute minoranze.
“Ecco, il primo vero problema del nostro Paese riguarda l’assenza di regole chiare e certe: troppo spesso, infatti, si assiste ad una vera e propria “compravendita del consenso” che fa lievitare “ennevolte” i costi delle opere stesse, rendendo così inefficiente e scarsamente competitivo tutto il sistema. Il risultato dei ritardi, dei rimbalzi di responsabilità, dei mille passaggi burocratici è che alla fine siamo un popolo di “fregati”!
“Ci vogliono scelte a monte. È semplicemente assurdo che poche centinaia di persone possano rallentare, se non addirittura impedire, la costruzione di un’opera come la TAV che collega 2 paesi, o fermare per anni processi autorizzativi già conclusi, o fermare cantieri generando inefficienze che ricadono direttamente nelle tasche di tutti i cittadini.”
Ci vogliono dunque “regole chiare” e “scelte a monte”, altrimenti ci sarà la solita “compravendita del consenso”, con tutte le conseguenze sui costi.
Non so se ho capito bene. Non credo infatti che Marzotto per “scelte a monte” intenda una buona pianificazione del territorio, che eviti, per esempio, la costruzione di quattro centrali a biomassa nel raggio di cinque chilometri. Ho l’impressione che mi sfugga il suo vero pensiero. Eppoi, con tutta la buona volontà di capire, mi resta opaco quel concetto definito “compravendita del consenso”. Ma forse è solo un problema di linguaggio.