Dal 2000 si tiene Pordenonelegge, presentata come “Festa dei libri con gli autori”. La diciassettesima edizione si è svolta in 5 giorni, dal mercoledì 14 alla domenica 18 settembre, dalle nove del mattino alle undici di sera, con ben 289 eventi in 30 luoghi e ben 470 tra autori e presentatori. Naturalmente in piazza XX Settembre c’erano anche due tendoni di vendita libri, uno grande per le novità, uno più piccolo, ma ben intasato, per i libri vecchi e fuori distribuzione. Insomma, stavolta è stata una colossale fiera che ha avuto 100-120 mila presenze. Rispetto agli obiettivi è stato senz’altro un successo, anche per i locali di ristorazione, ma forse anche per qualcuno degli altri negozi che sono rimasti aperti.
L’impostazione dell’esposizione è chiara anche dalla Guida ufficiale. Gli eventi erano perlopiù indicati come “incontri” tra uno o più autori di libri con un giornalista o altro operatore culturale, a sua volta indicato come colui che “presenta” e che in realtà era l’interlocutore preparato, la spalla necessaria a non ridurre l’incontro ad un monologo. Per inciso, sempre nella guida, il breve testo di presentazione dell’incontro è tratto, se non copia-incollato dalle presentazioni su Ibs o dai cataloghi online degli editori. In poche parole si tratta di una fiera di prodotti di consumo organizzata dai produttori, gli editori, con lo scopo di vendere gli ultimi prodotti, le novità.
Quindi un programma tutto finalizzato alla pubblicità della novità libraria. Ogni discorso – anche quei pochi discorsi moralmente impegnati che pur ci sono stati – aveva questo obiettivo principale: fare pubblicità ad un libro. Dagli incontri a cui ho assistito era infatti chiaro che gli interlocutori di un dibattito non criticavano alcunché, al massimo segnalavano un aspetto curioso, quindi interessante.
Naturalmente ci sono anche le stranezze e le eccezioni. Mi è capitato anche di notare una particolare applicazione del principio base, quello pubblicitario, o meglio l’apparente esclusione dello stesso. Ho infatti visto e sentito Massimo Recalcati, noto psicanalista, che sabato sera parlava di un suo libro, Jacques Lacan. La clinica psicoanalitica: struttura e soggetto. Parlava da solo in quella che era definita una lectio magistralis. Ebbene, c’era tantissima gente – stimata da me in oltre 450 persone – dentro e fuori il tendone in piazza della Motta. Gente anche molto lontana dal docente, anche venti metri fuori dal tendone, ma attentissima. Impressionante. Quindi, mi sono detto, la gente non viene qui solo per sentirsi fare la pubblicità di un libro. Per ascoltare Recalcati che parla di Lacan bisogna già conoscere qualcosa di questi. Sembrava piuttosto una seduta psicoanalitica di massa.
Io penso che la formula riproposta e dilatata anche quest’anno non possa rimanere tale in futuro. Il libro non è una merce qualsiasi, il suo valore d’uso non sta né nella sua manipolazione fisica, né nel suo formato estetico esteriore, né nella sua gradevole lettura che dura per qualche ora. Più bello e forte è un libro, più dura nel tempo e viene studiato e criticato, amato e odiato, ristampato anche se controverso. Insomma, fa parte della cultura del suo tempo. Bisogna leggerlo per dire se è bello o brutto, o meglio, se piace o meno, ma si può comprare anche se non piace, se non è bello, anche se è schifoso.
Ma non si può fare pubblicità ad un libro senza analizzarlo, criticarlo, decostruirlo. Naturalmente ci sono libri e libri. Un romanzo, una narrazione, un libro di fotografie o un fumetto, non sono la stessa cosa di un saggio politico o filosofico, di una ricostruzione storica o una divulgazione scientifica. I primi hanno una divulgazione e quindi un mercato assolutamente diversi da secondi. Esercitare una critica sui primi è senz’altro legittimo ma è anche più arbitrario e legato ai gusti di massa molto variegati tra loro. Ma allora, una volta di più, come si può uniformare tutti i libri sotto l’etichetta della novità?
Però, se non fosse una fiera di libri, cioè un mercato, anche se chiamato festa, dovrebbe essere un festival tematico, un incontro organizzato su idee e racconti diversi della realtà, un momento di lettura, più o meno spettacolare, comunque qualcosa di molto meno grosso e vago dove i libri non avrebbero neanche quella vita autonoma di merce che qui hanno. Quindi, forse, vista la fase triste che sta attraversando la nostra società, anche se si tratta della necessità vitale dell’industria culturale di una società consumista, questo della crescita del consumo dei libri è un momento ancora importante, se non indispensabile, anche per migliorare il nostro futuro. E con questo dubbio mi fermo.